lunedì 29 dicembre 2008

Piombo Fuso



Marco Cedolin

E’ vero che non esiste mai una realtà oggettiva, ma solo tante piccole effimere realtà che mutano in funzione dell’angolazione con la quale osserviamo quello che accade intorno a noi. Lo si comprende bene di fronte all’ennesima strage di uomini, donne e bambini che Israele ha deciso di regalare al popolo palestinese per celebrare la fine dell’anno. Una strage raccontata dai media con distaccata superficialità, quasi in punta di piedi, prestando la massima attenzione a compiacere gli “alleati” di Tel Aviv. Oltre 400 persone già massacrate con l’ausilio di bombe e missili, in attesa che i carri armati israeliani invadano la striscia di Gaza per portare a termine l’operazione “Piombo Fuso” programmata da tempo con l’intento di annientare Hamas e qualunque prospettiva di resistenza palestinese.
Piombo Fuso, a solidificarsi al di sopra delle coscienze d’Occidente, per sigillare qualunque anelito di umanità possa ancora pervadere una società come la nostra che sta perdendo le ultime briciole di coerenza e scivolando in un medioevo dell’anima che trasuda vergogna.

Ci siamo prodigati per preservare la memoria dell’olocausto, ma quale dovrebbe essere lo scopo precipuo della memoria se non quello di far si che simili abomini non si ripetano mai più? Come si può indignarsi rispetto alle atrocità del passato, restando al contempo indifferenti e spesso giustificando quelle che fanno parte del nostro presente?
In Medio Oriente il genocidio continua, anno dopo anno, mese dopo mese ed ha il colore del piombo fuso che annichilisce la gente di Palestina, mentre il resto del mondo volge colpevolmente il proprio sguardo altrove. E’ un genocidio fatto di stragi travestite da operazioni militari, di omicidi mirati, di sopraffazione, di muri invalicabili, di assassini legalizzati, di omertà, della volontà di annientare un popolo insieme con il suo diritto ad esistere, le sue tradizioni e la sua dignità. Un popolo costretto a vivere dentro i campi profughi nella sua stessa terra, un popolo al quale sistematicamente Israele ruba tutto, perfino l’acqua, un popolo di ragazzini dalla gioventù negata, troppo spesso rassegnati a morire a 14 anni lanciando pietre contro un carro armato, poiché consapevoli del fatto che nessuno si prodigherà mai per farli uscire dal ghetto dove sono stati gettati con violenza prima ancora di nascere.

Dalla nostra prospettiva privilegiata di “civili” cittadini della UE che ricordano con sdegno la Shoah, ma ostentano malcelata indifferenza di fronte al martirio del popolo palestinese, la realtà ha i contorni netti del bianco e del nero. Israele è un Paese civile e democratico, costretto riversare piombo fuso sulla striscia di Gaza, come pianificato da tempo, in risposta all’improvviso lancio di razzi Kassam verso il proprio territorio. Hamas è un’organizzazione terroristica, incivile, antidemocratica bensì democraticamente eletta, unica responsabile della strage che si sta consumando.
Il bianco e il nero, quello che è giusto e quello che è sbagliato, le guerre buone e quelle cattive, la consapevolezza di manifestarci in qualità di alfieri della civiltà, depositari della verità che a Capodanno faranno esplodere i propri botti figli del baccanale consumistico - mondano, mentre a Gaza continueranno ad esplodere le bombe. Mentre il popolo palestinese continuerà a morire giorno dopo giorno, relegato dentro la sua prigione, a morire senza ricordo, senza memoria, senza un perché, senza che nulla mai possa intervenire a scalfire le nostre coscienze, inaridite come la terra dura del deserto.

lunedì 22 dicembre 2008

ARRIVA IL NATALE



Marco Cedolin

In questi giorni di metà dicembre, con i cieli plumbei solcati da nuvoloni neri che si fronteggiano con furia belluina, i corsi d'acqua in piena che borbottano minacciosi e le montagne infiocchettate di neve come mai prima d'ora in questo periodo, lo "spirito natalizio" sembra permeare ogni cosa, fino a penetrare nelle nostre anime aride d'inguaribili pessimisti.

Il Presidente degli Stati Uniti G.W. Bush, recatosi in terra d'Iraq per un saluto di commiato da porgere alla colonia in occasione della scadenza del suo mandato, ha finalmente portato alla luce quelle armi di distruzione di massa che per tanti anni hanno albergato solamente nella sua fantasia ed in quella di pochi suoi fedelissimi. Si trattava di un paio di scarpe numero 42 che sibilando sinistramente sono sfrecciate poco sopra la sua testa, senza che nessun missile patriot riuscisse preventivamente ad intercettarle. Scarpe provenienti certo dall'arsenale segreto di Saddam, che un giornalista iracheno addestratosi a lungo nei campi di Al Quaeda nell’attesa del momento propizio, gli ha lanciato contro con destrezza, apostrofandolo contemporaneamente come "cane" fra lo stupore degli astanti, provocando un certo risentimento fra tutti i quattro zampe che hanno dimostrato di non gradire affatto il paragone.

In Italia il PD di Veltroni somiglia sempre più alla vecchia Democrazia Cristiana durante il periodo di tangentopoli. Il numero degli inquisiti continua a salire ogni giorno di più e gli scandali si susseguono uno dopo l'altro senza soluzione di continuità. Veltroni, ormai drammaticamente a corto di fantasia, inveisce contro la magistratura che avrebbe preso di mira il suo partito, pronunciando le stesse frasi che Berlusconi ripete ormai da quasi 15 anni. Tutti si affannano a discutere della "questione morale", ma non si comprende bene come il ladrocinio qualora praticato all'ombra di un partito cessi di essere "furto" per trasformarsi semplicemente in un'azione moralmente discutibile.

Le elezioni in Abruzzo hanno decretato il crollo del PD, che dopo gli scandali si è manifestato molto più vicino ai penitenziari piuttosto che non agli elettori. Nonostante lo scontato successo del PDL i veri vincitori sono risultati l'astensione, che ha portato un abruzzese su due a disertare le urne e Antonio Di Pietro, al quale ormai basta fare opposizione poco e male per raccogliere a piene mani voti dal partito ombra di Veltroni che non riesce a fare neppure questo.

Silvio Berlusconi si è appropriato della filosofia Unieuro e simile ad un venditore di lavatrici e televisori esorta gli italiani ad essere ottimisti e spendere a più non posso nei regali di Natale. L'importante è sostenere i consumi, smentendo le cassandre e fugando i fantasmi della recessione. Ora che la social card di Tremonti ha risolto i problemi relativi alla spesa alimentare delle famiglie si può osare di più, va bene anche un alberello acquistato a credito o un TV al plasma preso a rate con il rimborso a partire da aprile 2009. Va bene anche l'abbonamento a SKY di "Pasquale" o un cucciolo robot che riesca a deliziare i bimbi senza sporcare in casa. Natale viene una volta l'anno ed ogni cittadino è chiamato a fare la sua parte di buon consumatore che contribuisce a far girare l'economia, senza rimuginare sul fatto che anche volendo applicarsi mancherebbero i danari, come fanno i soliti pessimisti.

Nel mondo non si vendono più auto, probabilmente perché nel corso dell'ultimo secolo se ne sono vendute troppe e molte persone hanno iniziato a prendere coscienza del fatto che il mantenimento del "parco auto" (con relative tasse, gabelle, multe e riparazioni) ha un peso insostenibile all'interno del bilancio famigliare.
Dagli Stati Uniti all'Europa tutti i magnati dell'auto che per un secolo hanno accumulato fortune miliardarie all’interno dei propri forzieri, lamentano il crollo delle vendite e domandano l'appoggio statale che li aiuti a socializzare le perdite che, a differenza di quanto accaduto con gli utili, aspirano a condividere con il resto della collettività.
In Italia proprio Walter Veltroni risulta essere in prima fila fra coloro che esortano il governo ad aiutare economicamente la Fiat, sulla falsariga di quanto sta avvenendo negli altri paesi con le industrie automobilistiche nazionali.
Esortazioni del tutto superflue dal momento che gli aiuti di fatto sono già stati stanziati, in quanto la Fiat proprio in questi giorni ha deciso che i propri stabilimenti resteranno chiusi per un mese intero, scaricando in questo modo sulla collettività (attraverso la cassa integrazione) l'onere degli stipendi dei propri dipendenti.

In Irlanda è scoppiato il caso del maiale alla diossina che ha tenuto banco per molti giorni sulle pagine dei giornali, ed anche l’ipotesi che la UE pretenda di ripetere il referendum che ha bocciato il trattato di Lisbona, probabilmente ad oltranza fino al momento in cui vinceranno i SI, ma di questo i giornali hanno parlato molto meno.
In Italia Freccia Rossa ha inaugurato l’era del TAV “taroccato” riuscendo perfino a peggiorare (chiunque avrebbe giurato che sarebbe stato impossibile) la drammatica condizione dei pendolari e dimostrando che al peggio davvero non c’è mai fine.
Negli Stati Uniti la FED ha tagliato il tasso di sconto (ora è compreso fra 0 e 0,25%) probabilmente per l’ultima volta, dal momento che a partire dalla prossima manovra le banche dovranno provvedere a pagare chi prende soldi a prestito. Sempre negli USA gli agenti immobiliari hanno iniziato a noleggiare dei pullmann per portare i propri clienti a visitare le case espropriate ai proprietari schiacciati dai debiti, e davvero lo spirito del Natale fatica a manifestarsi all’interno di questi tour ai quali i proprietari rovinati sono costretti ad assistere loro malgrado.

Ma nonostante tutto siamo ormai giunti nella settimana prenatalizia deputata allo shopping per antonomasia, in quei giorni dell’anno durante i quali anche il più cinico degli animi non può fare a meno di aprirsi verso gli altri e trasudare bontà, comprensione, amore verso il prossimo.Cammineremo fra le vie dei centri cittadini barbaglianti di luci, fra abeti che sfavillano intarsiati di lampadine, luminarie iridescenti che baluginano abbarbicate sopra le nostre teste, stelle comete, Babbi Natale e pacchetti regalo che occhieggiano in ogni dove, accattivanti, rassicuranti, a trasudare serenità e letizia, a dimostrarci che i mutamenti climatici e la crisi economica sono soltanto fantasie da disfattisti. I nostri sguardi si specchieranno dentro all’allettevole cornice delle vetrine, per inebriarsi di luci e colori, le musichette natalizie ci delizieranno riportandoci a quando eravamo bambini ed aprivamo i regali sotto l’albero con il visetto giocondo che si arrubinava tutto per l’emozione. Intorno a noi trepiderà un alluciolio così sfolgorante, gioioso, perfetto da farci sentire in colpa, noi ed il nostro inguaribile pessimismo che ci impedisce di consumare come dovremmo.

venerdì 19 dicembre 2008

NO TAV. L'anima oscura e feconda dei barbari invasi

Pubblichiamo una interessante riflessione dell'amico Claudio Ughetto.

Claudio Ughetto

Saper essere se stessi, senza cadere nella vana illusione di poterlo essere sempre nello stesso
modo – di contro ad un altro vissuto
come perpetua minaccia.
Massimo Donà
Sabato 6 dicembre 2008, sono stato a Susa con il mio cane, alla manifestazione NO TAV organizzata dal Movimento anche in ricordo di quella ben più imponente dell’8 dicembre 2005, famosa perché ha segnato la ripresa del cantiere di Venaus. C’ero anche allora: ricordo la giornata gelida, il nevischio che cadeva sulla strada, la discesa a gruppetti giù per i sentieri di partigiani verso i cantieri che erano stati occupati pacificamente dai valsusini prima che arrivassero i poliziotti a cacciarli, infierendo con una violenza vergognosa, pestando a sangue donne e anziani. Ricordo la rabbia di quella giornata: gli scudi dei celerini schierati, i ragazzi che dall’altra parte della strada inveivano come guerrieri danzanti, rinfacciandogli le violenze di quella notte. Non ci furono scontri. Grazie all’enorme senso di responsabilità dei manifestanti, e anche per la mediazione dei sindaci della valle, all’epoca massimi rappresentanti della società civile del luogo. Fu una gran giornata, esemplare per azione politica e coerente nonviolenza. Ricordo Ferrentino, sindaco di S.Antonino e portavoce dei sindaci della valle, su un furgone davanti alla folla festante: - Il cantiere è di nuovo nostro! -. E, dopo aver invitato tutti alla calma: - Abbiamo vinto. Ora si riaprono le trattative.
Ieri i sindaci non c’erano, almeno la maggior parte. Questo perché nell’ultimo anno le loro “trattative” con le istituzioni non sono piaciute a quelli del Movimento. Ci sono state sicuramente delle buone ragioni per dissentire dalle scelte dei sindaci, ma forse non abbastanza per motivare una rottura. Eravamo in tanti anche ieri, come le altre volte. Non importa quanti: se 30.000 come dicono gli organizzatori o 7000 come dice la polizia. Eravamo in tanti. È stato come le altre volte. Forse troppo come le altre volte. Mentr’ero lì mi chiedevo cosa ci stavo a fare, al di là di incontrare amici che ho ormai da 20 anni e condividere un’idea di fondo che forse si è deprivata man mano dell’Anima. C’ero, e probabilmente continuerò ad esserci anche le prossime volte, ma col ripetersi delle occasioni scorgo conferma in una mia impressione: il Movimento non sta più andando da nessuna parte, gira su se stesso con marce rituali perché con gli anni ha smarrito le istanze da cui era partito e il suo immaginario propulsivo. L’Anima. Ormai facciamo parte della cultura massmediatica: siamo gruppi abborracciati in una massa sfilante da contare in tv. Poi dipende. Secondo che ci contiamo noi o ci conta Rai 3. Gruppi assortiti di cattocomunisti, valligiani borghesi e proletari (fanno ancora colpo le signore col passeggino…) ed accentuazioni folkloriche da mettere sui calendari promozionali. Ancora qualche marcia commemorativa, poi i NO TAV finiranno come i NO GLOBAL: ormai assorbiti in “vecchi modelli policistici”1 che sono stati a loro volta annullati dagli sbarramenti elettorali.
Cos’è l’Anima? L’Anima è il luogo, è la valle. L’Anima siamo noi nella valle. L’Anima è come ci rappresentiamo questa valle, come la vogliamo: che è poi il motivo per cui ci siamo opposti prima all’autostrada Torino-Bardonecchia e adesso al TAV. L’Anima è la nostra idea di bello contro l’utile e il retoricamente produttivo. Quella malsana concezione di sviluppo che ci propinano da destra e da sinistra, con Rai 3 a pontificare sul progresso industriale che il TAV rappresenterebbe, mentre la Tyssen esplode uccidendo chi ci lavora. Per noi bello non è soltanto l’andare a Sestriere e Bardonecchia a tempo record per svaccare nelle stazioni sciistiche in nome del PIL, dimostrando che si può spendere nonostante la recessione. Non è soltanto il paesaggio. È vivere nel paesaggio, sentire di farne parte. La valle non è nostra, ma ne facciamo parte. Qui sta la differenza. Non la consideriamo una baldracca da percorrere in andata e ritorno. L’amiamo nei suoi squarci di luce ma anche nelle oscurità gelide. La rispettiamo, consapevoli che per sopravvivere qualche torto dobbiamo (e dovremo) pur farglielo. Come quando si uccideva un animale, sapendo che era necessario per cibarsene, ma rispettandone la sacralità. Questo, quelli di Rai 3, la Bresso e Chiamparino, coloro che ci vedono come dei potenziali terroristi non possono capirlo. Per loro l’autostrada era uno strumento per velocizzare il trasporto su gomma. Ora che la gomma non la vuole più nessuno, bisogna passare al treno. L’autostrada? Bé… vuoi mettere l’andare a sciare in meno di un’ora… E la neve? Quest’anno ce n’è, ma negli anni scorsi ha scarseggiato… Ah, la neve… Chissenefrega! La spariamo coi cannoni, la neve, se non c’è! E se proprio non c’è, la neve, con l’autostrada a sciare ci vai in Francia.
Anche noi NO TAV rientriamo in questa logica, quando stiamo al gioco di farci contare su Rai 3. Quando insceniamo i medesimi riti, proponiamo i medesimi slogan. Quando ci perdiamo in pastoie politichesi. Quando scadiamo nella coazione a ripetere. Quando ci dimentichiamo di riconoscere che non stiamo soltanto lottando contro un treno, ma contro una concezione di sfruttamento e di de-sacralizzazione della valle che non condividiamo. Quando dimentichiamo che, nella Storia, in troppi hanno stuprato la Valle di Susa per i loro beceri fini, mentre chi ci viveva ha tribolato le pene dell’inferno continuando umilmente a rispettarla.
Un po’ di tempo fa un mio amico, d’idee molto diverse dalle mie, faceva delle interessanti osservazioni sul movimento NO TAV, mettendone in luce quello che considerava l’aspetto dolciniano. Secondo lui, proprio come gli eretici di Fra Dolcino, i NO TAV sarebbero dei fanatici di fondo, mossi da un ardore misticheggiante e apocalittico. Di qui il pericolo di una deriva Sangue e Suolo che alcuni esponenti liberali, transpolitici e transnazionali, vedono nel Movimento e implicitamente in buona parte della popolazione valsusina. Prima di indignarsi e respingere l’analisi, bisogna però avere il coraggio di pensare contro se stessi e chiedersi se in essa non ci sia un fondo di verità. Un ipotetico gruppo SI TAV può avere posto nella Valle di Susa? Forse. Di sicuro ci vuole del coraggio a fondarlo. Ho degli amici che vogliono il TAV, li rispetto, ci vado persino d’accordo se non se ne parla, ma è sempre il gruppo a decidere. In & Out. La recente scissione del Movimento rispetto alle decisioni dei sindaci, più disposti al “dialogo”, dà da pensare. Quindi pensiamoci. Sebbene vada riconosciuto che in passato il Movimento ha dato prova di un esercizio di pluralismo e di democrazia partecipata che i governi, il Pd e il Pdl, possono sognarselo. In quanto movimento popolare, i NO TAV hanno dimostrato che, per una causa comune, anime politiche diversissime possono infischiarsene delle appartenenze. I NO TAV avranno pure un lato oscuro, dolciniano. Saranno pure dei barbari, ma sono dei barbari invasi. Invasi da una cultura sviluppista che non rispetta la valle, quindi neppure i suoi abitanti. I NO TAV spaventano perché per lungo tempo hanno pensato diversamente, fuori dalle logiche prestabilite del profitto e della politica economicista. I NO TAV non sono solo consumatori, e chi non consuma soltanto spaventa: perché non serve alle elezioni, non ha nulla da richiedere se non il rispetto della vivibilità. I NO TAV amano e rispettano la valle, ma non per questo rischiano la deriva Sangue e Suolo che gli amanti della politica asettica paventano. Abbiamo i nostri lati oscuri, come la valle. Forse pensiamo addirittura che la valle sia “sacra”, e in questo non c’è nulla di sbagliato. Ci sono notti dei miei vent’anni che ricordo con entusiasmo: accovacciato nei boschi con gli amici a vedere i cervi contro il cielo stellato, sentendoli bramire nel totale silenzio. Ricordo escursioni in mountain-bike nel Gran Bosco, vagabondaggi con gli sci da fondo a meno 18 gradi, scarpinate su per il Gravio fino alla Cristalliera o il Villano. Ricordo i mufloni sul Pelvo, i rospi impazziti sotto la pioggia. Per me la valle ha un’Anima. Non mi vergogno dell’immaginario poetico che mi lega ad essa. È per questo che mi oppongo al TAV, e anche a un’idea di sviluppo che ha fatto il suo tempo salvo che per i politici di professione. Quelli che non hanno mai sentito l’odore di un bosco, ma riconoscono bene quello dei soldi. Penso sia l’Anima a far scaturire l’immaginario e il senso del bello, insieme a un’idea di “mondo possibile” che il movimento NO TAV rischia di perdere con l’andare del tempo.
Ben vengano le marce e le commemorazioni, ma non bastano. Non stiamo combattendo contro un treno, non soltanto. Parole come ecologia, decrescita e glocalismo, democrazia partecipata, comunitarismo (aperto e pluralista, all’interno di contesti multiculturali) dovrebbero sorreggere un’idea di “mondo possibile” che si oppone ad ogni uniformità, compresa quella dei numeri in tv. Perché l’Anima è nella valle e nel mondo, e tutti gli uomini, di qualsiasi etnia o provenienza, devono potersi rispecchiare in quest’opportunità. Invece queste parole erano appena accennate all’inizio, come opportunità, e adesso sono scomparse: spazzate via da slogan e proclami su Internet, tanta rabbia e poca propositività. Salvo poi contarci alle marce. Ho visto tante bandiere NO TAV il 6 dicembre. Tante bandiere rosse, sigle sindacali, vessilli d’associazioni e un furgone chiassoso che in questi casi non manca mai. C’era l’immancabile icona guevariana. Ho portato a casa tanti giornali e volantini nel cui titolo furoreggiavano parole come Comunista, Falce Martello e Bandiera rossa. Non ho niente contro il comunismo, ma è come se quei fogli rispecchiassero l’eterna presenza di fantasmi che permangono in valle dagli anni 70. Vedo posizioni, rivendicazioni. Niente idee, proposte, modelli alternativi di vita…
Abbiamo parecchi lati oscuri, tra i quali quello vetero e quello barbaro. Io preferisco il secondo, perché è dai barbari che è arrivata la nuova civiltà quand’è implosa quella vecchia. Dal loro “essere- non essendo, quasi apparisse loro evidente che nessuna strenua difesa della propria astratta identità avrebbe consentito un qualche sviluppo positivo”2.



1 Traggo da NO-GLOBAL. Tra rivolta e retorica, di Vittorio Giacopini (Elèuthera, 2002), illuminante punto di vista libertario sulla dissoluzione di quel movimento. Per approfondimenti, rimando alla mia recensione su Diorama 257, gennaio-febbraio 2003.
2 Massimo Donà, Arte e Filosofia, Bompiani, Milano 2007. L’autore fa riferimento ai barbari che misero fine alla classicità dell’Impero Romano con la graduale invasione. Uso il paragone per parlare, invece, di barbari invasi, coloro che dovrebbero essere maggiormente pronti ad uscire dai canoni prevedibili dell’ideologia sviluppista, economicista e nemica di una diversa concezione della “qualità della vita”.

martedì 16 dicembre 2008

FRECCIA ROSSA MA SOLO DI VERGOGNA



Marco Cedolin

La bufala del TAV italiano, costruita con grande enfasi attraverso le grancasse dell'informazione, è durata lo spazio di una giornata. Una giornata durante la quale giornali e TV, coadiuvati dall'a.d. delle Ferrovie di Stato Mauro Moretti e da molti esponenti politici rigorosamente bipartisan, hanno pomposamente annunciato la nascita dell'alta velocità italiana e l'inaugurazione del nuovo treno "Freccia Rossa", corredando il tutto con una lunga sequela di dati falsi ed esternazioni ad effetto assolutamente disancorate dalla realtà.

Il nuovo TAV con la sua rossa livrea che lo rendeva simile ad una strenna natalizia, è così entrato nelle case degli italiani attraverso gli schermi dei TG, mentre il giornalista di turno vantava le mirabolanti qualità dell'alta velocità che "finalmente" consentiranno al nostro Paese di entrare a far parte del gotha dei supetreni, insieme a Francia, Spagna e Germania. La macchina da presa spaziava sugli eleganti interni delle carrozze, strapiene di politici e uomini d'affari tutti eleganti ed entusiasti, per poi zoommare immancabilmente su un tachimetro con la lancetta immobile a segnare 300 km/h. A questo punto il giornalista, entrato in una sorta di trance mistica, iniziava a dare il meglio di sé, sciorinando suggestioni tanto fascinose quanto improbabili. Secondo le parole di alcuni TG con la nuova alta velocità appena inaugurata si potrà andare da Milano a Roma in poco più di 3 ore, secondo altri il tempo sarebbe di 3 ore e mezza. Alcuni giornalisti hanno vantato la capacità del TAV di competere con il trasporto aereo, altri con quello automobilistico, tutti hanno parlato di una rivoluzione epocale nell'ambito dei trasporti. Il TG5 si è sbilanciato fino al punto di affermare che l'alta velocità italiana sarebbe costata solamente 7 miliardi di euro.

La bufala di "Freccia Rossa" è riuscita però ad albergare solamente fra i video e le pagine dei servizi sponsor e l'illusione è durata molto meno di quanto generalmente non accada alle altre strenne natalizie. Il TAV di rosso vestito non è infatti in grado di collegare Milano e Roma ad alta velocità, dal momento che per la maggior parte del proprio percorso (da Bologna a Roma) l'infrastruttura esistente lo costringe a viaggiare alla stessa velocità di un normale Eurostar. In conseguenza di ciò il tempo di percorrenza risulta essere di 4 ore (3.59 recita l’orario delle Ferrovie con studiata malizia che ricorda da vicino le offerte promozionali degli ipermercati), molto simile a quello che 10 anni fa e decine di miliardi di euro fa, sulla stessa tratta spuntava il mitico Pendolino. Come se non bastasse, solamente le prime 2 corse inaugurali, quelle affollate di politici e vip di varia estrazione, sono riuscite ad arrivare in orario, mentre tutte quelle successive hanno accumulato ritardi rilevanti, in alcuni casi addirittura superiori ai 30 minuti che non hanno mancato di fare rimpiangere il servizio esistente negli anni 90.

A concludere la frittata ci hanno pensato i vertici delle Ferrovie che nel maldestro tentativo di privilegiare "Freccia Rossa" nella gestione del traffico ferroviario, sono venuti meno agli accordi presi con la Regione Lombardia, mandando in tilt l'intero servizio regionale per i pendolari. Treni soppressi ed una sequela di ritardi mai sperimentata in precedenza hanno così provocato l'ira non solo dei comitati di pendolari, ma perfino del presidente lombardo Formigoni e dell'assessore alla mobilità Cattaneo che si sono dichiarati pronti a "fermare l'alta velocità" se le Ferrovie non risolveranno immediatamente il problema.

"Freccia Rossa" fino ad oggi dunque solo di vergogna, fra millantato credito ed operazioni di marketing prive di costrutto. L'alta velocità italiana, la cui costruzione, prendano nota i distratti giornalisti del TG5, è già costata svariate decine di miliardi di euro di denaro pubblico, ed altre decine ne costerà prima che venga terminata, continua a restare una fantasia relegata ai tabelloni degli orari ferroviari e riscontrabile solamente nelle tariffe dei biglietti. Moretti dopo avere per anni affermato che il TAV competerà con l'aereo oggi asserisce (forse temendo d'incorrere nell'ira degli amici del neonato CAI) di volere fare concorrenza alle auto, ma l'unico termine di paragone per la bufala di "Freccia Rossa" continua a rimanere il Pendolino, dal quale lo separano molti, troppi miliardi sottratti ai contribuenti italiani e pochissimi minuti rubati al tabellino di marcia, quando non c'è ritardo.

lunedì 1 dicembre 2008

LA FEBBRE DEL CONSUMO

Marco Cedolin

A Valley Stream, un sobborgo di New York è accaduto qualcosa che nella sua drammaticità rappresenta per molti versi la sublimazione del consumo per il consumo, così come lo vorrebbero i “timonieri” che ci governano attraverso esortazioni a consumare sempre di più, comunque di più, anche se per farlo saremo costretti ad indebitarci sempre più, fino al momento in cui le banche ci porteranno via la casa e la macchina insieme agli oggetti dei nostri acquisti e all’ottimismo che ci aveva indotto ad acquistare bulimicamente.
A Valley Stream lo scorso venerdì, quello che segue il giorno del Ringraziamento e tradizionalmente viene chiamato “Black friday” (in quanto inaugura il periodo degli acquisti natalizi e porta le casse dei commercianti ad uscire dal rosso) l’orgia del consumo, favorita anche dai fortissimi sconti praticati per attirare la clientela in un momento di crisi, ha raggiunto livelli mai sperimentati prima neppure negli Stati Uniti.

Venerdì alle 4,55 del mattino, quando la notte era ancora fonda ed in cielo tremolavano le stelle, circa 2000 persone si sono ritrovate assiepate dinanzi all’ingresso di un ipermercato della catena Wal – Mart, che proprio alle 5 del mattino avrebbe aperto le proprie porte sull’universo degli acquisti, fatto di schermi al plasma, forni microonde, macchine fotografiche digitali, cellulari all’ultimo grido, console per videogiochi, piumini imbottiti, robot da cucina e mirabilie di ogni genere. Molte di loro, per guadagnare le prime posizioni, si erano messe in fila già il giorno prima ed erano all’addiaccio nel parcheggio dell’ipermercato da 24 ore.
Quando ormai non mancavano che pochi minuti all’apertura, quasi fosse caduta preda di una sorta di fervore mistico, sconosciuto perfino a chi, come Berlusconi e Unieuro si dice pronto a giurare sull’onnipotenza dell’ottimismo, la folla ha iniziato a premere, sfondando i cancelli ancora chiusi e travolgendo qualunque cosa si frapponesse sul suo cammino. Ne ha fatto le spese Jdimypai Damour, impiegato temporaneo di 34 anni originario della Giamaica, travolto ed ucciso dalla folla che gli è letteralmente “passata sopra”, mentre sono rimaste ferite anche alcune persone scivolate a terra nella calca, fra le quali una donna incinta di 8 mesi.
Secondo le numerose testimonianze i “consumatori” non si sono minimamente curati dell’inserviente da loro stessi ammazzato e senza farsi alcuno scrupolo hanno perfino ostacolato i suoi colleghi che tentavano di soccorrerlo, interessati unicamente a razziare i prodotti sugli scaffali prima che gli stessi rischiassero di andare esauriti. Anche dopo l’arrivo dell’ambulanza e della polizia, il flusso dei clienti è continuato come se nulla fosse accaduto ed il rito degli acquisti natalizi è andato avanti per tutta la giornata rimpinguando le tasche di Wal – Mart.

Pur senza cadere nella retorica e nel facile moralismo, eccessi di follia come quello di Valley Stream, le cui dinamiche (fortunatamente non le conseguenze) ricalcano episodi accaduti anche in Italia, basti pensare agli incidenti al centro commerciale Panorama di San Mauro Torinese negli anni 90, inducono a riflettere su quanto in profondità l’imperativo del consumo per il consumo abbia ormai penetrato la nostra società, trasformandoci in individui disumanizzati che ambiscono unicamente ad interpretare il ruolo di tubi digerenti della produzione industriale. Merci che per un sempre crescente numero di persone rappresentano ormai un vero e proprio surrogato dei sentimenti e delle emozioni, un rifugio sicuro all’interno del quale esorcizzare la mancanza di punti di riferimento esistenziali, la superficialità dei contatti umani, il vuoto assoluto di un viversi in modo esclusivamente materialistico, l’incapacità di trovare un senso all’interno di vite che non riescono a correre in profondità. Oggetti di consumo che diventano il terminale delle emozioni, dei sentimenti, dei sacrifici, delle attenzioni. Compagni fedeli che una volta “posseduti” non tradiranno mai, accettando di buon grado l’individuo con tutte le sue contraddizioni.

Trascorrere un’intera giornata festiva e affrontare il freddo della notte, accampati nel posteggio di un centro commerciale, per essere sicuri di non mancare l’acquisto del lettore dvd a metà prezzo o del frigorifero digitale super scontato, rappresenta senza dubbio una manifestazione di follia. Così come è folle l’atteggiamento di migliaia di persone che a notte fonda invadono le corsie di un ipermercato, preoccupandosi unicamente dei propri acquisti scontati, ignorando l’uomo da loro stessi ucciso pochi minuti prima che ancora giace steso per terra.
Ma tanta follia, esacerbata all’interno di episodi surreali come quello di Valley Stream, trova il proprio humus in una società come quella Occidentale all’interno della quale la valenza dell’essere umano viene misurata esclusivamente in virtù delle sue potenzialità di consumatore. Dove chi non consuma a sufficienza non è un buon cittadino, dove l’esibizione degli acquisti superflui equivale all’affermazione del proprio status quo, dove occorre essere ottimisti anche quando si comprende che nel giro di pochi mesi ci si ritroverà a vivere in mezzo ad una strada, dove l’indice del PIL è diventato l’unico valore che conti, dove preservare gli incassi delle grandi catene di distribuzione durante il periodo natalizio è una questione di vita o di morte, dove facendo un lavoro interinale si può morire nel mezzo della notte, schiacciati dalla ressa che alle 5 del mattino sta invadendo le corsie alla ricerca del regalo di Natale a prezzo di sconto.

giovedì 27 novembre 2008

CARTA ORO



Marco Cedolin

La distanza fra la politica ed i cittadini continua a farsi sempre più siderale, probabilmente dipende dal fatto che gli uomini politici una volta assurti agli sfarzi delle logge del potere hanno in tutta fretta dimenticato come vivono le persone normali o più semplicemente è da imputare al fatto che la politica ha ormai raggiunto un tale livello di autoreferenzialità da avere perso ogni residuo contatto con il mondo reale.
Sul finire di questo freddo novembre, mentre già le festività natalizie s’intravedono all’orizzonte ed i governi occidentali continuano a regalare miliardi alle banche (da sempre le aziende con più alta redditività al mondo) mentre si propongono di fare altrettanto con la disastrata industria automobilistica, seguendo le orme di quel vero simbolo del mercato liberista che sono gli Stati Uniti, anche in Italia il governo è in piena attività. Si è appena provveduto a donare Alitalia alla cordata d’imprenditori di rapina capeggiata da Colaninno, ma il vero obiettivo è costituito dal fronteggiare la crisi finanziaria e rinfocolare i consumi di Natale che sembrano in procinto di essere fagocitati dalla recessione.

Dopo il disastro della scuola di Rivoli, il cui soffitto è crollato in testa agli studenti, uccidendo un ragazzo di 17 anni e ferendone altri 20, Guido Bertolaso ha reso noto il drammatico stato in cui versano gli edifici scolastici italiani, affermando che occorrerebbe un investimento di 13 miliardi di euro per metterli in sicurezza. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che della tragedia di Rivoli non si è curato minimamente, ha annunciato con il sorriso sulle labbra di avere stanziato 16 miliardi di euro, non per evitare che le scuole crollino ammazzando gli studenti, bensì per costruire grandi opere, nella fattispecie (come da lui affermato) trafori alpini attraverso i quali convogliare il traffico merci che nei prossimi anni a causa della recessione aumenterà sicuramente a dismisura.

Il ministro Tremonti ha invece occhi solo per le famiglie e proprio ieri ha presentato alla stampa la “Social Card”, una sorta di carta di credito prepagata destinata a 1.300.000 italiani e contenente 120 euro da spendere negli esercizi commerciali convenzionati. La carta verrà ricaricata mensilmente di 40 euro dalla generosità dello Stato e potranno fruirne i cittadini ultra sessantacinquenni e le famiglie con figli piccoli (fino a 3 anni) che abbiamo un reddito fino a 6000 euro, non più di una casa e non più di un'auto. Senza entrare nel merito dell’entità dell’aiuto di Stato che sembra piuttosto misera per rivelarsi propedeutica all’incremento dei consumi e al mezzo con cui si è ritenuto di veicolarlo, non si può evitare di mettere in evidenza come il metro usato per aiutare i “poveri” non risulti assolutamente equilibrato, dal momento che tutti i disoccupati a reddito zero, senza figli o con figli grandi non usufruiranno neppure di questa elemosina.
Peggio di Tremonti sarebbero comunque riusciti a fare il PD e la CGIL che preferirebbero aiutare le famiglie più povere detassando le tredicesime, dimenticando che in Italia i più poveri, disoccupati e precari, la tredicesima non sanno neppure cosa sia.

Affrontare il profondo malessere economico che attanaglia le famiglie italiane, con carte di credito, una tantum e offerte promozionali è un po’ come prendere il mare in una giornata tempestosa a bordo di un materassino, con la speranza che la prima onda ci ributti a riva sul bagnasciuga anziché affogarci. Gli italiani che sono in sofferenza economica (tutti gli italiani che sono in sofferenza economica) non hanno bisogno di qualche elemosina formato “mastercard”, bensì di un reddito continuativo che consenta loro di vivere con dignità, di progettare un futuro, di non sentirsi al margine della società.
In un’Italia dove l’emorragia occupazionale sta crescendo a dismisura non servono a nulla le carte di credito modello Tremonti e meno ancora l’elemosina mirata a coloro che percepiscono la tredicesima, come gradirebbero la sinistra ed i sindacati.

Occorre creare nuove opportunità di lavoro, magari indirizzando i 16 miliardi stanziati a favore delle grandi opere della mafia del cemento e del tondino (il settore che in assoluto genera il minore ritorno in termini di occupazione) per ristrutturare gli edifici scolastici e liberarli dall’amianto, magari procedendo a ristrutturare, nell’ottica di accrescere la loro efficienza energetica, il patrimonio immobiliare, magari riconvertendo quell’anacronistico dinosauro che è l’industria automobilistica alla costruzione di microcogeneratori per l’autoproduzione energetica, magari procedendo alla bonifica delle aree inquinate dai rifiuti tossici di provenienza industriale. Le occasioni certo non mancherebbero, quello che manca è purtroppo una classe politica che possieda una minima consapevolezza della realtà che la circonda e sappia affrancarsi, almeno un poco, dal suo ruolo di “cameriere” dei grandi poteri che ne gestiscono l’operato.

mercoledì 19 novembre 2008

QUEI MILIARDI INVESTITI NELLO SPAZIO



Marco Cedolin

Talvolta, generalmente all’interno di qualche trafiletto di giornale o in coda al palinsesto dei TG, può accadere che venga menzionata la Stazione Spaziale Internazionale. Lo shuttle dopo alcuni giorni di blocco per il maltempo è potuto finalmente decollare verso ISS trasportando il modulo tale o tal’altro, i guasti all’interno di ISS sono stati riparati, un astronauta (notizia di ieri) ha perso la valigetta degli attrezzi, mentre stava lavorando, insieme ad un collega e si sta tenendo sotto controllo l'involucro fluttuante nello spazio, per verificare che non vada a danneggiare le apparecchiature della ISS.
Ma cos’è realmente ISS? Quanto costa? Chi la paga? E per quali scopi verrà realizzata?

La Stazione Spaziale Internazionale costerà circa 100 miliardi di dollari di denaro pubblico (praticamente 10 miliardi per ognuno dei 10 anni di prevista attività) a carico dei contribuenti dei 16 paesi che aderiscono al progetto.
La stazione è stata concepita come un laboratorio orbitante multidisciplinare, il cui scopo principale è quello di costituire un laboratorio permanente sia per esperimenti da condurre in microgravità, sia per l’osservazione della terra e dello spazio. Sarà pertanto sfruttata in campo scientifico e tecnologico, abbracciando svariate discipline che andranno dalla fisica alla chimica, alla biologia alla medicina alla fisiologia all’astronomia. Nell’ambito dello sfruttamento di ISS è altresì previsto un forte coinvolgimento industriale attraverso piani di programmazione a medio - lungo termine, finalizzati ad un utilizzo commerciale. Secondo fonti vicine alla NASA la stazione potrebbe inoltre in futuro assolvere al ruolo di vera e propria rampa di lancio per eventuali missioni interplanetarie.

Il progetto della Stazione Spaziale Internazionale iniziò a muovere i primi passi nel 1984, sponsorizzato dall’allora Presidente americano Ronald Reagan e prese man mano forma attraverso la firma del primo accordo intergovernativo tra i paesi partecipanti (inizialmente 13) nel 1988, per poi giungere attraverso accordi successivi (1991, 1993, 1997) all’accordo definitivo firmato a Washington il 29 gennaio 1998 che sancì di fatto l’inizio della costruzione dell’opera, nel mese di novembre dello stesso anno. Il completamento della ISS previsto inizialmente per il 2006 è stato procrastinato al 2008 a causa di un lungo periodo di stallo conseguente al disastro dello shuttle Columbia che nel 2003 si disintegrò al rientro nell’atmosfera terrestre, per i danni subiti dallo strato protettivo della navicella al momento del lancio. Nonostante i lanci siano ripresi, le operazioni stanno procedendo a rilento a causa di una lunga sequela di guasti ed inconvenienti che sposteranno inevitabilmente ancora più avanti nel tempo la data di conclusione dei lavori (oggi si presume si tratti del 2010), rischiando di mettere concretamente a repentaglio la buona riuscita del progetto stesso.
Le 16 nazioni che collaborano allo sviluppo del progetto sono: Belgio, Brasile, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Svizzera.
L’Italia partecipa alla costruzione della ISS in una triplice veste. Direttamente attraverso l’accordo bilaterale con la NASA, fornendo i moduli logistici Leonardo, Raffaello e Donatello, nell’ambito dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) realizzando il laboratorio Columbus Orbital Facility e tramite una contribuzione economica pari al 19% dell’intero esborso dell’ESA nel progetto, nonché costruendo due dei tre nodi di interconnessione fra i diversi moduli pressurizzati della ISS.
In base agli accordi sottoscritti, ognuna delle nazioni partecipanti al progetto potrà utilizzare ISS in misura proporzionale all’entità del suo investimento economico nell’operazione. L’Italia dovrebbe fruire di un punto di attracco esterno per un lasso temporale di circa 3 mesi l’anno, avere il diritto di trasportare in orbita 130 kg/anno di carichi utili, beneficiare di circa 60 ore l’anno per esperimenti dedicati a progetti italiani e utilizzare annualmente 1.800 KW di energia elettrica.
Numerose industrie italiane o con sedi in Italia partecipano in varia misura nell’ambito dell’intero progetto, sia per quanto concerne la costruzione della stazione, sia riguardo allo sviluppo del segmento di terra. Fra esse spiccano Alenia Spazio (Gruppo Finmeccanica), Fiat Avio, Microtecnica, Fiar, Carlo Gavazzi, Laben (Gruppo Finmeccanica), Alfameccanica, Contraves Italia e Datamat, Dataspazio, Telespazio, tutte del Gruppo Finmeccanica.


Una volta completata la Stazione Spaziale Internazionale sarà costituita da una struttura reticolare lunga 95 m che sosterrà i pannelli solari per la generazione di energia elettrica, i radiatori per la dissipazione del calore in eccesso ed il complesso dei moduli pressurizzati. Su questa struttura sarà montata tutta una serie di elementi funzionali della stazione, fra cui tre braccia robotizzate e quattro piattaforme per l’alloggiamento di carichi utili ed esperimenti esterni.
Una volta assemblato, l’intero complesso coprirà una superficie di 108 metri per 74 pari a quella di un campo di calcio, con uno spazio abitabile di 1.300 metri cubi, peserà 450 tonnellate, potrà ospitare 7 persone e disporrà di 110 KW di energia elettrica. Orbiterà ad un’altezza compresa fra i 350 ed i 450 km e completerà un giro intorno alla terra ogni ora e mezza, mentre il suo assemblaggio richiederà oltre 70 lanci. L’alimentazione elettrica a bordo sarà fornita da 24 pannelli solari lunghi 38 metri e larghi 13 che saranno costantemente puntati verso il sole, al fine di garantire la massima esposizione. Il sistema sarà inoltre integrato da batterie ricaricabili che interverranno durante i passaggi dell’ISS attraverso il cono d’ombra generato dalla terra. A completamento della dotazione saranno installati tre enormi bracci meccanici snodabili della lunghezza di 16 metri che saranno in grado di spostare carichi di oltre 20 tonnellate e una navicella spaziale di salvataggio permanentemente ancorata all’esterno. La stazione sarà inoltre composta da 6 moduli laboratorio per la sperimentazione scientifica (2 americani, 2 russi, 1 europeo e 1 giapponese), 4 moduli logistici, 2 camere di decompressione, 2 tralicci portanti e 11 pannelli radiatori.
Il modulo laboratorio europeo Columbus è un laboratorio abitato multiuso per le ricerche nel campo della scienza dei materiali, della fisica dei fluidi, delle scienze della vita, delle scienze spaziali e della tecnologia. Sarà l’elemento più importante delle attività di ricerca europea sulla ISS ed è composto da un modulo cilindrico della lunghezza totale di 6,7 metri e dal diametro esterno di 4,5 metri. Il cilindro realizzato in Italia dalla Alenia Spazio ha una struttura multistrato ed è rivestito da un pannello termoisolante e da uno schermo di protezione contro i meteoriti ed i detriti spaziali.
I moduli logistici (Multi Purpose Logistic Module) sono degli elementi pressurizzati utilizzati per il trasporto verso ISS di equipaggiamenti, rifornimenti e materiale per esperimenti, mediante le navette spaziali americane. Ogni elemento può rimanere agganciato alla stazione per una settimana, affinché gli astronauti possano compiere le operazioni di carico e scarico, dopodiché il modulo viene sganciato e riposto nella stiva dello shuttle per fare ritorno a terra con il suo carico di apparecchiature e materiali usati per le attività di ricerca in orbita, strumenti non più necessari ed anche rifiuti. Ciascun modulo è stato realizzato per compiere 25 missioni nel corso della sua vita operativa di 10 anni.
I Nodi sono gli elementi d’interconnessione fra i diversi moduli pressurizzati della stazione e forniscono i punti di attracco per la navicella spaziale di salvataggio e per i veicoli che periodicamente si recano a visitare la stazione stessa. All’interno dei Nodi sono ospitati i sistemi e gli equipaggiamenti che assicurano l’abitabilità, garantendo la distribuzione dell’energia e dell’aria e il funzionamento delle comunicazioni.

Gli astronauti che vivranno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (mediamente 6 o 7 persone) condurranno una vita piuttosto ritirata e per certi versi bizzarra, senza rinunciare comunque ad alcuni comfort. Seguiranno una dieta imposta da esperti nutrizionisti i quali verificheranno che i cibi contengano la giusta quantità di vitamine e proteine, sulla base delle esigenze di ogni singolo membro dell’equipaggio. La scelta sarà quanto mai variegata ed in grado di soddisfare praticamente qualunque palato, spaziando dalla frutta alla carne, al pollo, al pesce, alla pasta, alle salse, ai biscotti, senza dimenticare il caffè, il the ed i succhi d’arancia, il tutto ovviamente liofilizzato al fine di rendere le sostanze molto più leggere durante il trasporto.
A causa degli enormi costi connessi all’invio di materiale nello spazio, su ISS l’acqua dovrà essere riciclata in ogni sua forma al fine di ridurne al minimo il consumo. Il sistema di rigenerazione dell’acqua, denominato Water Recycling System (WRS) provvede a riciclare tutti i liquidi derivanti dall’igiene orale e dal lavaggio delle mani, nonché l’umidità raccolta nell’aria e perfino le urine provenienti non solo dagli astronauti ma anche dagli animali presenti nei laboratori. Per quanto la cosa possa apparire disgustosa l’acqua riciclata presenta, secondo le parole degli esperti, maggiori caratteristiche di purezza rispetto a quella che sgorga dai rubinetti delle nostre case.
Il rapporto degli astronauti con il sonno non sarà per ovvie ragioni di quelli più facili, data l’assenza di gravità, la presenza delle luci sempre accese, il sorgere del sole ogni 45 minuti ed il costante rumore delle varie apparecchiature di bordo. Per ovviare a questi inconvenienti e far si che possano godere delle canoniche 8 ore di sonno, che anche nello spazio vengono considerate indispensabili per consentire una proficua giornata di lavoro, gli astronauti saranno costretti a dormire in speciali sacchi a pelo ancorati alle pareti dei moduli, utilizzando apposite maschere per il sonno che copriranno gli occhi e robusti tappi per le orecchie.
A bordo della ISS saranno presenti sistemi di pressurizzazione e regolazione dell’atmosfera tali da consentire agli astronauti di lavorare senza l’ingombro delle tute spaziali. Gli occupanti della stazione potranno pertanto indossare abiti confortevoli realizzati nelle fogge e nei colori più svariati dagli stilisti “di grido” utilizzando un materiale ignifugo simile al cotone denominato “nomex”.
Le tute pressurizzate che tanto fascino destano nell’immaginario di noi tutti, saranno specificamente destinate alle altrettanto affascinanti “passeggiate spaziali” e cioè a tutte le attività che necessiteranno di essere svolte all’esterno della stazione. Tali tute rappresenteranno una sorta di “astronave in miniatura” in quanto dovranno garantire al suo occupante non solo un’appropriata atmosfera respirabile, ma anche una protezione dalle violente escursioni termiche (da +200 gradi a –150 gradi) causate dalla presenza o dall’assenza del sole.

Pur presentandosi carico di suggestioni e quanto mai ricco di promesse tanto nell’ambito dell’innovazione scientifica e tecnologica quanto in quello delle prospettive commerciali, il progetto della ISS ha incontrato nel corso della sua realizzazione una lunga serie di difficoltà che oltre a spostare sempre più avanti nel tempo la data di completamento dell’opera hanno minato in profondità la credibilità dell’intera operazione. Il disastro dello shuttle Columbia avvenuto nel 2003 è stato preceduto e seguito da un’enorme sequela di guasti, incidenti e contrattempi che hanno impietosamente messo in evidenza le vaste lacune di carattere tecnico ed organizzativo esistenti nel progetto ISS. Va ricordato a questo riguardo che nello scorso mese di giugno 2007 si è verificato un grave inconveniente al computer centrale della ISS, che regola fra le altre cose il flusso di ossigeno e acqua oltre all’orientamento della base orbitante. A causa del malfunzionamento, durato oltre 2 giorni, si è a lungo temuto che la stazione dovesse essere completamente evacuata imponendo in questo modo un nuovo stop, forse fatale, alla prosecuzione delle operazioni di assemblaggio della stessa.
Le prospettive di mirabolanti scoperte tecniche e scientifiche al servizio dell’umanità sembrano essere sempre meno realistiche in una realtà come quella attuale dove i colossi farmaceutici ed industriali gestiscono l’innovazione a proprio uso e consumo senza tenere in alcun conto il bene comune e le necessità delle persone. Al di là delle suggestioni di carattere emotivo, in un mondo sempre più a corto di energia, il cui futuro prossimo è pregiudicato dalle conseguenze dei mutamenti climatici e da una pesante crisi economica che sta coinvolgendo anche i paesi maggiormente sviluppati, il faraonico progetto ISS dimostra di essere una scelta scarsamente opportuna e per nulla in sintonia con i reali bisogni del nostro tempo. Le velleità di conquista spaziale pagate al prezzo di enormi sacrifici in termini di risorse energetiche ed economiche appaiono oggi tanto più anacronistiche se proiettate nei prossimi decenni quando la nostra società dovrà per forza di cose confrontarsi con i problemi ingenerati dalla sconsiderata politica sviluppista. Saranno necessarie risposte che partano dalla necessità di razionalizzare e diminuire i consumi energetici, ridurre in maniera sensibile l’ingerenza della tecnosfera sulla biosfera, trovare nuovi equilibri d’interazione che permettano all’uomo di coesistere con l’ambiente che lo circonda in maniera armonica, senza sentirsi compulso a fagocitarlo quasi si trattasse di un nemico da abbattere.
La Stazione Spaziale Internazionale in un contesto di questo genere sarà più simile ai dinosauri di Jurassic Park piuttosto che alle meraviglie tecnologiche narrate nei romanzi di fantascienza e una volta dismessa finirà per andare ad ingrossare il cospicuo carico di spazzatura spaziale che già oggi orbita intorno alla terra con grave rischio per l’integrità dei satelliti operativi ed è costituito da 8.500 rottami di varie dimensioni.

martedì 11 novembre 2008

NO TAV, NO MAFIA



Marco Cedolin

Ci sono note di colore che meglio di qualsiasi altro accadimento riescono a fotografare perfettamente lo stato di profondo degrado nel quale ormai giacciono sia l’informazione che la politica all’interno di questo disgraziato Paese. Note di colore che sembrerebbero rubate ai cartoni dei Simpson o a qualche commedia del filone demenziale, ed invece appartengono drammaticamente al lemmario dei nostri TG e dei mestieranti della politica che proprio davanti alle telecamere giorno dopo giorno costruiscono la propria immagine, cambiando opinione alla bisogna, così come fanno con gli abiti le modelle durante un defilè.

Ormai da un paio d’anni, senza che nessun politico o giornalista abbia avuto a dolersene più di tanto, sul Monte Musinè, praticamente all’ingresso della Valle di Susa, campeggia un’enorme scritta “NO TAV” non dipinta con la vernice, bensì realizzata pazientemente con teli e reti da cantiere per opera di un nutrito gruppo di valsusini.
Qualche giorno fa un ugualmente nutrito gruppo di NO TAV si è recato sul Musinè alla luce del sole e, dopo che le guardie forestali avevano proceduto all’identificazione di ogni singolo partecipante, ha provveduto a risistemare la scritta originaria danneggiata dalle intemperie, premurandosi, in pieno accordo con la sensibilità di tutti gli altri attivisti valsusini, di affiancare ad essa un’altrettanto eloquente scritta “NO MAFIA”, chiudendo in questo modo il cerchio che vede le grandi opere come una delle principali fonti di arricchimento delle organizzazioni mafiose, come tanta letteratura e altrettanti processi stanno a dimostrare.

Per una strana ironia del destino, là dove la primigenia scritta NO TAV (senza dubbio espressione di un sentimento partigiano) aveva suscitato al più una stizzita indifferenza, la neonata scritta NO MAFIA (che dovrebbe rappresentare il sentimento di qualsiasi italiano) ha invece scatenato una vera e propria levata di scudi della quale si sono fatti interpreti tanto gli organi d’informazione quanto i politici locali più in vista.
Perfino il TG3 regionale si è sentito in dovere di dedicare un servizio carico di livore al “drammatico” avvenimento, mentre il quotidiano la Repubblica ha approfondito la questione all’interno di un articolo.
I giornalisti della RAI si sono profusi in uno dei loro migliori campionari di cattiva informazione, travisando completamente la realtà e fornendo informazioni fasulle, arrivando ad affermare che la scritta sarebbe stata tracciata con la vernice (mentre si tratta di teli) da mani ignote (mentre l’hanno composta alla luce del sole persone che hanno fornito le proprie generalità) per collegare l’alta velocità Torino – Lione a chissà quale riferimento mafioso, riferimento che in Italia ormai sfugge solamente a chi per mestiere fa il belatore nei TG nazionali.
Il balioso vicegruppo di Forza Italia alla camera Osvaldo Napoli, ex sindaco di Giaveno ed ex avversario del TAV quando nel 1997 lo definiva “una follia senza limiti”, evidentemente contrariato oltremisura dal fatto che qualcuno abbia avuto l’ardire di osteggiare la mafia, ha letteralmente perso le staffe arrivando a definire sulle pagine di Repubblica i NO TAV come “gli estremisti della Val di Susa, personaggi disgustosi, vigliacchi e incapaci di razionalità” che andranno rintracciati (hanno già lasciato i loro nomi) e puniti a norma di legge (quale legge, quella che dovrebbe tutelare la mafia?) senza esitazione.
Il cangevole presidente della Comunità montana bassa Valle di Susa Antonio Ferrentino, ex DS, ex NO TAV (diventato famoso in Italia grazie agli innumerevoli passaggi in TV all’ombra della bandiera con il treno crociato) ha dichiarato al TG3 che si tratterebbe di una provocazione che non può essere attribuita alla Valle, da rigettare come gli altri estremismi, lasciando intuire che nel territorio da lui amministrato opporsi alla mafia è cosa disdicevole, provocatoria ed estremistica.
Il manevole deputato del PD Giorgio Merlo di Pinerolo, approdato alla corte di Veltroni dopo lunga esperienza fra scudi crociati e margherite, sempre sulle pagine di Repubblica non ha esitato a manifestarsi sodale con le parole di Osvaldo Napoli, dimostrando di fatto che in tema di mafia e grandi opere, PD e PDL mantengono la stessa visione d’insieme senza che esista alcuna sbavatura.

La morale che si evince da questa vicenda surreale è una sola e si può sintetizzare in un consiglio a tutti i movimenti che in Italia si battono contro le grandi opere e le nocività.Gridate e scrivete pure NO TAV, NO Mose, NO inceneritore, NO Ponte, NO Centrale, NO rigassificatore, NO discarica, NO basi di guerra, ma non azzardatevi ad aggiungere NO mafia perché in quel caso politici e giornalisti perderanno davvero la testa e non esiteranno ad additarvi come estremisti pericolosi da rinchiudere.

lunedì 10 novembre 2008

TROPPA LUCE ABBAGLIA!



Marco Cedolin

I giovani della “banda del neon” (Clan du Néon) un movimento di ambientalisti francesi che si batte contro gli sprechi energetici e l’inquinamento luminoso, passano le proprie nottate spegnendo
le insegne luminose che “adornano” i centri commerciali e le vie dei centri cittadini. Agiscono in maniera assolutamente pacifica e senza provocare alcun danno, semplicemente raggiungendo con l’ausilio di una certa agilità il pulsante di spegnimento esterno, generalmente collocato accanto all’insegna stessa. Le loro azioni sono mirate esclusivamente alle insegne pubblicitarie che non presentano alcun carattere di utilità, tralasciando per ovvie ragioni i bar, le farmacie e tutte quelle insegne che potrebbero rappresentare un servizio per il cittadino.
Il movimento, che ha un proprio statuto ufficiale, è nato a Parigi, ma sta facendo proseliti un po’ dappertutto e in molte altre città francesi (da Bordeaux alla Normandia e alla Provenza) stanno nascendo gruppi analoghi impegnati a portare avanti la stessa battaglia. Una battaglia contro le insegne pubblicitarie inutili che, secondo gli attivisti in Europa consumano ogni notte circa 10 Gigawatt, contribuendo in questo modo a peggiorare il grado d’inquinamento e conseguentemente i mutamenti climatici attualmente in corso.

I giovani della “banda del neon”, il cui esempio è auspicabile venga presto seguito anche negli altri paesi d’Europa, non solo dimostrano una contagiosa voglia di reagire di fronte alla società del consumo che ci vuole cristallizzati sotto forma di apatici tubi digerenti, ma mettono anche in luce l’assoluta inanità di una classe politica che ha fatto dell'ipocrisia il proprio modus vivendi.
A spegnere le insegne pubblicitarie inutili che ogni notte campeggiano nelle nostre città, provocando inquinamento luminoso e determinando lo spreco di grandi quantitativi di energia, avrebbero infatti da tempo dovuto provvedere quegli uomini politici che a parole non perdono occasione per mettere in evidenza quanto grave sia il problema dei mutamenti climatici (soprattutto dopo il rapporto Stern e quello IPCC) e quale attenzione il cittadino debba porre nel tentare di limitare i consumi energetici superflui. Quei politici che a braccetto con le grandi Corporation dell’energia da un lato si prodigano nel dispensare ai cittadini “consigli virtuosi” volti al risparmio energetico, mentre dall’altro progettano di riempire le nostre città di manifesti pubblicitari elettronici in sostituzione di quelli cartacei e inseriscono centinaia di schermi lcd all’interno delle stazioni ferroviarie e degli aeroporti. Quei politici che continuano a ricordarci come dovremmo consumare meno energia, mentre contemporaneamente tentano d’incentivarci a consumarne sempre di più.
E allora tocca alla “banda del neon” spegnere la stupidità, nella speranza che possa accendersi la luce sul futuro.

giovedì 6 novembre 2008

L'ALTRA CRISI



Marco Cedolin

Secondo i dati diffusi dall’INPS l’incremento della cassa integrazione nell’ultimo anno ha sfiorato il 70% e nell’ultima mensilità oggetto di rilevazione, quella fra agosto e settembre, l’aumento medio è stato del 53% con una punta massima del 113,79% per quanto riguarda gli impiegati.
Le aziende che stanno ricorrendo alla cassa integrazione appartengono a tutti i settori, da quello industriale con nomi altisonanti come Fiat, Ilva, Electrolux, Aprilia, Skf, Pininfarina a quello dei servizi dove perfino Carrefour, fra i leader della grande distribuzione, ha messo in cassa integrazione a Milazzo una quarantina di dipendenti.
In alcune zone, come il torinese, le aziende che stanno sfruttando la cassa integrazione rappresentano ormai la maggioranza e nella sola Bertone 1.200 dipendenti sono in questa situazione da ben 5 anni.

Accanto ai lavoratori in cassa integrazione ce ne sono anche altri molto più sfortunati, come i dipendenti delle aziende che stanno fallendo o comunque chiudono definitivamente i battenti, i lavoratori delle piccole e piccolissime aziende per i quali la cassa integrazione non è contemplata, i milioni di precari del pubblico e del privato che sono esautorati da qualsiasi genere di tutela.
In provincia di Torino perfino le oltre 300 agenzie interinali, abituate a costruire profitto sulle spalle dei precari, dopo alcuni anni d’incremento del proprio fatturato iniziano a trovarsi in profonda difficoltà a causa del mancato rinnovo dei contratti da parte delle aziende alle quali i lavoratori venivano “affittati” e alla crescenti richieste di rimandare indietro i lavoratori prima della scadenza, anche a fronte del pagamento di cospicue penali.

La pesantissima crisi occupazionale, della quale queste sembrano essere solamente le prime avvisaglie, sarà destinata ad acuirsi notevolmente nei prossimi mesi (molti fra i quali Giuliano Amato parlano di 1 milione di posti di lavoro a rischio) non solamente in virtù delle conseguenze della crisi dei mercati finanziari ma anche e soprattutto a causa dell’inadeguatezza di un modello di sviluppo che ormai sta mostrando tutti i propri limiti.
Se da un lato la delocalizzazione delle imprese nei paesi a più basso costo di manodopera intervenuta negli ultimi 2 decenni (con la conseguente emorragia di un sempre più elevato numero di posti di lavoro) e la progressiva perdita del potere di acquisto di salari e pensioni alla quale neppure il ricorso al credito riesce più a fare fronte, stanno determinando un ridimensionamento dei consumi, prodromico di nuove riduzioni dell’occupazione, dall’altro tutto il nostro sistema economico fossilizzato sull’asse produzione/consumo di merci e servizi non sembra in grado di offrire alcun tipo di risposta che possa, anche solo potenzialmente, spezzare il circolo vizioso. Manca sia nel breve che nel medio periodo qualsiasi prospettiva finalizzata a ripensare la società e l’economia in chiave diversa da quella imposta dal modello della crescita e dello sviluppo. Manca la volontà di confrontarsi col futuro reinterpretandolo alla luce di una ritrovata sensibilità che sappia introiettare un nuovo senso del limite. Manca qualsiasi proposta concreta che ci consenta di guardare al domani con un minimo di speranza.In compenso il governo sembra intenzionato a continuare a finanziare con il denaro pubblico, sia il sistema bancario che quello industriale, nel tentativo d’incrementare in maniera schizofrenica la produzione di automobili ed elettrodomestici, senza preoccuparsi del fatto che nei prossimi anni nessuno sarà più in grado di acquistarli.

lunedì 3 novembre 2008

EREDITA' NUCLEARE



Marco Cedolin

Che fine hanno fatto le centrali nucleari italiane inattive dal 1987 equiparabili a vere e proprie scorie radioattive sotto forma di infrastrutture? E quale sarà il destino delle scorie nucleari prodotte nel nostro paese prima che il referendum sancisse l’abolizione del ricorso all’atomo?
Sarebbe logico attendersi che la consorteria dei fautori di un ritorno al nucleare, all’interno della quale si colloca larga parte della classe dirigente del Paese, partendo dai membri del governo Berlusconi, passando per i componenti dell’esecutivo “ombra” del PD per arrivare agli ambientalisti pentiti folgorati sulla via di Damasco come Chicco Testa, fosse in grado di dare al riguardo delle risposte tanto esaurienti quanto in grado di fugare qualsiasi perplessità.
Ma la logica è “un’arte” assai difficile da mettere in pratica e purtroppo occorre constatare come tutti coloro che in questi mesi si stanno rendendo artefici di un profluvio di parole aventi come oggetto la necessità di un ritorno all’atomo, più sicuro e più bello perché di terza o quarta generazione, evitino accuratamente di spendere anche una sola sillaba per rendere conto del destino di tutto quello che in Italia di radioattivo c’è già, ed avendo peso specifico ben superiore a quello delle parole tale sarà destinato a rimanere per qualche centinaio di migliaia di anni.

Ad oggi è stato realizzato solamente l’8% del totale delle attività di smantellamento delle centrali nucleari esistenti in Italia e nelle ottimistiche previsioni si pianifica di raggiungere il 40% entro la data del 2011. Il tutto naturalmente senza avere la minima idea di dove allocare in via definitiva le scorie derivanti dallo smantellamento stesso, il 90% per cento delle quali ( a bassa attività) hanno un tempo di decadimento di qualche centinaio di anni e il 10% (ad alta attività) manterranno la propria radioattività per un lasso temporale elevatissimo fino a 300.000 anni.
Una parte delle scorie nucleari prodotte durante il periodo di attività delle centrali sono attualmente all’estero dove verranno sottoposte a riprocessamento e torneranno dalla Gran Bretagna nel 2017 e dalla Francia nel 2025, senza che attualmente sia stato deciso dove collocarle.
Dopo avere carezzato nel 2003 il balzano proposito di costruire un deposito definitivo per 60.000 metri cubi di scorie nucleari ad alta, media e bassa attività in Basilicata nei pressi di Scanzano Jonico, proposito decaduto dopo appena 2 settimane di fronte alla contrarietà non solo delle popolazioni interessate ma anche di larga parte del mondo scientifico italiano ed internazionale, la società Sogin deputata a risolvere la questione non è infatti stata in grado di fornire alcuna risposta.
E non potrebbe essere diversamente dal momento che in tutto il mondo i depositi definitivi per le scorie nucleari, consistenti in silos di cemento armato o depositi geologici profondi, ospitano solamente scorie a bassa e media attività, mentre per quelle ad alta attività nessuno ha saputo offrire una qualche soluzione praticabile. Neppure il progetto Yucca Mountain del costo previsto di 60 miliardi di dollari, messo a punto negli Stati Uniti e tuttora oggetto di grandi discussioni in merito alla sua validità, ha l’ambizione di manifestarsi in qualche modo risolutivo dal momento che nella migliore delle ipotesi metterebbe “in sicurezza” per 10.000 anni scorie destinate a mantenere la propria radioattività per 300.000 anni.

Se i TG, le grandi testate giornalistiche e le trasmissioni culturali e scientifiche che propongono dibattiti con gli esperti nei salottini buoni della TV, ogni qualvolta affrontano il tema del nucleare proponendolo come un’opportunità imprescindibile per il nostro futuro, ci documentassero riguardo al destino delle scorie ereditate dal nucleare passato, senza dubbio l’informazione risulterebbe di ben altra qualità e l’opinione pubblica fruirebbe di elementi assai interessanti intorno ai quali riflettere.

giovedì 30 ottobre 2008

SETTE IN CONDOTTA



Marco Cedolin

Giornali e telegiornali stanno dando in queste ore il massimo risalto alla notizia che il fronte degli studenti impegnati a protestare contro il decreto Gelmini si sarebbe spaccato, dando origine a violenti scontri fra giovani di destra e di sinistra che non avrebbero resistito alla tentazione di anteporre le proprie rivalità all’interesse unitario della protesta. La cronaca delle varie testate giornalistiche lascia intendere che la responsabilità degli eventi sia da addebitarsi ora all’una ora all’altra parte politica, ma ciò che più conta è che tutto il circo dell’informazione stia puntando il dito in direzione delle divisioni nel movimento studentesco che confermerebbero come in fondo non sia cambiato nulla che i giovani continuino a dimostrarsi totalmente incapaci di condurre la protesta in maniera unitaria.

Alla luce di quanto è accaduto nella giornata di ieri e dell’enfasi con la quale i media hanno rappresentato sotto forma di scontri fra studenti delle opposte fazioni, quella che in realtà è sembrata essere stata una vera e propria aggressione tanto organizzata quanto strumentale nei confronti dell’intero corteo studentesco composto da giovani di ogni colore, sono doppiamente soddisfatto delle mie parole con le quali in un articolo di un paio di giorni fa rendevo merito al nascente movimento studentesco di avere impartito una vera “lezione” consistente nell’avere intrapreso una strada che riuscisse a fare prevalere l’unità d’intenti rispetto alle differenze.
Una strada particolarmente sgradita a tutti coloro che da tempo immemorabile continuano a strumentalizzare i giovani ed i movimenti educandoli a quella strategia della tensione che risulta essere funzionale al mantenimento delle proprie posizioni di potere.

La possibilità che in questo Paese inizino a crescere i movimenti politici e di opinione che proprio facendo tesoro della trasversalità politica riescano a risultare più incisivi e partecipati spaventa da morire chi continua a gestire il potere ed ha fatto del "dividi et impera" la propria parola d'ordine.
Spaventa perché maggiore partecipazione significa contestazioni più dure ed articolate. Spaventa perchè all'interno della trasversalità è presente in nuce il "germe" di una nuova sensibilità che potrebbe scalzare la dicotomia "destra" - "sinistra" all’interno della quale intere generazioni di faccendieri politici hanno costruito le proprie fortune. Spaventa perché se i giovani di destra e di sinistra smettessero di bastonarsi a vicenda e iniziassero a guardare alla realtà che li circonda verrebbe meno il controllo delle segreterie di partito. Spaventa perché movimenti trasversali ed organizzati potrebbero saldare alla protesta contro il decreto Gelmini altri temi altrettanto pregnanti e sentiti nel Paese, come la lotta contro il precariato, contro le grandi opere, contro le basi di guerra americane, contro la globalizzazione ed il neoliberismo dei banchieri.

E allora per scacciare la paura e “normalizzare” gli studenti che a questo punto non servono più a nessuno, dal momento che Berlusconi può ormai vantarsi di avere “sistemato” anche la scuola dopo la munnezza di Napoli e gli alleati Veltroni e Di Pietro si apprestano a diventare gli unici depositari della contestazione attraverso un ridicolo referendum, non resta altro da fare che seguire, magari non proprio alla lettera, gli insegnamenti portati qualche giorno fa da Francesco Cossiga che candidamente suggeriva:
''Maroni dovrebbe fare quello che feci io quando ero ministro dell'Interno. In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perche' pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito...''. ''Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle universita', infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le citta'''. ''Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovra' sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri'', nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pieta' e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano''. ''Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine si'.

Il sette in condotta lo merita una classe politica imbolsita e corrotta, sempre uguale a sé stessa anche nella sua reazione di fronte a qualsiasi novità.Gli studenti? In TV e sulle pagine dei giornali stanno diventando i “soliti violenti”, facinorosi, fascisti e comunisti che spaccano tutto, invasati che cercano ogni pretesto per picchiarsi fra loro, come nel 68, come nel 77, come nel 2008, a meno che gli italiani un giorno di questi decidano che è giunto il momento di dire basta al metodo Cossiga.

mercoledì 29 ottobre 2008

Opzione Zero

Marco Boschini
fonte: www.decrescitafelice.it

Capannori (LU) è il primo comune in Italia ad aver aderito alla “strategia rifiuti zero”. Attraverso una delibera consiliare l’amministrazione ha voluto cioè impegnarsi in una sfida totalmente controcorrente e per questo rivoluzionaria.Infatti se oggi aprissimo a caso una qualsiasi pagina di giornale o ci collegassimo con un telegiornale nazionale, le uniche parole legate al tema dei rifiuti sarebbero sporcizia, emergenza, termovalorizzatori…In questa cittadina toscana, al contrario, le parole (e i fatti) raccontano di un modo nuovo e diverso di amministrare un territorio: buon senso, inventiva, concretezza.In questi anni il Comune di Capannori ha dimostrato che l’aumento dei rifiuti non è più un dato immodificabile, ma solo un fattore che può essere governato con il coraggio di una politica che guarda alla sostenibilità e alla necessità di scelte coraggiose e concrete per un comune futuro possibile.A Capannori si è costruita cioè una politica ambientale i cui punti fondamentali sono essenzialmente due: sostenibilità e partecipazione.Il Comune ed ASCIT (l’azienda locale che si occupa della raccolta dei rifiuti) hanno dunque avviato una completa riorganizzazione del servizio andando ad eliminare dal territorio tutti i cassonetti ed attivando la raccolta domiciliare “Porta a porta”, con la consegna a tutte le famiglie degli strumenti per la raccolta differenziata.A Capannori il “Porta a porta” è un sistema ormai consolidato su oltre 26 mila dei 45 mila cittadini del comune, con una raccolta differenziata che supera l’80% di differenziazione. Sono bastate queste cifre per far schizzare la raccolta a livello comunale oltre il 57% nel 2007. Con questi dati già dal 2006 Capannori è il primo comune toscano per raccolta differenziata.Con la raccolta differenziata dal 2004 al 2007 sono stati avviati a riciclaggio 56.861 tonnellate di rifiuti. A Marlia e Lammari (le due frazioni più abitate servite dal porta a porta) sono stati avviati a riciclo, dal gennaio 2006 al dicembre 2007, ben 8.288 tonnellate di rifiuti.Dall’avvio del “Porta a porta”, grazie all’aumento della raccolta differenziata c’è stata una riduzione dei rifiuti indifferenziati di oltre 10.000 tonnellate.Grazie alla sola raccolta differenziata della carta nel 2007 si è risparmiato l’abbattimento di 100.000 alberi, il consumo di 2.85 milioni di litri di acqua, l’emissione di 9.100 tonnellate di CO2. Per un termine di paragone 2,85 milioni di litri di acqua risparmiati equivalgono al risparmio idrico del consumo annuo di ben 31.647 cittadini.Grazie al riciclo del vetro e della plastica, la mancata emissione in atmosfera di CO2 è stata pari a ben 821.200 kg. Grazie all’utilizzo di sfalci e potature si è ottenuto un risparmio di 1.074.500 kg di CO2.Sommando questi dati si ottiene la mancata emissione di 1.904.800 tonnellate di CO2 in atmosfera, dato che coincide con il mancato consumo di 676.204 barili di petrolio.Nel 2007 sono state raccolte 15.723 tonnellate di materiale differenziato. In Provincia di Lucca il costo medio di conferimento dell’indifferenziato è di 160 euro alla tonnellata. Se queste 15.723 tonnellate fossero finite nel circuito dei rifiuti indifferenziati sarebbero stati necessari ben 2.515.680,00 euro per il loro smaltimento.La spesa di conferimento agli impianti di riciclaggio di queste 15.723 tonnellate è stata invece di 507.688 euro. Inoltre, occorre considerare che la carta è una risorsa. Infatti, dalla vendita delle 6.439 tonnellate di carta raccolta nel 2007, sono stati ricavati ben 340.010 euro.Andando dunque a sottrarre il costo di smaltimento dei materiali differenziati, al ricavo ottenuto con la vendita della carta, si ottiene un costo complessivo per le 15.723 tonnellate di rifiuti differenziati di 167.678 euro.Se confrontiamo questo dato con il costo che sarebbe derivato dallo smaltimento nel ciclo dell’indifferenziato, il risparmio nel conferimento agli impianti è dunque pari a 2.348.000 nel solo 2007. Qualcosa di incredibile!Un ulteriore elemento positivo dell’esperienza di raccolta domiciliare a Capannori è l’aspetto del lavoro. Il “porta a porta” necessita infatti di un numero più elevato di operatori. Dall’inizio del sistema di raccolta “Porta a porta” ad oggi ci sono state circa 30 nuove assunzioni. Questo non ha significato però maggiori costi perché questi sono stati compensati dai risparmi ottenuti dal mancato smaltimento dei rifiuti indifferenziati. Questi risparmi sono stati investiti non solo in mezzi più piccoli ed ecologici ed in nuovo personale ma anche garantendo un risparmio sulla tariffa al cittadino.Con i risparmi ottenuti dal non dover smaltire i rifiuti indifferenziati, oltre a coprire i costi delle nuove assunzioni, il Comune ha riconosciuto una riduzione della tariffa ai cittadini, pari al 20% sulla parte variabile.I cittadini di Capannori possono inoltre conferire qualsiasi tipologia di rifiuti presso due isole ecologiche realizzate con un sistema informatico che registra ogni conferimento, attribuendo all’utente un punteggio e registrandolo su una tessera magnetica. Alla fine dell’anno, il punteggio si trasforma in un bonus economico inviato con assegno direttamente a domicilio.Ma è sul fronte della riduzione dei rifiuti che il Comune di Capannori sta ottenendo risultati ancora più sorprendenti.Oltre alla pratica ormai capillarmente diffusa del compostaggio domestico, incentivato con un ulteriore sconto del 10% sulla parte variabile della tariffa, il Comune ha cominciato a vendere latte alla spina, in collaborazione con un produttore a soli 200 metri di distanza dal luogo in cui è stato sistemato l’erogatore automatico. Ebbene, ogni giorno vengono distribuiti circa 600 litri di latte crudo al prezzo di 1 euro al litro, vantaggioso sia per il cittadino (che risparmia 30-40 centesimi ogni volta) che per il produttore (che ricava più del doppio di quanto non avrebbe percepito dal circuito tradizionale).Il progetto “Il mio latte appena munto” garantisce anche una diminuzione consistente di rifiuti, infatti le famiglie si portano il recipiente da casa, evitando così di consumare inutili contenitori usa e getta.Stesso percorso è stato seguito per la messa al bando delle acque minerali in bottiglia nelle mense scolastiche, sostituite da brocche di acqua fresca (controllata ed economica) del rubinetto. Il progetto, avviato in via sperimentale in alcune scuole e in fase di estendimento in tutto il territorio, ha già permesso di risparmiare all’ambiente circa 10.000 bottigliette di plastica usa e getta.Con lo stesso obiettivo di diminuire l’utilizzo delle acque minerali ma anche per valorizzare i luoghi delle fonti naturali presenti sul territorio come luoghi di “bene comune”, è stato costruito un percorso denominato: “La Via della Buona Acqua”. Il percorso valorizza la presenza delle fonti con una cartellonistica stradale e l’indicazione delle proprietà dell’acqua che ne sgorga e la garanzie dell’assoluta sicurezza nell’utilizzo.E’ stato inoltre costituito un tavolo con tutti i comitati paesani che organizzano le sagre (circa di 10 nel territorio comunale), e con loro è stato concordato un percorso di progressiva eliminazione di stoviglie usa e getta per i coperti. Il progetto “Eco sagre”, pensato per ridurre la scia di rifiuti che si lasciano dietro le tante manifestazioni estive organizzate ogni anno, ha preso spunto dal progetto “Ecofeste” lanciato con successo qualche anno fa dalla Provincia di Parma, e ripreso da diversi enti locali italiani.Per settembre, infine, è in programma l’introduzione negli asili nido comunali dei pannolini lavabili in sostituzione degli usa e getta, oltre che a forme di incentivo per tutti i bambini da zero a tre anni residente nel territorio comunale.Un progetto ambizioso, quello di Capannori, frutto dell’impegno e della passione di amministratori intelligenti e virtuosi (la città di Capannori è iscritta dal 2008 all’Associazione dei Comuni Virtuosi), che hanno scelto di interpretare il proprio ruolo in modo diverso e originale: al servizio del pianeta e dei suoi abitanti.

sabato 25 ottobre 2008

CIRCO MASSIMO: POCHE LUCI E TANTA OMBRA



Marco Cedolin

Sarebbe facile liquidare la grande manifestazione del PD al Circo Massimo, semplicemente ironizzando sul fatto che questa adunata dell’opposizione ombra, con il suo corredo di viaggi a Roma pagati dall’organizzazione e migliaia di bandierine ancora inamidate distribuite gratuitamente, somiglia drammaticamente a quella del dicembre 2006 organizzata da Berlusconi, stessa demagogia distribuita a piene mani, stessa ricerca della partecipazione oceanica (siamo 2 milioni), stessa ostentazione di una “diversità” assolutamente inesistente fra due forze politiche che da 15 anni si specchiano l’una nell’altra alternandosi nella spartizione delle poltrone che contano.

Ascoltando le parole di Walter Veltroni, leggendo gli slogan che adornano i manifesti coniati dal PD per l’occasione e gli striscioni srotolati dai manifestanti, non si tarda però molto a rendersi conto di come la commedia dell’assurdo messa in scena al Circo Massimo meriti qualche riflessione in più in virtù della veemenza con la quale Veltroni rivendica il diritto ad “uscire dall’ombra” per diventare opposizione, non soltanto di Berlusconi ma anche e soprattutto del suo stesso partito.

Dice Veltroni fra le tante cose: “Tornano indietro gli artigiani, gli operai. C’è stato un tempo in cui la fatica, i sacrifici e il talento, la specializzazione, davano dignità al lavoro e permettevano anche di metter su un laboratorio in proprio, e poi magari una piccola fabbrica. L’ascensore
sociale funzionava, le condizioni di vita miglioravano. E comunque c’era la speranza
che questo potesse accadere”.
E poi ancora “Oggi come vive un operaio che fatica tutto il giorno, e che troppo spesso in questo
Paese sul lavoro rischia la vita, per 1.200 euro al mese? Che speranza può avere di
poter star meglio, se deve invece preoccuparsi di essere messo in cassa integrazione,
di arrivare in fabbrica una mattina e di leggere nella bacheca di servizio che fra sei
mesi si chiude perché la produzione si ferma? Tornano indietro le aziende, rischiano di tornare indietro i piccoli e medi imprenditori. Quelli che sanno mettere a punto nuove tecniche e creare nuovi prodotti, e che così hanno fatto crescere il Paese”.
E ancora “Su un muro di Milano qualcuno ha scritto: non c’è più il futuro di una volta. E’ la
cosa più grave. Ieri a vent’anni e a trenta si raccoglievano i frutti dello studio o già si
lavorava, e comunque si pensava al domani convinti che sarebbe stato migliore
rispetto alla vita vissuta dai propri genitori. Oggi i giovani italiani sono prigionieri della gabbia del precariato. Sono storie umilianti, e sono tantissime. La risposta ad un annuncio su Internet e l’invio di un curriculum, le cuffie in testa e il microfono per rispondere alle telefonate, i 1.200 euro
lordi promessi dai selezionatori che diventano 800 e cioè 640 netti considerando i
giorni effettivi di lavoro. Quattro euro l’ora. Una vita precaria e i sogni mortificati per quattro euro l’ora. Ma si accetta, perché con il contratto a scadenza si è sotto ricatto. E si accetta”.
Per concludere “la nostra è una delle società più diseguali dell’Occidente, siamo uno dei paesi nei quali la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco o niente si è fatta più larga”.
Poi cambiando argomento e parlando di ambiente “Davvero non si capisce perché se la Germania è riuscita a creare, nel comparto delle fonti rinnovabili, duecentomila posti di lavoro negli ultimi dieci anni, da noi non possa avvenire qualcosa di simile. O perché non sia possibile seguire l’esempio della California, che puntando sull’efficienza energetica ne ha creati un milione e mezzo”.

Leggiamo sui manifesti e sugli striscioni: “ Stipendi e pensioni così non va” “Ospedali più efficienza meno liste d’attesa” “Ricercatori universitari no ai talenti svenduti” “Chi nega il futuro ai precari nega il futuro al paese” e poi ancora “NO Dal Molin si alla democrazia” “più trasporto pubblico più risparmio per le famiglie” “Italiani Sveglia!!” “ Istruzione = -7,8 miliardi, 131 cacciabombardieri F35 = 11 miliardi, più chiaro che così” “Editoria libertà e pluralismo” “Meno inquinare più riciclare per un’Italia da salvare”.

Tutti pensieri e slogan, in larga parte condivisibili, che meriterebbero la massima dignità qualora a pronunciarli fosse il leader di un partito che fa opposizione in parlamento e nelle amministrazioni locali insieme ai suoi sostenitori che portano nel Paese quella stessa opposizione. Tutti pensieri e slogan che lascerebbero intuire come il PD sia una forza politica che aspira a contrapporsi all’imperante modello neoliberista che costruisce precarietà, annienta la dignità dei lavoratori, impoverisce le famiglie e distrugge l’integrità dell’ambiente.
Ma Veltroni e il suo partito (integrazione di due partiti esistenti da molti anni come DS e Margherita) cosa hanno fatto fino ad oggi e cosa stanno facendo attualmente che li ponga in sintonia con le frasi e gli slogan che hanno composto la coreografia del Circo Massimo?
Nulla, assolutamente nulla, in quanto sono sempre stati e continuano a rimanere supinamente appiattiti su quel modello neoliberista che in maniera abbastanza ridicola oggi fingono di contestare.

Veltroni e la consorteria politica che lo contorna non arrivano da decenni di opposizione, magari extraparlamentare, ma sono stati al governo fino a sei mesi fa e governano ancora attualmente la maggior parte delle regioni del Centro- Nord Italia insieme ad un cospicuo numero di province e comuni. Durante gli ultimi 2 anni di governo gli uomini del PD non hanno varato una riforma del mondo del lavoro che contribuisse ad eliminare la precarietà, continuando al contrario ad immolare i diritti dei lavoratori sull’altare della “competitività” dispensando crescenti regalie agli amici di Confindustria. Non hanno varato una riforma dell’istruzione finalizzata ad impedire la fuga dei cervelli, limitandosi a lasciare che la perversa riforma Moratti continuasse a fare il suo corso. Non hanno riformato la sanità nel tentativo di rendere più efficienti gli ospedali e più brevi le liste di attesa, ma si sono limitati a tagliare i finanziamenti per la spesa sanitaria. Non hanno “aiutato” le famiglie ad arrivare alla fine del mese ma hanno preferito aumentare le spese militari e destinare 11 miliardi di euro all’acquisto di 131 cacciabombardieri F35. Non si sono battuti per la libertà ed il pluralismo dell’editoria ma hanno tentato a più riprese d’imbavagliare l’informazione. Non si sono contrapposti alla nuova base militare americana Dal Molin di Vicenza, ma al contrario ne hanno deciso la costruzione. Non hanno seguito l’esempio della California o della Germania, preoccupandosi invece di mettere in cantiere decine di forni inceneritori e centrali a carbone e turbogas, annientando anche in prospettiva la raccolta differenziata e ripristinando perfino (pochi giorni prima di lasciare il governo) quei contributi cip6 per gli inceneritori che di fatto riducono al lumicino i finanziamenti per le fonti energetiche rinnovabili. Non hanno finanziato il trasporto pubblico per le famiglie, abbandonando il servizio ferroviario per i pendolari ad un triste destino da terzo mondo, preferendo invece investire decine di miliardi di euro pubblici nella costruzione delle tratte TAV.

Sicuramente quella del Circo Massimo, al di là delle bandierine inamidate è stata una bella manifestazione, ricca d’idee, di calore e di argomenti pregnanti, ma con tutto ciò il PD di Veltroni cosa ha a che fare?

venerdì 24 ottobre 2008

LE OTTO R DI SERGE LATOUCHE



Marco Cedolin

Recensione di "Breve trattato sulla decrescita serena" - Serge Latouche - Bollati Boringhieri 2008.
Tratto dal Consapevole n°16


Serge Latouche, nel suo ultimo lavoro, Breve trattato sulla decrescita serena, riesce ad offrire una sintesi quanto mai esaustiva del pensiero della decrescita, collocandolo in un’ottica di concretezza mai sperimentata prima dall’autore.La decrescita si affranca così dallo status di filosofia astratta e per molti versi eccentrica, per diventare nelle parole di Latouche “un’utopia concreta che tenta di esplorare le possibilità oggettive della sua realizzazione”. L’autore sintetizza gli sforzi necessari per trasformare la nostra società sviluppista, ormai in fase di disfacimento sotto il peso del proprio fallimento, in una società della decrescita serena, articolandoli “in otto cambiamenti interdipendenti che si rafforzano reciprocamente, costituiti da otto R: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare”.

Rivalutare significa colmare il vuoto di valori oggi dominante, recuperando tutta una serie di valori: “amore della verità, senso della giustizia, responsabilità, rispetto della democrazia, elogio della differenza, dovere di solidarietà, uso dell’intelligenza” che sono indispensabili per creare un differente immaginario collettivo, all’interno del quale sarà necessario Riconcettualizzare e Ristrutturare tanto gli apparati produttivi quanto i rapporti sociali, nell’ottica di Ridistribuire le ricchezze e l’accesso al patrimonio naturale, sia fra il Nord e il Sud del mondo sia all’interno di ciascuna società.

Rilocalizzare nelle parole di Latouche significa “produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari a soddisfare i bisogni della popolazione, in imprese locali finanziate dal risparmio collettivo raccolto localmente”. La sostituzione del globale con il locale rappresenta infatti il fulcro di qualsiasi progetto di decrescita, come Latouche ben sintetizza affermando che “Se le idee devono ignorare le frontiere, al contrario i movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile” ed aggiungendo che la rilocalizzazione non deve essere soltanto economica ma “anche la politica, la cultura, il senso della vita devono trovare un ancoraggio territoriale”. Ridurre gli impatti sulla biosfera dei nostri modi di produrre e di consumare e Riutilizzare e Riciclare i rifiuti del consumo, combattendo l’obsolescenza programmata dei prodotti, completano poi la serie dei cambiamenti proposti nel testo.

Latouche non si ferma qui ma arriva a tratteggiare un vero e proprio “programma politico” tanto pregno di fascino quanto di concretezza, ben comprendendo che qualunque proposito di decrescita serena potrà trovare attuazione solamente nell’ottica di una volontà politica che intenda procedere in questo senso. Estremamente interessante all’interno di questo programma il punto in cui si propone di “trasformare gli aumenti di produttività in riduzione del tempo di lavoro e in creazione di posti di lavoro” e quello in cui in contrapposizione alla produzione di merci si stimola la produzione di “beni relazionali come l’amicizia e la conoscenza, il cui consumo non diminuisce le scorte esistenti ma le aumenta”.

A corollario di un testo molto ricco di spunti, Latouche propone anche alcune riflessioni aventi per oggetto le possibilità d’interazione fra il pensiero della decrescita e la società capitalista, risponde a chi si domanda se la decrescita sia di destra o di sinistra affermando “il programma che noi proponiamo è in primo luogo un programma di buon senso, altrettanto poco condiviso sia a destra che a sinistra” e rifiuta l’idea della creazione di un vero e proprio partito politico della decrescita che rischierebbe di cristallizzare lo spirito del movimento.