martedì 29 aprile 2008

NAPOLITANO INAUGURA IL TUNNEL DEL DEBITO PUBBLICO



Marco Cedolin

Lunedì 28 aprile il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha formalmente inaugurato il TAV del Brennero, ad Aica in provincia di Bolzano, dove alla presenza dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, del presidente della provincia di Bolzano Durnwalder e della provincia di Trento Dellai, una mega fresa ha iniziato a scavare il cunicolo esplorativo fra Aica e Mules che dovrebbe essere completato in circa 3 anni e anticiperà lo scavo del tunnel di base attualmente previsto per la fine del 2010.

Il TAV del Brennero che fino ad oggi è stato impropriamente spacciato come quadruplicamento e potenziamento del collegamento ferroviario Verona – Brennero, per tentare di limitare al massimo le proteste della popolazione locale, è in realtà un progetto che prevede oltre 200 km di nuova linea TAV e un tunnel di base che consta di due gallerie della lunghezza di 55 km per un costo complessivo di competenza italiana che già nelle previsioni arriva ai 25 miliardi di euro (6 dei quali concernenti il solo tunnel di base) e sicuramente sarà soggetto a raddoppiare se non a triplicare, nel corso della costruzione, come avvenuto sistematicamente in tutte le linee TAV già completate.
Pur trattandosi fondamentalmente di un un’opera unica il progetto dei tunnel di base è stato separato da quello della linea di accesso alle gallerie che è stato a sua volta scorporato da RFI in sette parti diverse: 4 lotti funzionali e 3 tratte di completamento.
Gli scopi di questa suddivisione sono stati molteplici, distogliere l’attenzione dalla reale enorme portata complessiva dell’intero progetto, diversificare geograficamente e quindi amministrativamente le procedure di approvazione con il risultato di attenuare il peso delle devastazioni totali ed impedirne le correlazioni, ripartire gli appalti e i subappalti in modo da sottrarli per quanto possibile alle gare di livello europeo con i relativi vincoli procedurali.
Responsabile della progettazione e costruzione della galleria di base del Brennero è stata fino al 2004 la società BBT GEIE, trasformatasi nel 2004 in BBT – SE che essendo una società per azioni europea ha la possibilità di potersi unire ad altre società europee appartenenti a stati diversi e cambiare sede da stato a stato senza prima doversi sciogliere.

Come nel caso del progetto originario del TAV italiano la necessità dell’opera viene motivata attraverso previsioni di volumi di traffico di merci e passeggeri nei decenni futuri (400 treni al giorno di cui 320 merci) che non trovano alcun riscontro nella realtà oggettiva e dal nobile proposito di spostare su ferrovia una cospicua parte del traffico commerciale che oggi corre sui TIR.
Come nel caso del TAV in Val di Susa l’attuale linea, i cui lavori di potenziamento ormai prossimi alla conclusione sono in corso da 10 anni, si rivela in tutto e per tutto idonea ad assorbire gli eventuali incrementi di traffico futuri.
Il prof. Kummel, docente di trasporti e logistica all’Università di Vienna, uno dei massimi esperti europei del settore ha spiegato che le attuali capacità ferroviarie per varcare le Alpi sono sufficienti a trasportare tutte le merci su rotaia e che eventuali incrementi futuri dei flussi piuttosto che dall'Eurotunnel del Brennero potranno essere assorbiti specialmente dalle nuove gallerie del Lötschberg e del Gottardo, con le rispettive tratte di accesso, le quali entreranno in esercizio prima e sono tra l'altro assunte come riferimento principale dalle ferrovie tedesche. Sempre secondo Kummel la galleria di base del Brennero non rappresenta una soluzione valida al trasporto delle merci oltre le Alpi poiché il progetto si basa su una sistematica sopravvalutazione delle previsioni di traffico con una scarsa corrispondenza alla domanda reale.

La società svizzera PROGTRANS ha condotto per conto della BBT GEIE uno studio sugli effetti dell'Eurotunnel sul traffico pesante sull’autostrada del Brennero. Dai risultati dello studio si evince come in una previsione di traffico ipotizzata per il 2025 il traffico giornaliero di mezzi pesanti al Brennero ammonterebbe a 6516 TIR/giorno nel caso il tunnel ferroviario non venga costruito e 6483 TIR/giorno se invece il tunnel ferroviario venisse costruito.
L’intero progetto TAV Verona – Brennero e relativo doppio tunnel di base sarebbe dunque in grado secondo gli esperti di spostare dalla strada alla rotaia non più di 33 TIR al giorno, circa lo 0,5% del totale, dimostrandosi perciò totalmente inadeguato ad interpretare qualunque velleità di redistribuzione modale del traffico sull’asse del Brennero.
Il progetto di “autostrada viaggiante” che consiste nel trasporto dei TIR e relative merci all’interno di appositi vagoni navetta, attivo sull’attuale linea Verona – Brennero vede correre ogni giorno i convogli semivuoti a dimostrazione della scarsa attrattiva costituita da questo tipo di trasporto.

Nonostante tutta questa serie di valutazioni oggettive, sommate alla gravissima situazione in cui versano i conti dello Stato, dovrebbero dissuadere chi governa il Paese dalla creazione di una nuova emorragia di denaro pubblico di questa entità, la notizia è stata accolta con entusiasmo da tutti quei giornali, sempre impegnati ad enfatizzare la piaga del debito pubblico quando occorre giustificare il taglio dei servizi per i cittadini, ma altrettanto sempre disposti ad ignorarne le cause principali, qualora occorra compiacere i grandi poteri economici che li foraggiano e sul debito pubblico costruiscono i propri profitti.



giovedì 24 aprile 2008

GLI ARCHITETTI DELLA DISINFORMAZIONE


Marco Cedolin
Tratto da Grandi Opere - Arianna Editrice 2008
Anche il mito del progresso come qualunque manipolazione psicologica necessita di essere costruito con cura attraverso l’uso smodato della demagogia, il condizionamento del pensiero e la creazione di suggestioni che siano in grado di influenzare l’immaginario collettivo fino al punto di farlo collimare con il disegno di coloro che gestiscono il potere.

Gli artefici della manipolazione sono costituiti da tutti quei soggetti che a vario titolo concorrono alla formazione dell’opinione pubblica. Uomini politici, economisti, sindacalisti, giornalisti, pubblicitari, banchieri, scrittori, registi, personaggi dello spettacolo, manager di azienda, filosofi, sociologi ed opinion leader di ogni genere, si trovano nella condizione di partecipare alla costruzione di un pensiero dominante che possa essere condiviso dalla maggior parte dei cittadini. Tale pensiero è imperniato per forza di cose sugli obiettivi della crescita e dello sviluppo economico e li persegue in un’ottica di progresso basata sulla costruzione delle grandi opere, poiché solamente attraverso l’applicazione di questo modello i grandi gruppi di potere sono in grado di massimizzare i propri profitti.

La colonizzazione del linguaggio costituisce il presupposto attraverso il quale è possibile suggestionare, condizionare ed indirizzare l’immaginario collettivo nella direzione voluta. Coloro che gestiscono la manipolazione sfruttano le parole, spesso distorcendone il reale significato, usandole come arieti in grado di penetrare la coscienza individuale plasmandola a piacimento sulla base di luoghi comuni, frasi fatte, esternazioni ad effetto che i cittadini una volta plagiati finiscono per accettare come verità incontrovertibili da porre alla base del proprio bagaglio di conoscenza.

Ad alcuni termini è stata impropriamente attribuita una valenza positiva a prescindere dal loro reale significato ed essi vengono ripetuti come un mantra in ogni occasione da qualunque personalità pubblica, anche qualora si caratterizzino come citazioni fatte a sproposito e completamente avulse dal contesto del discorso.
Crescita, sviluppo, progresso, democrazia, libertà, giustizia, uguaglianza, nuovo, moderno, grande, veloce, strategico, prioritario, globale, ambiente, ecologia, competitività, opportunità, benessere, solidarietà, sostenibile, ricerca, unione, innovazione, tecnologia, cambiamento, futuro, concorrenza, prosperità, sicurezza, cooperazione, sono tutte parole che vengono utilizzate in maniera sistematica per giustificare le posizioni e le scelte messe in atto dai grandi gruppi di potere, avvalorandole come buone e positive per l’intera collettività.
I concetti di crescita e sviluppo hanno ormai assunto una valenza omnicomprensiva quali fondamenti di qualsiasi proclama politico, industriale, commerciale, finanziario, sociale, manifestandosi come obiettivi imprescindibili, falsi dispensatori di prosperità e benessere, nel nome dei quali ogni cosa diventa sacrificabile.
Una grande opera dagli impatti ambientali e sociali devastanti, nuovi incrementi della tassazione, scelte che mettono a repentaglio la salute dei cittadini, ridimensionamenti dei diritti dei lavoratori, decisioni pesantemente impopolari o eticamente improponibili, fra le quali anche la guerra, possono essere accettate di buon grado qualora siano finalizzate ad incrementare la crescita e lo sviluppo.

mercoledì 23 aprile 2008

SI CAMMINA DI FRETTA

Marco Cedolin

La morte sul lavoro di Angelo Galante, portiere 51enne di uno stabile romano, precipitato sul marciapiede da un’altezza di oltre 30 metri mentre stava procedendo alla pulizia dei vetri, e rimasto alcuni minuti riverso sul selciato con il cranio fracassato e lo straccio ancora stretto fra le mani, ha “fatto notizia” non tanto per la tragica dinamica dell’accaduto, quanto per il raccapricciante e surreale racconto di un gioielliere che dalla vetrina del suo negozio ha assistito alla tragedia.
Per alcuni minuti, mentre il gioielliere Paolo che conosceva bene la vittima tentava disperatamente di prestarle soccorso, la maggior parte dei passanti ha continuato a camminare frettolosamente come se nulla fosse accaduto ed alcune persone hanno scavalcato con noncuranza il corpo esanime senza mostrare alcuna attenzione per il poveretto, né palesare la minima emozione.

Racconti di questo tipo, fino a qualche tempo fa relegati nel novero delle leggende metropolitane concernenti le metropoli statunitensi, sempre più spesso stanno diventando parte di una cruda realtà anche nella schizofrenica cacofonia delle nostre città, dove la “massa” dei passanti inebetiti, sempre più schiava dell’ipercinetismo, sembra estraniarsi da tutto ciò che la circonda per rinchiudersi all’interno di migliaia di microcosmi atomizzati completamente impermeabili rispetto all’esterno.
La progressiva disumanizzazione dell’individuo che il racconto di Paolo mette a nudo nella sua dimensione più agghiacciante è parte integrante di un processo di “robotizzazione” della persona che nella società postmoderna sta raggiungendo livelli fino a qualche decennio fa inimmaginabili.

La crescita dell’individualismo di massa assurto allo status di valore universale, la perdita di qualsiasi senso di appartenenza ad una comunità, l’esasperazione della competizione divenuta l’unico strumento attraverso il quale rapportarsi con gli altri, la sempre più spinta mercificazione dell’esistente che determina la “cosificazione” dell’essere umano, sono solo alcuni dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili accadimenti come quello di ieri a Roma.
Sempre più spesso l’uomo postmoderno è indotto a relegare la sfera dei sentimenti e delle emozioni (che lo rendono vulnerabile) in una sorta di universo virtuale, affrontando il contesto reale sotto forma di puro cinismo, funzionale ad ottenere il massimo risultato in quell’arena deputata alla competizione che costituisce la sua giornata. Molte delle persone che hanno scavalcato il corpo di Angelo senza neppure degnarlo di uno sguardo, una volta tornate a casa saranno pronte a versare calde lacrime e valanghe di emozioni dinanzi alla rappresentazione virtuale costituita dallo schermo della TV, magari osservando la morte dell’attore di una fiction o un ricongiungimento famigliare strappalacrime costruito a tavolino. La maggior parte di loro stanno perdendo la propria umanità senza neppure accorgersi che qualcuno gliela sta rubando, per renderli sempre più efficienti e competitivi, sempre più adatti a costituire un perfetto ingranaggio della macchina che vive di produzione e consumo e gli ingranaggi non devono provare sentimenti ed emozioni, altrimenti potrebbero rompersi, come accaduto al gioielliere Paolo che al corpo del portiere ha fatto caso eccome e intervistato dai giornalisti ha dichiarato sconvolto “Quella di stamattina è una tragedia, una immagine che non riuscirò a cancellare facilmente".

venerdì 18 aprile 2008

L'EUROPA DEI TRASPORTI AFFONDA NEL CEMENTO

Tratto dal Consapevole N°14

Marco Cedolin

L’Europa che viviamo ogni giorno è solamente un’entità statuale, forte con i deboli (i popoli che la compongono) e debole con i forti (gli attori della politica internazionale dominati dalle smanie di egemonia statunitensi) simile ad un cavallo zoppo incapace di galoppare ma che necessita di essere accudito e foraggiato in abbondanza. Si tratta di un colosso burocratico, dominato dagli interessi privati della Banca Centrale Europea ed intriso di tecnocrazia, che tende ad appiattire le libertà dei popoli, la loro identità e la loro autonomia, immolandole sull’altare di un’omologazione al ribasso che impone la grandezza dei piselli, limita la produzione di latte e decide le modalità attraverso le quali si devono stagionare i prosciutti, senza rispondere a nessuna delle reali esigenze che vengono percepite come tali dai cittadini. L’Europa che viviamo ogni giorno è una macchina statale tanto lontana dalle persone, quanto contigua ai programmi delle grandi oligarchie finanziarie ed industriali. Oligarchie che perseguono sistematicamente l’obiettivo di un appiattimento al ribasso dei salari e dei diritti dei lavoratori europei (la direttiva Bolkestein è illuminante a questo proposito) e la sempre più spinta delocalizzazione delle produzioni industriali nei paesi a più basso costo della manodopera.

La politica europea dei trasporti riflette per forza di cose questa situazione e si manifesta ricca di contraddizioni, scarsamente realistica e quasi unicamente finalizzata ad agevolare una sempre più spinta circolazione delle merci che consenta di sostenere la pratica della delocalizzazione. Si guarda ai territori sotto forma di “corridoi di transito” e alle popolazioni come potenziali viaggiatori ipercinetici, inseriti nel meccanismo di un pendolarismo sempre più esasperato. Si sostiene la necessità di salvaguardare l’ambiente e diminuire i livelli d’inquinamento, inseguendo al tempo stesso obiettivi di crescita economica ed incremento della movimentazione di merci e persone che inevitabilmente determineranno alti impatti sia in termini ambientali che d’inquinamento atmosferico. Si guarda agli scenari futuri senza fare alcuno sforzo per tentare d’interpretare il presente, ma semplicemente limitandosi ad immaginare i prossimi decenni come una replica fedele di quelli passati. Nonostante qualunque prospettiva realistica negli scenari di medio e lungo termine debba per forza di cose partire da presupposti di riduzione dei traffici di merci e persone, a causa del progressivo aumento dei costi delle risorse petrolifere e dell’insostenibile incidenza che i trasporti hanno (a livello globale circa il 40% sulla produzione di gas serra) in termini d’inquinamento ambientale, la politica trasportistica europea procede esattamente in senso inverso.


Nel “Libro Bianco” del 2001 i trasporti vengono considerati unicamente come una risorsa da preservare ed incrementare in quanto “rappresentano il 7% del PIL dell’Unione Europea e il 5% dei posti di lavoro”. La mobilità delle merci e delle persone viene illustrata “oltre che come un diritto dei cittadini, come una fonte di coesione e un elemento essenziale della competitività dell’industria e dei servizi europei”. Viene posto l’accento sull’impatto dei trasporti in materia d’inquinamento e produzione delle emissioni di gas a effetto serra, così come si evidenzia il fatto che il settore dei trasporti assorba il 71% di tutto il petrolio che viene annualmente consumato all’interno dell’UE, ma manca qualsiasi approccio costruttivo al problema. Nel testo si auspica semplicemente un miglioramento del rendimento energetico e l’introduzione sul mercato di nuove tecnologie, senza mettere assolutamente in dubbio l’opportunità di continuare a far crescere a dismisura la movimentazione schizofrenica di merci e persone. E’ indicativo a questo riguardo che si esprima preoccupazione per la prossima saturazione, nel 2020, di 60 grandi aeroporti, alla quale si ritiene necessario ovviare tramite la costruzione di nuove infrastrutture o l’ampliamento di quelle esistenti, la qual cosa contribuirà a creare nuovi incrementi dei traffici che in un futuro appena più lontano imporranno nuove costruzioni e nuovi ampliamenti, determinando un circolo perverso che propone un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita, all’interno di un mondo le cui risorse, i cui spazi e la cui possibilità di assorbire emissioni velenose, sono al contrario estremamente limitate.

L’Europa, come sottolineato in una relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), risulta uno dei continenti più urbanizzati del pianeta ed il 75% della sua popolazione vive in aree urbane. Più di un quarto del territorio europeo è ormai direttamente destinato ad usi urbani. Entro il 2020 circa l’80% degli europei vivrà in aree urbane e in 7 paesi questa proporzione salirà addirittura oltre il 90%. L’espansione incontrollata del tessuto urbano determina una domanda sempre crescente di suoli disponibili, destinati a venire cementificati e la creazione di nuove infrastrutture che rimodellano i paesaggi e modificano l’ambiente in maniera profonda. Quello dell’urbanizzazione incontrollata viene considerato (anche dall’AEA stessa) uno dei principali problemi con i quali l’Europa dovrà confrontarsi ed è in parte alimentato proprio dai fondi strutturali e di coesione che l’UE destina allo sviluppo delle infrastrutture. La sovracrescita urbana risulta infatti accelerata in concomitanza con il potenziamento dei collegamenti di trasporto e dell’accresciuta mobilità delle persone. Le infrastrutture compromettono profondamente l’ambiente, sostituendo terreni naturali con superfici inorganiche, impermeabilizzando i suoli con il conseguente rischio di inondazioni, mettendo a repentaglio gli equilibri degli ecosistemi.
L’estensione delle aree edificate in Europa è aumentata in maniera molto più consistente, fino al 20% negli ultimi 20 anni, rispetto alla crescita della popolazione che nello stesso periodo è stata solamente del 6%.

Se l’impatto ambientale determinato dai mezzi di trasporto (TIR, autovetture, treni, navi, aerei) è elevato a causa dell’emissione di gas serra ed altri agenti inquinanti, non meno elevati risultano gli impatti determinati dalla costruzione delle infrastrutture deputate a far circolare alcuni di questi mezzi di trasporto. Le autostrade e le linee ferroviarie, con annessi viadotti e megatunnel, comportano pesantissimi stravolgimenti ambientali ed enormi costi in termini di risorse economiche ed energetiche che determinano altrettanto alti costi dal punto di vista ecologico.
Questa realtà oggettiva viene totalmente misconosciuta dalla politica dei trasporti europea che prende in considerazione solamente gli impatti ambientali derivanti dai mezzi di trasporto, senza considerare assolutamente quelli determinati dalla costruzione delle infrastrutture sulle quali i mezzi dovranno correre. Nel tentativo di coniugare il rispetto per l’ambiente, con la volontà d’incrementare in maniera sempre più spinta la movimentazione di merci e persone (due propositi in realtà inconciliabili) si resta così vittima di un cortocircuito logico che intende privilegiare i mezzi di trasporto ritenuti meno impattanti, attraverso la costruzione di nuove infrastrutture dagli impatti ambientali estremamente elevati. Un atteggiamento di questo genere determina per forza di cose delle scelte che se portate a compimento si riveleranno tanto inefficaci quanto controproducenti.

L’approccio al problema si manifesta fuorviante, poiché parte da presupposti (incrementi esponenziali del traffico merci nei decenni futuri) che non si basano su studi scientifici oggettivi, bensì semplicemente sulla riproposizione degli andamenti del traffico merci dei decenni precedenti, coniugato con la volontà di far si che tali andamenti possano riproporsi immutati all’infinito. Nel Libro Bianco del 2001 sui trasporti, leggiamo che i traffici merci transfrontalieri su strada dovrebbero raddoppiare entro il 2020, ma non esiste alcun elemento oggettivo in grado di suffragare questa supposizione.
Siamo veramente dinanzi ad un futuro nel quale i traffici merci continueranno ad aumentare a ritmi sostenuti, oppure l’incremento del costo del petrolio e le sempre più scarse disponibilità finanziarie di larga parte della popolazione europea, unitamente alla palese insostenibilità ambientale di un tale processo, lasciano intravedere in realtà un’inversione di tendenza?
Chi gestisce la politica dell’Unione Europea preferisce non porsi questa domanda e continua a basare le proprie scelte su previsioni di traffico totalmente disancorate dalla realtà, la cui unica funzione è quella di giustificare cospicui investimenti nella costruzione di infrastrutture che se valutate obiettivamente non avrebbero alcun senso.

Fulcro della politica dei trasporti europea è il proposito di ridurre l’inquinamento derivante dal trasporto di merci e persone (pur nell’ottica di un progressivo aumento quantitativo) attraverso una redistribuzione modale che penalizzi i sistemi di trasporto più inquinanti (la circolazione stradale e quella aerea) favorendo al contrario quelli “più ecologici” (le ferrovie e la navigazione).
Un ragionamento di questo genere potrebbe manifestarsi logico e condivisibile qualora s’intendesse ottenere il risultato voluto attraverso il miglioramento della logistica e l’ottimizzazione delle infrastrutture esistenti, ma non è in questo senso che l’Europa intende procedere.
La rete di trasporto transeuropea (RTE-T) nel 2004 ha infatti individuato 30 progetti prioritari, finalizzati a creare una mobilità più sostenibile, a fronte di un investimento stimato in 250 miliardi di euro. Quasi tutti questi progetti comportano la costruzione di nuove infrastrutture, in larga parte ferroviarie, alcune delle quali aventi per oggetto tratte ad alta velocità.
Queste infrastrutture determineranno impatti ambientali elevatissimi, il più delle volte con scarse prospettive di ottenere un reale riequilibrio modale, e contribuiranno a rendere i trasporti europei sempre più inquinanti ed energevori e per nulla sostenibili.

E’ difficile immaginare che il progetto di Corridoio 5 Lisbona – Kiev che prevede il controverso attraversamento delle Alpi in Val di Susa per mezzo di un tunnel di 50 km (a fronte di un trasferimento modale stimato dagli esperti in meno dell’1%) e successivamente la perforazione dell’altopiano carsico nei pressi di Trieste, possa rappresentare un esempio di mobilità sostenibile, in quanto gli impatti ed i costi dell’infrastruttura, in parte destinata ai soli treni ad alta velocità/capacità, sia in termini ambientali che economici superano di gran lunga gli eventuali (neppure dimostrati) benefici derivanti dal trasferimento gomma-ferro.
Così come è difficile guardare all’asse ferroviario Berlino – Messina che comporterà un doppio tunnel (BBT) di 55 km nelle Alpi altoatesine, spostando sulla rotaia del TAV/TAC lo 0,5% dei TIR che attualmente corrono sull’autostrada del Brennero, come ad un progetto volto a diminuire gli impatti ambientali del sistema dei trasporti.

In realtà l’oligarchia che gestisce l’Unione Europea, per nulla interessata a i problemi ambientali, anche se simbolicamente impegnata nella riduzione delle emissioni di gas serra, sta usando il “problema ambiente” a proprio uso e consumo come uovo di Colombo utile per giustificare gli investimenti sempre più massicci nella costruzione di nuove infrastrutture cementizie, che comportano l’accumulo di profitti miliardari per la consorteria del cemento e del tondino della quale tutti i poteri finanziari ed economici fanno parte. Ovviamente con un occhio di riguardo per i grandi gruppi industriali che hanno necessità di delocalizzare in maniera sempre più spinta le proprie produzioni e vogliono poter movimentare sempre più velocemente merci e materie prime.
All’Europa dei popoli resteranno in dono solo precarietà, disoccupazione, un ambiente malsano e violentato e l’aria sempre più irrespirabile delle metropoli atomizzate nelle quali sono costretti a sopravvivere.

martedì 15 aprile 2008

HA VINTO LA SINDROME DI STOCCOLMA

Marco Cedolin

Il primo elemento che emerge in maniera adamantina dalle urne è costituito dalla paura che mai come oggi attanaglia i cittadini italiani, fino ad indurli all’inanità, come spesso accade all’individuo terrorizzato che si ritrova immobilizzato davanti al pericolo. Paura di cambiare, paura del futuro, paura di scegliere, paura di dare corpo alla sequela di proteste di cui si sono resi artefici fino al giorno del voto. Gli elettori italiani, figli della paura, non sono sembrati le stesse persone che hanno ingrossato le fila del V Day di Grillo, che a milioni hanno esternato indignazione leggendo La Casta di Rizzo e Stella, che da anni lamentano di non arrivare a fine mese, che soffrono le conseguenze della precarietà, che compongono le centinaia di comitati in lotta contro le grandi opere e le nocività, che ostentano contrarietà nei confronti delle politiche economiche, sociali ed ambientali messe in atto fino ad oggi. Gli elettori italiani, come in preda alla sindrome di Stoccolma, hanno scelto di premiare i propri aguzzini, correndo a votare in massa coloro che da 15 anni governano questo paese con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

L’astensione, nonostante fosse estremamente diffuso il rigetto nei confronti della politica, è risultata tutto sommato contenuta e l’80% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne. I piccoli partiti “nuovi” affrancati dalle logiche di potere hanno ottenuto risultati estremamente modesti e la maggior parte delle scelte è ricaduta proprio sui protagonisti della Casta di Rizzo e Stella. A prescindere dal fatto che si tratti di Berlusconi o Veltroni, di Bassolino o Cuffaro, di Fassino o Dell’Utri, gli elettori italiani hanno deciso ancora una volta di dare fiducia agli stessi uomini, mossi dalle stesse logiche, quasi a sublimare l’arte del malgoverno trasformandola in una sorta di sacrificio ineluttabile.

Non sono cambiati i nomi e neppure il disegno che li muove, ma il panorama del nuovo Parlamento sarà molto differente da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi e non solamente in virtù della schiacciante (e largamente prevedibile) vittoria di Bossi e Berlusconi, innescata dai catastrofici risultati del Governo Prodi.
Innanzitutto circa il 30% degli italiani (il 20% che non ha votato, l’8% che ha votato partiti esclusi dalla rappresentanza parlamentare e una parte degli elettori UDC al senato) non sarà rappresentato in Parlamento e la presenza di oltre 14 milioni di cittadini “senza voce” dovrebbe indurre a più di una riflessione.
Nel nuovo Parlamento siederanno esclusivamente i rappresentanti di due partiti fotocopia, con gli stessi programmi e gli stessi padroni a cui ubbidire, come il Pdl-Lega Nord e PD-Idv che da soli rappresentano l’84% dei votanti, contornati da qualche deputato dell’UDC di Casini le cui posizioni sono appiattite sulle stesse loro logiche.
La Sinistra Arcobaleno (che incorporava Rifondazione Comunista, Verdi e Pdci) è uscita dalle urne praticamente polverizzata e non porterà in Parlamento neppure un deputato, mentre solo 2 anni fa i partiti che la compongono raccoglievano il sostegno di circa 5 milioni d’italiani. La Destra della Santanchè non è arrivata dove “credeva” e nonostante 1 milione di voti sarà costretta a rimanere al palo. I Socialisti di Boselli non hanno superato l’1% e tutti gli altri partiti minori sono rimasti allo stato di decimali.

La condizione giunti a questo punto è quella ottimale per gestire in completa libertà le riforme impopolari imposte dai grandi potentati finanziari ed industriali, per costruire grandi opere devastanti con il denaro dei contribuenti, per attuare una politica estera sempre più belligerante e spregiudicata, per esercitare sempre più controllo sui cittadini. Le nuove elezioni hanno consegnato alla classe politica dominante il Parlamento “perfetto” composto esclusivamente dalla maggioranza, mentre l’opposizione sarà costretta a sedersi fuori, dove potrà strepitare a piacimento (sempre che non esageri altrimenti arriverà la cura del manganello) ma si troverà nell’impossibilità di votare ed incidere concretamente sul futuro del Paese. Due soli dentro e tutti gli altri fuori, l’Italia si sta evolvendo sempre più, scimmiottando il modello americano in un crescendo di progresso e democrazia che a breve termine renderà inutile e superata anche la creazione di una farsa elettorale.

venerdì 11 aprile 2008

LA FARSA ELETTORALE



Marco Cedolin

Siamo finalmente giunti all’ultima settimana di questo teatrino pietoso chiamato campagna elettorale, finalizzato a partorire la “dittatura” di due partiti fotocopia intenzionati a legittimare attraverso il voto un pensiero unico che in realtà non corrisponde alla sensibilità dei cittadini italiani.
Gli ingredienti di questa alchimia sono di una semplicità disarmante, avendo come fulcro una legge elettorale finalizzata allo scopo, condita da un ricorso smodato alla disinformazione.

Gli sbarramenti precostituiti del 4% alla Camera e dell’8% al senato ora che tutti (o quasi) corrono da soli impediranno di fatto la possibilità di essere presenti nel prossimo Parlamento a qualunque voce fuori dal coro (solo la Sinistra Arcobaleno, l’UDC e la Destra possono forse aspirare ad ottenere qualche rappresentante) concentrando le scelte degli italiani verso l’unico “voto utile” a produrre rappresentazione parlamentare ed inducendo chiunque non si riconosca nel partito unico di Veltrusconi a disertare le urne senza avere possibilità d’incidere politicamente.

Che scenda dal pullman del PD o dal palco del PDL, Veltrusconi racconta tutto ed il contrario di tutto, di fronte ad un’esposizione mediatica totalizzante costruita per trasformare in verità anche le peggiori menzogne e contraddizioni.
Veltrusconi si presenta come il più grande ambientalista, ma anche come il più grande cementificatore, come fautore dell’ecologia, ma anche degli inceneritori, come l’amico degli operai, ma anche degli industriali, come il difensore dei diritti dei precari, ma anche della legge Biagi che li rende tali, come sostenitore della pace, ma anche delle missioni di guerra, come colui che getterà altri miliardi nel buco nero del TAV ma risanerà anche il debito pubblico, come il grande riformatore ma anche conservatore, come amico dell’energia pulita ma anche del petrolio e del nucleare, come fautore della riduzione del traffico ma anche dell’incremento nelle vendite delle automobili, come sostenitore degli aumenti salariali ma anche dell’incremento della produttività aziendale, come paladino della sicurezza ma anche della libertà, come colui che diminuirà le tasse ma comunque spenderà più denaro pubblico.

Durante questa ultima settimana di farsa elettorale il carattere ed il grado della manipolazione hanno raggiunto livelli parossistici e praticamente ogni cittadino viene imbonito attraverso la “promessa” di realizzare esattamente quello che desidera, poco importa se la realizzazione risulta impossibile ed i desideri sono spesso apertamente in contrasto gli uni con gli altri. L’importante è che ciascuno si senta promettere esattamente quello che vorrebbe sentirsi promettere, non sia così curioso da domandarsi cosa è stato promesso al suo vicino e non abbia alternative, in quanto gli altri che non arriveranno alla soglia del 4% di promesse “concrete” non potranno farne nessuna.
Giunti a questo punto l’unico vero problema di Veltrusconi è costituito dal fatto che gli elettori non si confondano mettendo la croce sul simbolo sbagliato e per evitare che questo accada il Viminale sta provvedendo, a spese dei cittadini, alla stampa di migliaia di manifesti e alla messa in onda di altrettanti spot televisivi che spieghino come votare correttamente. Dopo questo ultimo sforzo sia chiaro che chi per errore non avrà messo la X su Veltrusconi non potrà poi venirsi a lamentare dicendo che la lampada di Aladino non funziona, in quanto era stato avvertito prima e uomo avvisato...

mercoledì 2 aprile 2008

GRANDI OPERE da oggi in libreria


Viviamo in un mondo in cui la grandezza dimensionale è assurta a sinonimo di bellezza e modernità, mentre il futuro viene concepito esclusivamente come una ricerca spasmodica di crescita e sviluppo, da realizzarsi attraverso la creazione di Grandi Opere infrastrutturali che vengono finanziate con il denaro dei cittadini, senza averli neppure mai interpellati.

In Cina è da poco terminata la costruzione della diga delle Tre Gole che sbarra il passo del fiume Yangtze, un mostro di cemento costato 21 miliardi di euro, alto 185 metri e lungo 2,5 km, il riempimento del cui invaso, lungo 600 km, ha già causato l’abbattimento di 75 città e 1.500 villaggi, condannando all’esodo forzato oltre 1,2 milioni di persone.

L’Eurotunnel che corre sotto la Manica per collegare Parigi con Londra è costato 15 miliardi di euro. La società che lo gestisce in 12 anni non è mai riuscita a chiudere una sola volta il bilancio in attivo, ha accumulato un debito di oltre 9 miliardi di euro ed i 741.000 investitori privati che finanziarono l’opera hanno ormai perduto il 90% del proprio capitale.

Il Mose è un progetto faraonico dal costo previsto di 4,3 miliardi di euro volto a difendere Venezia dal fenomeno delle acque alte. Stravolgerà in maniera irreversibile gli equilibri dell’intero ecosistema lagunare ma non servirà a nulla, se non a rimpinguare le tasche del Consorzio Venezia Nuova che lo costruisce.

Il deposito per le scorie nucleari di Yucca Mountain costerà più di 60 miliardi di dollari e metterà a rischio la vita di 1,4 milioni di persone. Negli oltre 80 km di tunnel scavati a 300 metri di profondità saranno stivate 77.000 tonnellate di scorie altamente radioattive provenienti da oltre 100 reattori sparsi in ogni angolo degli Stati Uniti, con l’obiettivo di garantirne la sicurezza per 10.000 anni, ma una parte del mondo scientifico pensa che non vadano seppellite e che non saranno affatto al sicuro.

Il TAV in Italia è costituito da 1000 km d’infrastrutture ferroviarie che costeranno circa 90 miliardi di euro interamente a carico dei contribuenti. La sua costruzione ha devastato l’integrità dei territori, non risolverà i problemi dei pendolari e non proporrà benefici in termini ecologici, ma sono già in cantiere progetti per altri 1000 km o forse più.
L’oleodotto BTC trasporterà il greggio per 1.770 km dal Mar Caspio fino al Mediterraneo orientale e avrà una capacità pari al 7% dell’intero flusso di petrolio mondiale. Economicamente la sua costruzione non avrebbe avuto senso, ma strategicamente è indispensabile per le ambizioni d’indipendenza energetica degli Stati Uniti e d’Israele.

Il Megainceneritore del Gerbido verrà costruito in un’area già oggi pesantemente inquinata ai confini della città di Torino, avrà camini alti 120 metri, dissiperà oltre 1 milione di metri cubi di acqua l’anno e sorgerà a meno di 2 km dall’ospedale San Luigi di Orbassano specializzato in pneumologia.

La Stazione Spaziale Internazionale (ISS), peserà 426 tonnellate, ospiterà 7 laboratori, la sua cubatura abitabile sarà di 1330 m³ e costerà intorno ai 100 miliardi di dollari pur garantendo una vita operativa di soli 10 anni.
I motori delle grandi navi da crociera di ultima generazione producono una potenza che sarebbe sufficiente ad alimentare una città di 200.000 abitanti.

Al largo di Dubai si sta completando la creazione di un arcipelago composto da 300 isole artificiali, mentre in città accanto alle spiagge assolate con una temperatura di oltre 40 gradi sorge Sky Dubai dove in un’atmosfera da pieno inverno si può sciare e sorseggiare vino speziato sulle poltroncine del St. Moritz Cafè.

La costruzione delle grandi opere arricchisce a dismisura i grandi potentati finanziari ed industriali ma non produce alcun benessere per le popolazioni che sono chiamate a finanziarle. Al contrario sia la condizione economica che la qualità di vita dell’uomo stanno regredendo di pari passo con il depauperamento delle risorse economiche, energetiche ed ambientali che la costruzione delle Grandi Opere impone.
Attraverso un meccanismo di plagio che fa leva sulle debolezze umane i manipolatori sono riusciti nell’intento di rendere l’individuo “felice” di essere oggetto stesso della loro manipolazione, costringendolo a diventare complice entusiasta di un “progresso” che in realtà si rivela funzionale solamente ai loro interessi, ma si tratta di vera felicità?
La crescita e lo sviluppo si stanno rivelando incapaci di generare benessere e qualità della vita, le famiglie s’impoveriscono, le prospettive occupazionali si riducono, l’ambiente diventa sempre più asfittico e degradato, l’insicurezza dilaga, l’umanità appare sempre più disumanizzata, ridotta al ruolo di tubo digerente della megamacchina consumista.
Molte persone stanno iniziando a domandarsi se sia davvero questo il modo migliore di vivere sul pianeta. La prospettiva di una società della decrescita rappresenta il terminale logico per tutti coloro che hanno iniziato ad accumulare nuove conoscenze, maturando un diverso grado di consapevolezza che li conduce alla ricerca di un’alternativa praticabile nell’immediato. Occorre applicare una riduzione di scala, una cultura di empatia con l’ambiente e la natura, una riscoperta della comunità, del senso del limite e delle proporzioni, limitare l’ingerenza dell’economia nella società, perseguendo l’autoproduzione di beni e servizi ed occorre farlo fin da subito iniziando ad impegnarsi in prima persona.
Marco Cedolin

martedì 1 aprile 2008

PIU' EXPO PER TUTTI

Marco Cedolin

Evviva! Milano avrà l’Expo 2015.
La notizia rimbalza roboante sui TG della sera illuminando come non mai i teleschermi sempre più piatti degli italiani, per poi andare a riempire le prime pagine dei giornali, incastonata all’interno di titoloni che esaltano ora l’orgoglio, ora la commozione, ora la felicità di un Paese in festa, quasi si trattasse del revival degli ultimi vittoriosi mondiali di calcio.
La “vittoria” ottenuta da Letizia Moratti riuscendo a portare l’expo 2015 sotto la Madonnina riesce ad oscurare qualsiasi problema di questa Italia disgraziata, poco importa se i salari degli italiani continuano a restare i più bassi, poco importa se i morti sul lavoro continuano ad aumentare anche adesso che in campagna elettorale non fanno più notizia, poco importa se non si riesce neppure a decidere a chi “regalare” la compagnia aerea di bandiera, poco importa se sulle prime pagine di ieri l’inflazione era schizzata al 3,3% toccando il livello più alto degli ultimi 12 anni, adesso abbiamo l’Expo e possiamo guardare al futuro con giustificato ottimismo, godendoci la “Milano da bere” che ritorna e le fantasie visionarie che amministratori, architetti, giornalisti ed opinion leader ormai scatenati stanno affrettandosi a “mettere in cantiere” per noi.

Gli aggettivi si affastellano gli uni agli altri con i loro suoni suadenti e carichi di musicalità, somigliano alle sirene di Ulisse nate per ammaliare, imbonire, suggestionare e persuadere il cittadino – consumatore di sogni, incantesimi ed alchimie.
Le cifre vengono sciorinate disordinatamente in un crescendo musicale carico di suggestioni immaginifiche promettendo per tutti scampoli di quella “ricchezza” ormai dimenticata dai più, fra le pieghe di un divenire sempre più incerto.

Tutto è grande se osservato sotto le fantasmagoriche luci dell’Expo, immensa l’area di esposizione prevista in 1,7 milioni di metri quadri, così come lo spazio di 530 mila metri quadrati dedicato ai parcheggi, colossali gli investimenti (in larga parte pubblici) stimati in 20 miliardi di euro, enorme il numero dei visitatori attesi, oltre 29 milioni, straordinarie le ipotesi d’incremento di fatturato per le aziende locali che ammonterebbero a 44 miliardi di euro secondo una ricerca della Camera di commercio milanese, addirittura incredibile il numero di “posti di lavoro” che potrebbe creare la manifestazione, secondo una ricerca condotta dalla Bocconi che li stima in circa 70.000.

Tutto cresce nella fantascientifica Milano “del futuro” che nascerà attraverso oltre 7 anni di cantieri finalizzati a stravolgerne in profondità la fisionomia, fino a trasformarla in una piccola Dubai, tanto artificiale quanto improbabile nella sua veste di metropoli “ecosostenibile” incastonata all’ombra della futura Expo Tower che s’innalzerà nel cielo per 200 metri, pronta a specchiarsi dentro a laghi e torrenti artificiali contornati dalla nuova stazione del TAV, da nuovo cemento, nuove strade, nuove occasioni di speculazione edilizia.

Tutto resta uguale nelle case delle famiglie italiane, milanesi e non, spesso abbarbicate nei quartieri dormitorio delle grandi periferie atomizzate, dove mancano anche i servizi primari e l’unico panorama godibile è costituito dal muro di un palazzone scrostato e fatiscente. Tutto resta uguale nell’Italia della disoccupazione dimenticata dall’Istat e del lavoro precario che avvelena la vita annientando anche la speranza. Tutto resta uguale per gli italiani costretti a tirare la fine del mese con sempre meno potere di acquisto perché schiacciati (come gli viene raccontato dagli economisti) da un debito pubblico insostenibile.
Eppure saranno proprio loro, le famiglie italiane che non sono state invitate a partecipare al baccanale, a finanziare attraverso nuovo debito pubblico, anche la mega kermesse dell’Expo di Milano 2015 dove la lobby del cemento e del tondino, sotto la direzione degli architetti di grido, costruirà la “città del futuro”, luminosa, colossale, artificiale, ecosostenibile, universalmente inutile e soprattutto lontana, così lontana dal Paese reale da perdersi in quella cappa di nebbia e smog che nonostante il miracolo dell’Expo a Milano continua a farla da padrone.