lunedì 29 marzo 2010

CI HANNO CONVINTI A NON VOTARE


Marco Cedolin
Non possono esistere dubbi sul fatto che il dato più emblematico uscito (o sarebbe meglio dire mai entrato) dalle urne di queste elezioni regionali di marzo 2010 sia costituito dai quasi 3 milioni e mezzo in più di cittadini che non si sono recati a votare, portando il “partito” dell’astensione a sfiorare il 37%, diventando di fatto il maggiore partito del Paese. Un incremento nell’ordine dell’8%, con punte fra il 14%, il 12% e il 10% in Puglia, Lazio e Toscana, che qualifica il partito del non voto come l’unico reale vincitore di questa tornata elettorale.

Una vittoria, quella del non voto, determinata da una campagna elettorale sincopata, nevrotica al limite del parossismo, giocata esclusivamente intorno allo screditamento dell’avversario, totalmente priva di qualsiasi abbozzo di programma credibile.
Una campagna elettorale nel corso della quale i problemi reali del paese, che si chiamano crisi occupazionale, disastro economico, crollo del potere di acquisto delle famiglie, inquinamento del territorio, sono stati lasciati a margine da parte delle due coalizioni impegnate a contendersi il governo delle regioni.
Una campagna elettorale imperniata sulla violenza verbale dispensata a piene mani, vissuta fra litigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incentrati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizzati per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali fra i due poli che si contendono il governo regionale.

Un italiano su tre ha dunque preferito non recarsi a votare nonostante (o forse anche a causa) la quantità industriale di materiale pubblicitario che ha riempito le buche delle lettere, l’ossessiva tempesta delle telefonate a domicilio, la massa dei manifesti ad abbruttire i muri delle città, la marea di “santini” con faccioni sorridenti e cravatte multicolori. Tutto materiale che a dispetto degli sforzi esperiti dagli esperti del marketing è apparso intriso di un vuoto cosmico, tanto era infarcito di slogan demagogici che sarebbero parsi artificiosi anche agli occhi di un bambino di 5 anni e miravano unicamente a fare leva sulla tanto stantia quanto ormai sempre più improponibile scelta di campo fra destra e sinistra.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, la distanza fra i partiti politici ed i cittadini continua perciò a farsi sempre più siderale, dimostrando in maniera inequivocabile l’inadeguatezza di un sistema come quello della democrazia rappresentativa, soprattutto qualora gestito in termini di bipolarismo. Anche il clima da “guerra civile” creato nell’occasione e gli “epici” inviti a scelte di campo presentate come decisive, non sembrano avere sortito l’effetto voluto.
I cittadini stanno continuando ad allontanarsi ed i partiti politici parlano ogni giorno di più un linguaggio alieno a chi vive e soffre nel paese reale, un linguaggio autoreferenziale che ben presto rischierà di trasformarsi in una lingua morta.
Per quanto riguarda i risultati elettorali non sono mancate le sorprese e neppure gli elementi che meritano di diventare oggetto di riflessione.

Il centrosinistra, nonostante l’operato del governo Berlusconi non sia stato fin qui entusiasmante, ha nuovamente subito una sconfitta cocente. Se la perdita di regioni come la Calabria, la Campania ed il Lazio può trovare la spiegazione all’interno degli scandali di varia natura che hanno caratterizzato le amministrazioni esistenti, ben più grave appare la debacle in Piemonte. Dove Mercedes Bresso si è vista costretta a cedere il passo a Cota, nonostante fosse riuscita ad incamerare nella propria coalizione tanto l’UDC di Casini quanto la Federazione della sinistra radicale. E’ indicativo il fatto che l’unica regione “a rischio” nella quale il centrosinistra ottiene un risultato positivo sia proprio quella Puglia dove Nichi Vendola ha difeso con i denti la propria candidatura, imponendo una lista più “di sinistra” rispetto al listone in alleanza con l’UDC che era stato imposto da D’Alema

Le liste 5 stelle di Beppe Grillo hanno ottenuto nel complesso risultati di tutto rilievo, fra i quali spiccano Giovanni Favia in Emilia Romagna che ha ottenuto il 7% e Davide Bono in Piemonte che arriva a superare il 4%, a dimostrazione del fatto che esiste senza dubbio ampio spazio di manovra per chi intenda costruire delle alternative ai partiti politici tradizionali.

L’inesorabile continua discesa del centrosinistra, laddove questo non riesce a proporsi come concreto elemento di alternativa, ma semplicemente come una fotocopia sbiadita di Berlusconi, unitamente al buon risultato delle liste che fanno riferimento a Beppe Grillo e al grande incremento dell’astensione, stanno a dimostrare in maniera inequivocabile tanto il “bisogno” di alternative concrete da parte dell’elettorato, quanto la palese incapacità di esprimere le stesse espresse dal sistema dei partiti. Proprio questo bisogno di alternative concrete, pensiamo possa considerarsi la vera novità di questa tornata elettorale. Una novità destinata naturalmente ad essere sottaciuta, tanto dal sistema dei partiti ormai incancrenito nella spartizione del potere, quanto dai media mainstream che di quel potere rappresentano uno degli elementi cardine.

venerdì 26 marzo 2010

Lettera dall'Osservatorio Militare

In ossequio alla volontà del Maresciallo Domenico Leggiero, presidente dell’Osservatorio Militare Italiano, chiedo sia pubblicato lo scritto che segue in risposta alle esternazioni stravaganti della signora Valeria Rossi sui blog Il Ponente e Byoblu.

Stefano Montanari

LETTERA APERTA ALLA DOTTORESSA VALERIA ROSSI
Firenze, 25 marzo 2010

Gentile Dottoressa, non è la prima volta che associa il nome del sottoscritto ad articoli che attaccano palesemente due scienziati che oltre a collaborare con l’Osservatorio da qualche decennio hanno avuto il grande merito di essere protagonisti nella soluzione del caso uranio impoverito.Nell’ultima “uscita” mi attribuisce la definizione di “fotografi” rivolta ai due scienziati in questione Dottoressa Gatti e Dottor Montanari della Nanodiagnostics di Modena.
Detta in questo modo, oltre ad offendere due professionisti a cui sono legato non solo da profonda amicizia ma da stima professionale inattaccabile anche da giornalisti navigati come Lei, potrebbe essere male interpretata da chi, non a conoscenza della materia, limiterebbe l’opera straordinaria fino ad ora svolta a favore di ragazzi che soffrono o di famigliari che hanno perso congiunti a causa di patologie legate all’uranio impoverito.

Dire che il Dott. Montanari e la Dottoressa Gatti hanno “fotografato” le prove della relazione tra patologia e malattia non vuol dire che gli stessi sono “fotografi” (senza nulla togliere alla categoria).

In ogni caso, gentile Dottoressa Rossi, non tiri il sottoscritto ed il centro studi Osservatorio Militare per la giacchetta cercando di “interpretare” motu proprio delle parole senza contestualizzarle e dare loro il senso giusto.
Sono certo che la Sua alta professionalità (non posso metterla in dubbio non fosse altro perché faccio tutt’altro mestiere) non le faccia esprimere “giudizi” sulla professionalità di altri individui impegnati in altri settori diversi dal suo.Le sarei molto grato se riportasse le mie affermazioni nel modo più corretto possibile senza estrapolare parole o frasi che possono prestarsi ad equivoci che non mi/ci appartengono.

Al Dott. Montanari ed alla Dottoressa Gatti va tutta la mia/nostra stima e gratitudine per l’opera fin d’ora svolta, la nostra piena solidarietà per la disavventura che stanno vivendo a causa delle solite storture di strutture distorte al servizio di un sistema del quale, ci consenta, non ne vogliamo far parte.
Tanto è dovuto, con cordialità.

DOMENICO LEGGIERO


Come richiestoci dalla Sig.ra Valeria Rossi, pubblichiamo la sua risposta alla lettera dell'Osservatorio Militare di cui sopra.

Gent.mo Maresciallo,La ringrazio per non aver messo in dubbio la mia professionalità: io sono però costretta a mettere in dubbio la Sua memoria.La frase “Montanari per noi è un fotografo” me l’ha detta Lei, personalmente, al telefono, ed è stata riportata il giorno dopo nell’articolo che può ancora trovare online a questo indirizzo: questo indirizzo. Pubblicato in data 25 settembre u.s.Ovviamente c’era un contesto preciso e, come potrà notare, è anche specificato che la frase era stata detta “scherzosamente” (anche se non so quanto fosse scherzosa in realtà: ma non volevo approfittare della Sua gentilezza per far sembrare che Lei intendesse svilire il lavoro del dottore che mi risultava, già allora, Suo amico). Detto questo, di sicuro non sono scherzosi i fatti. E i fatti sono – mi corregga se sbaglio – che oggi come oggi, ai militari purtroppo colpiti da patologie relative all’uranio impoverito, serve esclusivamente qualcuno in grado di fare fotografie al microscopio elettronico, perché la legge sui risarcimenti ormai c’è e quindi non c’è bisogno di ulteriori studi in merito.
Lei rammenta di avermi detto al telefono queste precise parole? Mi auguro di sì. Per questo io ho citato in alcune occasioni la Sua frase relativa al compito di “fotografo” del dottor Montanari: solo perché lui continua a tirare in ballo la storia dei “poveri soldati che senza di lui non potranno più avere risarcimenti”: e questo è falso, visto che non mi risulta – e Lei me l’ha confermato – che ci siano particolari accordi che obbligano i militari a far effettuare le fotografie da Montanari o dalla Nanodiagnostics.Il dottor Montanari strumentalizza i soldati – per i quali io nutro il massimo rispetto – così come strumentalizza i bambini malati e tutto ciò che può tornare utile alla propria causa: e quando qualcuno mi chiede di rispondere su questo tema, non posso che rispondere con la verità. I soldati OGGI non hanno bisogno di “lui” , hanno bisogno di un ESEM: e questo indipendentemente da quanto gli studi precedenti della dottoressa Gatti possano aver inciso sull’ottenimento dell’attuale legge. Questo è quanto Lei mi ha spiegato, in modo anche piuttosto approfondito: e questo è il motivo per cui è saltata fuori la definizione di “fotografo”, che ho sempre e solo usato in questo preciso contesto e non certo per sminuirlo tout court. Anche perché, volendo, per far questo ho ben altre argomentazioni.La invito caldamente – o forse sarebbe più corretto dire che la “sfido” proprio – a leggere l’articolo sopracitato e a smentire (anche se non è molto normale che questo avvenga con tanti mesi di ritardo, visto che l’avevo avvertita dell’immediata pubblicazione dell’intervista telefonica) qualsiasi singola parola che Lei dovesse trovare e che non fosse uscita in quel preciso modo dalle Sue labbra.Se Lei può affermare che ho travisato, o scritto in modo scorretto, o male interpretato anche UNA sua singola parola, Le chiedo fin d’ora venia e sono disposta a farlo anche pubblicamente: in caso contrario, però, mi sentirei ancora autorizzata a citare le Sue parole in qualsiasi mio intervento… e parlo di interventi che tra l’altro, nella quasi totalità dei casi, vengono “tirati per la giacchetta” da altre persone, visto che quello che avevo da dire sul dottor Montanari io l’ho ampiamente detto da tempo e che preferirei non occuparmi più di lui, complice anche la sua spiccata attitudine a ricorrere a un pesante sarcasmo, se non direttamente all’insulto, ogni volta che parla della sottoscritta (recentemente che mi ha chiamato in causa sul suo blog definendomi “una gallina”, mentre è di oggi una penosa metafora che mi definisce un’oca, stavolta in compagnia della dottoresse Bortolani, Sammartino e Toni).
Ho usato il condizionale – “mi sentirei” autorizzata – perché, ovviamente, se la Sua amicizia verso Montanari rappresentasse un legame così intenso da procurarle un dispiacere nel caso in cui utilizzi una Sua affermazione (anche se rigorosamente LETTERALE e non “travisata” in alcun modo) in un articolo o in una risposta che non osannino il dottore… allora sarebbe sufficiente chiedermelo ed eviterei di farlo, visto che Lei, almeno per quanto mi risulta, è persona degna di stima e di rispetto.
Mi perdoni se proverò un po’ di compassione per cotanta amicizia che a mio avviso Lei riversa su persona che non lo merita affatto; ma se me lo chiede rispetterò il Suo desiderio, purché sia specificato chiaramente che di questo si tratta e non del mio ipotetico uso arbitrario di frasi che mi sono state dette da Lei. In altre parole: sono dispostissima a rivolgerLe una gentilezza: non lo sono altrettanto – anzi, non lo sono affatto – a vedere messa in dubbio la mia onestà intellettuale.
CordialmenteValeria Rossi

mercoledì 24 marzo 2010

ARRIVA LA BOLKESTEIN


Marco Cedolin
La direttiva Bolkeistein fece parlare molto di sé durante le fasi della propria gestazione, per poi restare relegata in una sorta di limbo dopo l’approvazione avvenuta nel novembre 2006, in attesa che i vari stati europei procedessero alla sua ratifica che doveva avvenire entro la fine del 2009.

Ora che il governo ha firmato il decreto con cui l’Italia recepisce la direttiva Bolkestein, in un’omertà mediatica pressoché totale, essendo i media mainstream impegnati a seguire le dispute elettorali ed i miracoli con i quali si cimenta il premio Nobel Obama, qualcuno sembra iniziare a prendere coscienza del fatto che esiste un grande problema.

I primi sono i venditori ambulanti che dopo avere realizzato le conseguenze potenzialmente catastrofiche implicite nella nuova direttiva, hanno effettuato nella giornata di ieri a Torino una serrata dei mercati, cui è seguita una manifestazione forte di migliaia di persone che attraversando il centro è giunta in Piazza Castello davanti alla Prefettura.

Con l’introduzione della Bolkestein infatti le licenze dei banchi al mercato (6500 nella sola città di Torino) non saranno più esclusivo appannaggio delle imprese famigliari, come accade oggi, ma diventeranno disponibili anche per gli interessi delle s.p.a. e delle S.r.l. aprendo di fatto il mondo dei mercati rionali ai colossi della grande distribuzione. Con il rischio concreto della costruzione di veri e propri monopoli o cartelli, così come accaduto con l’eutanasia dei piccoli negozi a conduzione famigliare, mettendo a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro in tutta Italia.

Nonostante il recepimento della direttiva sia passato sotto silenzio e anche la serrata di ieri a Torino sia stata documentata solamente nelle cronache locali, a dispetto della grande partecipazione, possiamo affermare con certezza che della direttiva Bolkestein si tornerà a parlare molto presto, dal momento che le sue ricadute saranno in grado di produrre sconquassi di notevoli dimensioni in moltissimi settori che vanno dal commercio ai servizi.
Sconquassi di cui la politica, colpevolmente appiattita sugli interessi dell'Europa dei banchieri, sarà a breve chiamata a rispondere di fronte a lavoratori e cittadini.

martedì 23 marzo 2010

BRESSO: "MUOIA SIGNORA"


Marco Cedolin
Le elezioni politiche agitano gli animi di questa ultima settimana di campagna elettorale. I candidati si accapigliano fra loro, la macchina dei “santini”, delle pubblicità stipate nelle buche delle lettere e dei manifesti con i faccioni sorridenti conditi di promesse da marinaio, viaggia a pieno regime. Sale la tensione fra coloro che si contendono le poltrone che contano e valgono molti quattrini, nonché grandi fette di potere.

In questa atmosfera può essere inquadrata la visita di Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte nella città di Avigliana, alle porte della Val di Susa ed il suo imbarazzante incontro (che la medesima ha tentato in tutti i modi di evitare) con un gruppo di cittadini, documentato in maniera esauriente con tanto di filmato.
Trovatasi di fronte ai cittadini (molti dei quali dichiarano di averla votata nella scorsa tornata elettorale) che le domandano di motivare il suo consenso nei confronti dell’alta velocità la Bresso sbanda paurosamente non sapendo letteralmente che pesci prendere.

Si nasconde dietro l’Europa, attribuendo ad essa la decisione di costruire il TAV in Val di Susa. Ma le viene fatto educatamente notare che l’Europa nel Libro Bianco di trasporti del 2001 non fa menzione alcuna dell’alta velocità.

Finge di essere affetta da una qualche forma di sordità incipiente, ignorando completamente tutti gli appunti tecnici che le vengono rivolti in merito all’argomento.

Si trincera dietro le decisioni prese dall’Osservatorio Virano e quando le viene fatto notare che tali decisioni non sono state condivise dai cittadini e neppure da molti dei comuni interessati tace, ma inizia ad irritarsi e lo sguardo lancia lampi di odio.

Alla fine perde completamente le staffe dinanzi ad una sua elettrice di 82 anni che dichiara di non voler morire sapendo di lasciare una Valle che grazie a lei verrà devastata, ed ostentando molta educazione ed altrettanta sensibilità le risponde “Muoia signora”.

Il dramma non è costituito dalla sfrontatezza con cui personaggi come Mercedes Bresso ritengono lecito rapportarsi con i cittadini, insultandoli, prima portando argomentazioni assolutamente prive di senso, poi ignorando con supponenza le domande, infine augurandogli di ricongiungersi al più presto con il creatore.
Il dramma è costituito dal fatto che fra qualche giorno la maggior parte dei cittadini si recherà alle urne e delegherà personaggi come Mercedes Bresso a decidere sulla vita e “la morte” dell’intera popolazione, senza neppure avere mai visto siparietti come quello documentato nel filmato che meriterebbero di essere portati alla conoscenza di tutti.

domenica 21 marzo 2010

THAT'S AMORE


Marco Cedolin
Buona la prima, ma molto meno la seconda, verrebbe da pensare guardando la grande manifestazione a Roma organizzata ieri dal Popolo della libertà di governo, che fa il paio con quella del 2006, quando Berlusconi era all’opposizione e riusciva disinvoltamente a cavalcare il malcontento generalizzato nei confronti del governo di Romano Prodi.

Troppe le note stonate, ad iniziare dall’improbabile "complotto" per impedire agli elettori di centrodestra di votare, preso come spunto per indire la kermesse.
Dal leift motiv “l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” ripetuto come un mantra fino allo sfinimento, nonostante la mise di “partito dell’amore” si addica davvero poco alla baliosa coalizione capeggiata da Berlusconi e alla politica italiana più in generale.
Dai numeri, 150.000 persone secondo la questura, 1 milione a parere degli organizzatori, impietosamente modesti se confrontati con l’adunata del 2006 e visibilmente apprezzabili osservando la panoramica della piazza.
Dalle cadute di stile di pessimo gusto. Se le “mortadelle” e le foto di Padoa Schioppa con i denti da vampiro strappavano sorrisi e simpatia non si può dire certo la stessa cosa del viso di Paolo Borsellino inserito vigliaccamente nei tarocchi o del fotomontaggio che sovrappone il faccione di Marrazzo sul busto di Emma Bonino.

Dall’uso smodato del tricolore e dell’inno di Mameli (ma la Lega non li contesta da sempre in maniera veemente?) conditi da slogan stantii indirizzati contro l’opposizione, ormai allargatasi a chiunque non sia disposto a “santificare” Berlusconi come emissario della divina provvidenza.
Dai siparietti collocati a metà fra gli show della politica americana e le riunioni del multivel –marketing, nel corso dei quali gli aspiranti governatori (Polverini in testa) ballano e cantano sulle notte di canzonette assortite e poi pronunciano in coro (mentre a molti di loro scappa da ridere) un improbabile giuramento di fedeltà al leader maximo Silvio Berlusconi e al partito. Ma l’avete mai visto voi un politico di oggi che disubbidisce agli ordini impartiti dalla segretaria del partito? Gli ultimi credo siano stati i senatori Rossi e Turigliatto e ricordiamo bene come andò a finire.

Per finire con lo sterile discorso di Berlusconi, che anziché di politica parla d’amore, raccontando che tutti lo odiano perché sono invidiosi, comunisti e nemici dell’Italia. Quell’Italia che è ormai un marchio depositato e registrato a suo nome, come accaduto con il nome di “Cota” in Piemonte.

Raccontando che è stato ordito un complotto (costituito in tutta evidenza dalle regole elettorali che tutti sono tenuti a rispettare) per impedire agli elettori del PDL di esprimere il proprio diritto al voto, mentre i milioni di italiani che non possono realmente votare i propri partiti di riferimento, grazie a imposizioni di firme e sbarramenti assortiti, allignano purtroppo altrove.
E con le violente polemiche all’indirizzo della questura, rea (solo in questo caso beninteso) secondo gli organizzatori di avere limato al ribasso i numeri di una manifestazione che oggettivamente proprio oceanica non è stata.

Affanno, molto affanno e almeno altrettanto imbarazzo da parte di un governo in difficoltà, sono le sensazioni che maggiormente traspaiono ad un’osservazione disincantata della kermesse di ieri. Molto più affanno di quanto la logica vorrebbe, dal momento che la mancanza assoluta di un’opposizione credibile porta a pensare che tricolori, aspiranti governatori che scambiano la campagna elettorale per il palco di “Amici” e fautori dell’amore fraterno che più fraterno non si può, calcheranno le scene da protagonisti ancora per molti anni.
Semmai, a volere scavare un poco più in profondità alla ricerca dei motivi di tanto affanno, si può prendere spunto da dissidi e scenate di gelosia che covano sotto la cenere nel partito dell’amore, dove Gianfranco Fini (ieri assente) pervaso da invidia e odio, potrebbe rompere l’idillio e pretendere il divorzio. Anche i grandi amori spesso finiscono ed il confine fra amore ed odio risulta quanto di più labile possa esistere, soprattutto quando intorno all’amore si ha perfino la pretesa di costruire un partito.

venerdì 19 marzo 2010

Problemi "casuali" al sito di Stefano Montanari


Il dott. Montanari ci aggiorna in merito allo stato del suo sito , al quale attualmente è impedito l’accesso da un messaggio che lo segnala come sito malevolo. Per visionarlo comunque occorre cliccare sulla piccola scritta in fondo a destra “ignora questo avviso”.
Ci auguriamo naturalmente che il problema possa essere risolto al più presto, dal momento che in rete c’è estremo bisogno della voce di persone competenti come lui che non sono avvezze a piegarsi a compromessi anche quando sono costrette a pagare dazio in prima persona.
Marco Cedolin
No: tutti innocenti. Sono stati nient’altro che un amletico sasso e un altrettanto amletico dardo di una fortuna oltraggiosa a bloccare il sito proprio laddove, senza accorgermi del guaio che stavo facendo, davo la mia truce opinione sui filtri antiparticolato. A volte la casualità…

Adesso esiste una sorta di sito provvisorio che, spero, se il caso non mi sarà ancora avverso, farà le veci di quello vero fino a che Luca Pedonese, l’eroico costruttore di www.stefanomontanari.net non avrà finito la sua operazione di pulizia e ricostruzione. Purtroppo non posso scriverci, ma, intanto, è meglio di niente.

Il sito, comunque, è pulito a dispetto di quello che fa apparire Google quando si cerca “Stefano Montanari” e compare il link a questo blog.

Intanto, un grazie ai tanti siti che mi stanno ospitando, da quelli di Marco Cedolin a Terranauta, da Byoblu ad Aurora, da Avanguardie a tutti quelli che lo fanno a mia insaputa. Non so se ce la faremo, ma , almeno, noi ci proviamo.

Stefano Montanari

giovedì 18 marzo 2010

INFORMAZIONE LIBERA?


Marco Cedolin
Una nota del Gruppo Rizzoli Corriere Della Sera ha oggi comunicato l’ingresso nel Consiglio di amministrazione del gruppo, di Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Antonello Perricone, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera.

Giovanni Bazoli, attualmente presidente del Consiglio di sorveglianza della banca Intesa San Paolo e presidente della finanziaria Mittel è un banchiere italiano di primaria importanza con alle spalle una lunga tradizione politica, già personaggio di spicco nelle vicende del Banco Ambrosiano ai tempi dello scandalo Calvi.

Luca Cordero di Montezemolo, presidente della FIAT e della Ferrari, della NTV che utilizzerà le neonate tratte per i treni ad alta velocità e dell’Università Luiss, nonché consigliere d’amministrazione del quotidiano La Stampa, fondatore del think tank Italia Futura ed indimenticato ex presidente di Confindustria, non ha certo bisogno di presentazioni.

Diego Della Valle, patron della Tod’s e cofondatore di NTV insieme a Montezemolo, più che di scarpe nella sua carriera si è sempre occupato di banche ed assicurazioni, arrivando a possedere partecipazioni rilevanti e ruoli di prestigio in seno a banca Comit, alla BNL, al gruppo Generali.

Cesare Geronzi vanta un curriculum degno di un thriller finanziario, tanti sono stati gli istituiti bancari di cui nel corso della vita è stato responsabile e gli scandali finanziari all’interno dei quali è incespicato per poi sempre rialzarsi più in forma di prima. Dal Banco di Napoli al Banco di Santo Spirito, dalla Banca di Roma, a Capitalia, fino a Mediobanca. Oltre ad essere, attraverso gli istituti di credito da lui presieduti, fra i maggiori finanziatori dei prestiti allo Stato per la costruzione dell’alta velocità, ha sempre mostrato grande interesse per l’informazione. Il Tempo, L’Unità, il Manifesto e Tele Montecarlo, sono solo alcuni dei media oggetto di sue importanti partecipazioni.

Antonello Perricone, attuale amministratore delegato di RCS ha un passato come ad, della Stampa e presidente della Publikompass, concessionaria di pubblicità del gruppo Fiat.

Giampiero Pesenti è il presidente di Italcementi, il più grande gruppo italiano nella produzione di cemento, al centro di scandali ed inchieste di ogni tipo che nel gennaio 2008 comportarono l’arresto per truffa dell’allora ad del gruppo Mario Colombini e successivamente indusse la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ad indagare Carlo Pesenti (padre di Giampiero) per concorso in riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, aggravati dall'avere avvantaggiato la mafia. Nonché consigliere d’amministrazione di Mediobanca, Unicredit e Rcs MediaGroup.

Marco Tronchetti Provera è da decenni alla guida del gruppo Pirelli, leader più che dei pneumatici del mercato immobiliare, oltre ad essere stato manager Telecom e azionista di riferimento in Olivetti. E’ Vice Presidente di Mediobanca e membro dell’Esecutivo di Confindustria, oltre a presenziare nel consiglio direttivo di JP Morgan, vantare interessenze in un fondo sovrano libico e far parte del gruppo italiano della Trilateral Commission.

RCS Mediagroup è il primo gruppo editoriale italiano che gestisce quotidiani, periodici, libri, pubblicità, agenzie giornalistiche, circuiti di radio locali e naturalmente informazione sul web. All’interno del suo azionariato, oltre ai personaggi sopraccitati possiamo trovare tutto il gotha dell’imprenditoria finanziaria ed industriale italiana, da Benetton a Mediobanca, dalla FIAT al gruppo Ligresti, da Intesa San Paolo a Banca IMI, da UBS al gruppo Merloni.

I maggiori gruppi bancari ed assicurativi, i maggiori produttori di cemento ed i maggiori cementificatori, i maggiori gruppi industriali ed i maggiori speculatori finanziari potranno mai produrre corretta e libera informazione?

Potranno mai raccontare che il TAV è una truffa, gli inceneritori avvelenano i cittadini, le “riforme” tanto auspicate rappresentano in realtà l’annientamento di ogni forma di stato sociale, le missioni di guerra servono unicamente ad incrementare i loro profitti, la mafia non è altro che un buon alleato con il quale fare ottimi affari, la politica è un circo equestre dove allevare “camerieri” di alto rango e l’informazione una sequela di slogan e bugie condite da promozioni pubblicitarie e partorite con il solo scopo di gestire l’orientamento del pensiero a favore di chi specula sulla finanza e sulle persone, cementifica, inquina, bombarda e annienta ogni sorta di diritti del cittadino per massimizzare il proprio profitto?
No, non possono, né potranno mai e proprio da questo torbido e perverso groviglio di poteri e conflitti d’interesse l’informazione è stata strangolata da tempo fino a defungere, anche se troppo spesso continuiamo a far finta che ciò non sia accaduto.

mercoledì 17 marzo 2010

IL PEGGIOR NEMICO DEL CANE


Marco Cedolin
Durante tutto il corso della storia l'uso degli animali nell'ambito dell'esercito è sempre stato molto diffuso. Basti pensare al cavallo, per millenni unico mezzo di locomozione per soldati e civili, agli elefanti di Annibale, ai muli degli alpini, ma anche ai piccioni viaggiatori ed ai cammelli.
Molto spesso gli animali sono stati considerati alla stessa stregua di oggetti inanimati, nulla più di un carretto o di un trabucco, più raramente veri e propri soldati (sia pur di rango inferiore) inseriti a tutti gli effetti nell'esercito.
Da sempre gli animali (soldati per forza) si sono trovati loro malgrado a condividere le stesse sorti dei militari, falciati in battaglia dal fuoco o dalle frecce nemiche, ammazzati dal freddo o dalla fame, massacrati dalle esplosioni o dalla fatica.

Ai nostri giorni le truppe si muovono sui mezzi corazzati e sugli aerei, le comunicazioni sfruttano i sistemi satellitari e perfino gli eserciti che operano nelle zone impervie di montagna hanno pensionato i muli a favore di motoslitte ed elicotteri assai più performanti di quanto non lo fossero le creature a quattro zampe.

Verrebbe quasi voglia di dire che una volta tanto l'innovazione tecnologica ed il progresso (sia pur nell'ambito dello sterminio di massa) abbiano portato ad un risultato positivo. Oggi finalmente ci ammazziamo fra di noi, senza coinvolgere nel massacro creature la cui sola colpa è quella di servirci fedelmente, fatta eccezione naturalmente per quelle migliaia di animali che sistematicamente vengono dilaniati e bruciati insieme alle donne ed ai bambini, durante i bombardamenti, il lancio del fosforo bianco e del napalm, o saltano sulle mine disseminate a pioggia in alcune regioni, quasi si trattasse di coltivazioni biologiche.

Purtroppo invece occorre constatare come nemmeno in termini di salvaguardia dei diritti degli animali, l'innovazione sia riuscita a produrre qualcosa di positivo. Al contrario, come si può leggere in un articolo presente su Corriere della Sera, dai toni vagamente divertiti e trionfalistici, gli animali negli eserciti ci sono e ci saranno ancora, ma il loro ruolo è radicalmente cambiato.
Non più un ruolo passivo di trasporto truppe e attrezzature o la comunicazione, bensì un ruolo attivo (da vero soldato) che spazia dalla ricognizione alla ricerca delle mine, fino al vero e proprio assalto fisico nei confronti del nemico.

I cani in forza negli eserciti moderni, nell'articolo si fa riferimento a quello della Nato e ad Israele, fanno i paracadusti insieme agli altri soldati, assurgono al ruolo di "scudo canino" ispezionando le aree a rischio con una telecamera montata sulle spalle (avendo costi di sostituzione molto più bassi di un drone) e affrontano i nemici (naturalmente pericolosi terroristi) con il solo ausilio dei propri denti, quando necessario. Vengono considerati estremamente utili e “spesso più efficaci delle macchine nei combattimenti all’interno dei centri urbani”, nonché “molto utili anche nelle ricognizioni dentro i tunnel e bunker costruiti da formazioni armate”.
Così utili da rivelarsi per molti eserciti un vero e proprio fiore all’occhiello e da meritarsi un vero e proprio cimitero per eroi canini di guerra, a loro dedicato nei dintorni di Tel Aviv. Ed “eroi” ci diventano davvero molto spesso, poiché vuoi per il loro ruolo di scudi, vuoi per il grado di fedeltà estremamente più alto rispetto a quello del soldato medio, vuoi per il fatto che trovandosi accanto a soldati umani e armamenti costosissimi si palesano come i soggetti maggiormente sacrificabili, fra i militari a quattro zampe la percentuale di mortalità risulta altissima.
Cani marines o carne da macello, fate un pò voi, che oltre ad entusiasmare qualche giornalista dimostrano inequivocabilmente come nell'era "del progresso" il livello culturale e la sensibilità della razza umana sia in grado solo di regredire, rendendo l'uomo il peggior nemico del cane. Un nemico dal quale purtroppo queste povere e sincere creature non sono in grado di difendersi.

martedì 16 marzo 2010

FILTRI ANTIPARTICOLATO: L'ESEMPIO DELLA LOMBARDIA


Marco Cedolin
Pubblichiamo questo interessante articolo del dott. Stefano Montanari di cui consigliamo caldamente un'attenta lettura.
La questione dei filtri antiparticolato, sponsorizzati da amministrazioni e alcune associazioni ambientaliste come prodotti a protezione dell'ambiente, mentre al contrario si manifestano come innovazioni peggiorative dal punto di vista dello stato dell'inquinamento dell'aria e del suo grado di pericolosità, è una cartina di tornasole utile a comprendere come sistematicamente il problema "ambiente viene artatamente strumentalizzato da industria e politica, al fine di perseguire unicamente obiettivi di facile popolarità e altrettanto facili profitti.
Domeniche "ecologiche"da campagna elettorale, filtri antiparticolato dannosi anzichè utili, costruiti da colossi privati quali Pirelli Ambiente Eco Tecnology, Dinex Italia, Ofira Italiana e sponsorizzati nelle campagne di Legambiente, treni ad alta velocità spacciati per attori di un millantato riequilibrio modale, sono solo alcune delle "favole" che la disinformazione mediatica dispensa generosamente nel tentativo di cavalcare la sensibilità ambientale dei cittadini.
Un grazie sentito a chi, come Stefano, attraverso la propria competenza tenta di ristabilire la corretta informazione, benchè osteggiato da tutti quei poteri forti per cui il verde si limita ad una mano di vernice da spalmare sopra la ruggine.


Stefano Montanari
Sembra impossibile a chi abbia qualche nozione scientifica, ma i filtri antiparticolato sono diventati obbligatori. Questo, per ora, limitatamente alla Lombardia, ma quando un’infezione si manifesta e niente, nemmeno l’omeostasi, cioè la capacità naturale dell’organismo di riportarsi in stato di salute, la combatte, è inevitabile arrivare ad una setticemia che, vista la mancanza di reazione, si rivelerà mortale.
Detto così, sembrerebbe una battuta adattata da un medico del teatro di Molière, e invece è una delle troppe poco allegre verità del 2010.Una volta per tutte, vorrei chiarire finalmente la questione, visto che continuo a ricevere sollecitazioni.
Come ho scritto ormai fino allo sfinimento e come ho spiegato nei particolari nel mio libro Il Girone delle Polveri Sottili, l’inquinamento dapolveri viene valutato legalmente, seppure senza basi scientifiche, per via gravimetrica, vale a dire, semplificando un po’, pesando quanta polvere di diametro uguale o inferiore a 10 micron (per le PM10) oppure uguale o inferiore a due micron e mezzo (per le PM2,5) sta in un metro cubo d’aria. Esistono valori stabiliti per legge che non devono essere superati, valori che, peraltro, ancora una volta non hanno significato dal punto di vista scientifico, ma un numero bisognava pur darlo ai magistrati.
E se li si superano? Beh, in pratica non succede niente, perché la cosa è talmente diffusa da ricadere nel mal comune mezzo gaudio. Però, se mai diventassimo un paese serio, potrebbero esserci sanzioni per i comuni nel caso in cui lo sforamento dovesse avvenire.E, allora, che si fa? Invece di combattere l’inquinamento s’imbrogliano le macchinette che quell’inquinamento dovrebbero rilevare, e vissero (?) tutti felici e contenti.Nei fatti, dalla camera di scoppio dei motori Diesel escono polveri carboniose relativamente grossolane. Queste vengono catturate dai filtri antiparticolato sistemati lungo il tubo di scarico e la cosa va avanti fino a che il filtro non è intasato, cosa che accade ogni poche centinaia di chilometri.
A questo punto, o si toglie quella roba o la macchina si ferma e non riparte.L’ideatore del sistema - e dopo l’invenzione originale di oltre 10 anni fa d’ideatori ce n’è stato più d’uno – ha previsto che, quando l’automobile non circola in città, avvenga una combustione dei residui carboniosi contenuti nel filtro e quella roba finisca in atmosfera ossidata in CO2 .
Tutto bello? Mica tanto.Per prima cosa è inevitabile osservare come avere un filtro che oppone una contropressione ai gas di scarico - contropressione che aumenta via via che il dispositivo si riempie - non possa che incidere sui consumi di carburante aumentandoli perché aumenta il lavoro compiuto dal propulsore. E, fingendo che la spesa maggiore non sia un problema, resta il fatto che più si consuma, più s’inquina.Poi occorre sapere che nei residui carboniosi sono contenute micro- e nanoparticelle inorganiche. Senza filtro, queste resterebbero inglobate nel carbone, ma, con il filtro che brucia il carbone, quelle particelle finiranno inevitabilmente in atmosfera. E chi non conosce l’effetto delle micro- e nanopolveri sulla salute, e in particolare quella dei bambini, può informarsi leggendo i miei libri.
Qual è il trucco per aggirare le centraline di rilevamento delle polveri? Semplice: le macchinette pesano i materiali solidi e basta. Dunque, se io trasformo il carbone (solido) in anidride carbonica (gas), non peserò più niente e il gioco è fatto. Il problema è che la quantità d’inquinanti effettivamente immessa in atmosfera aumenta significativamente perché il carbonio di cui è costituita la particella che viene bruciata ha un peso atomico pari a 12, mentre l’anidride carbonica in cui quel carbonio si è trasformato per combustione, cioè per ossidazione, ha un peso molecolare di 44. Il che comporta una conseguenza ovvia: la sostanza gassosa emessa (inquinante) è 3,66 volte superiore a quella che sarebbe stata senza filtro. Certo, nessuno me ne rende edotto e, come recita il proverbio, occhio non vede, cuore non duole.
Che dire, poi, dell’ossido di cerio (CeO2) o del ferrocene [Fe(C5H5)2 ] usati dai diversi filtri per funzionare? Null’altro che si tratta d’inquinanti che non entrerebbero nell’ambiente se i filtri non esistessero, per il semplice fatto che non sarebbero usati. Perciò, un inquinante in più di cui, magari, non sentivamo il bisogno.
E, dulcis in fundo, a fine vita dell’ingombrante, costosissimo dispositivo (presumibilmente una vita non molto più lunga di 100.000 km), nessuno saprà dove metterlo perché quello non è stato studiato in modo da renderlo riusabile o, comunque, riciclabile.
Un’ultima chicca: quando la spia che segnala l’intasamento si accende, chi viaggia prevalentemente in città come spesso avviene soprattutto nelle metropoli ha due opzioni: una è andare in officina ad effettuare la “rigenerazione” (soldi, tempo e inquinanti che da qualche parte devono pure andare) e l’altra è di fare una bella corsa a tutta velocità in autostrada schizzando anidride carbonica e micro- e nanopolveri più gli additivi nell’ambiente.Grazie, Lombardia: l’importante era dare l’esempio.

giovedì 4 marzo 2010

LA BANDA DEL CABARET


Marco Cedolin
I siparietti comici in grado strappare almeno qualche sorriso in salsa agrodolce non sono certo mancati negli ultimi mesi. Come dimenticare infatti l’invito dell’ad delle Ferrovie Moretti, l’iper tecnologico mentore dell’alta velocità, a portarsi da casa coperte e panini, per meglio fronteggiare i lentissimi viaggi sui convogli in panne nella neonata steppa padana lo scorso dicembre? La consegna del premio Nobel per la Pace al Presidente americano Obama, impegnato proprio in quei giorni nel rafforzamento del contingente militare in Afghanistan? Il ministro Rotondi che consigliava agli italiani di abolire il pranzo? La psicosi terrorismo costruita intorno alle mutande del nigeriano Umar Faruk Abdulmutallab? Il blocco del traffico domenicale presentato alla stampa con tronfi proclami da Chiamparino e dalla Moratti e poi rivelatosi un flop totale sotto ogni punto di vista?

Renata Polverini e Roberto Formigoni, candidati a “governatori” per le regioni Lazio e Lombardia con il PDL, sono però riusciti a superare i loro pur illustri epigoni, dando vita ad una vicenda degna di Zelig Circus ed estremamente indicativa della professionalità con cui si muovono i faccendieri della politica nel Belpaese.
La lista a sostegno della Polverini è stata infatti esclusa dalla competizione elettorale nella provincia di Roma, poiché i funzionari del più grande partito italiano non sono riusciti a presentare la stessa in tempo utile, dal momento che la persona deputata a farlo si era attardata a causa di uno spuntino. Quella a sostegno di Formigoni non è stata accettata, in quanto il più grande partito italiano non è riuscito a presentare 3500 firme regolari, essendo alcune centinaia di esse prive dei timbri regolamentari o addirittura appartenenti a persone decedute.

Di fronte alla situazione, per molti versi comica e per molti disarmante, la reazione dei due candidati e dell’intero PDL è scivolata in una commedia grottesca, condita da dichiarazioni prive di ogni logica e prese di posizioni assolutamente incomprensibili. A turno candidati, ministri e portavoce del partito si sono infatti scagliati contro la burocrazia, contro gli avversari politici e contro le regole elettorali (da loro stessi stabilite), arrivando a paventare un complotto volto ad impedire agli italiani di esercitare il proprio diritto di voto e ventilare gravi rischi per la democrazia. Senza mancare d’indire perfino una manifestazione che richiamerà questi temi e chiederà la riammissione delle liste, da tenersi giovedì 17 marzo. Il tutto nonostante la colpa dell’accaduto sia da ricercarsi unicamente nella maniera sprovveduta e nella supponenza con cui il partito ha gestito e sottovalutato le normali questioni burocratiche

Stupisce non poco tanta premurosa attenzione nei confronti del diritto dei cittadini ad essere rappresentati, esternata da chi, tramite gli sbarramenti imposti dalla legge elettorale, ha di fatto impedito che oltre 4 milioni di italiani votanti potessero venire rappresentati in parlamento, durante l’ultima tornata elettorale.
Ma stupisce ancora di più il pressappochismo ed il dilettantismo manifestato nell’occasione dal partito che guida il paese e nutre la velleità di guidarlo nel futuro. Vengono i brividi solamente a pensare che chi non è in grado (nonostante abbia alle spalle enormi disponibilità economiche) di presentare una lista elettorale entro mezzogiorno o produrre 3500 firme a fronte di milioni di elettori, abbia la presunzione di potersi confrontare con problemi come la crisi economica, la disoccupazione, i disastri ambientali e intenda perfino costruire e gestire in Italia nuove centrali nucleari.
Tutte questioni che richiedono ben altra capacità rispetto a quella necessaria a depositare liste e firme nei tempi e nella forma disposti dalla legge. Un’operazione in fondo non così difficile neppure per i piccoli partiti che il paese non hanno mai nutrito l’ambizione di governarlo, ma presentano liste e firme correttamente, magari dopo dure settimane di pellegrinaggio a raccogliere gli “autografi” così come vuole la burocrazia.

lunedì 1 marzo 2010

QUEL GRANDE FIUME LAMBRO CHIAMATO ITALIA


Marco Cedolin
Talvolta solo un filo sottilissimo separa la tragedia dalla comicità, il drammatico dal grottesco
e in alcuni casi, come quello dell’Italia di oggi, può accadere che anche questo filo venga meno, facendo si che l’intreccio fra eventi drammatici ed atteggiamenti caricaturali arrivi a costituire un’unica melma emanante miasmi venefici. Una melma tanto urticante e pericolosa, quanto ridicola e per molti versi disarmante.

Oltre 600.000 litri di gasolio si sono riversati nel fiume Lambro, a Milano, provocando una catastrofe ecologica di enorme proporzioni (nonostante la politica e gli esperti compiacenti continuino a tentare di minimizzare l’accaduto) che coinvolge Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, interessando il fiume Po, del quale il Lambro è affluente, ed il mare Adriatico.
A determinare la catastrofe non un evento naturale, un terremoto, un uragano, un’alluvione. Non un cedimento strutturale, un errore umano o la scarsa efficienza dei sistemi di sicurezza. Bensì una o più mani che hanno deliberatamente aperto i rubinetti di 8 cisterne all’interno della ex raffineria Lombarda Petroli, chiusa dal 2005, dove il carburante da anni era stoccato. Mani criminali ispirate non dal terrorismo (al cui riguardo settimanalmente si sprecano gli allarmi) ma da torbidi interessi di speculazioni immobiliari e intrallazzi mafiosi dai contorni poco chiari, in merito ai quali come regolarmente avviene mai sarà fatta chiarezza.

A tentare di limitare i danni immediati della catastrofe (quelli più gravi si produrranno nel tempo e risulteranno assai difficili da contenere) prima gli enti locali che hanno operato nel caos più assoluto, poi Guido Bertolaso e la protezione civile, intervenuti solo 48 ore dopo, quando sono stati chiamati in causa dagli stessi come previsto dalla legge.
A corollario del tutto un marasma di notizie, dichiarazioni e considerazioni, spesso contraddittorie fra loro, provenienti dalle autorità, dalle ASL e dalle associazioni ambientaliste, in base alle quali l’entità della catastrofe si dilata e ridimensiona a seconda della fonte, quasi petrolio, acqua e terra non fossero elementi oggettivi, ma piuttosto strumenti alchemici soggetti a personale interpretazione.

Su tutti le parole “dell’eroe nazionale” Guido Bertolaso che considera ormai il disastro praticamente risolto, grazie all’aspirazione di buona parte del gasolio dalle acque, previa sostituzione con una dose equivalente di ottimismo che resusciterà la fauna uccisa o compromessa, ripulirà magicamente le falde inquinate, eviterà qualunque infiltrazione nei terreni e riporterà fiumi e mare alla trasparenza adamantina degli inizi del secolo scorso.

Al tempo stesso notizie di nuovi sversamenti di sostanze nocive nel fiume Lambro, da parte di altre mani criminali che hanno pensato bene di approfittare dell’occasione per smaltire a costo zero qualche tonnellata di rifiuti tossici in loro possesso e il rinvenimento nelle acque del PO, vicino a Porto Tolle di elevate dosi di 1.2 dicloretano, (sostanza estremamente tossica originata nella produzione delle materie plastiche) che ancora altre mani criminali hanno riversato nelle acque, approfittando del fatto che il gasolio già presente ne impediva l’immediata individuazione a vista nell’acqua nera e oleosa.

Come risultato finale oltre 10.000 persone che vivono nei comuni vicini alle foci del Po sono attualmente privi dell’acqua potabile. Il Lambro ha ormai terminato la propria metamorfosi destinata a trasformarlo in una fogna abiotica a cielo aperto. Il più grande fiume d’Italia ha subito la “spallata” forse decisiva volta ad estirpare dal suo corso le ultime reminescenze di vita. La pianura padana, oltre che con la nube bruna, si troverà a fare i conti con lo stato sempre più compromesso dei propri corsi d’acqua. Guido Bertolaso, avendo ben compreso che se in Italia è possibile negare ogni addebito in materia di tangenti e appalti truccati anche di fronte all’evidenza dei fatti, si può fare altrettanto anche riguardo alle catastrofi ecologiche, continuerà a rassicurare tutti senza neppure arrossire in volto.
Le aziende agricole e quelle dedite all’allevamento faranno finta che non sia successo nulla, contando sulla compiacenza delle ASL e delle ARPA sempre disposte a chiudere un occhio. E le mani criminali, mosse da torbidi interessi di speculazioni assortite, avendo ormai assodato l’assoluta inanità degli enti locali, incapaci di controllare alcunchè, si moltiplicheranno facendosi sempre più ardite.
In attesa di un prossimo futuro nel quale, all’interno dei fiumi ormai definitivamente (e finalmente?) compromessi, si potrà sversare legalmente di tutto, magari dietro pagamento di una tassa “ecologica” da devolvere ai comuni che sorgono lungo il tragitto del corso d’acqua. Sempre che si voglia ostinarsi ad usare la parola acqua, quale succedaneo di sostanze molto meno nobili, assai poco eleganti da pronunciare.