mercoledì 19 dicembre 2007

GRANDI OPERE





In uscita a gennaio per Arianna Editrice GRANDI OPERE, il nuovo libro di Marco Cedolin

Non solo un libro di critica al sistema delle grandi opere e all’ideologia che lo sottende. La nuova opera di Marco Cedolin si presenta soprattutto come un testo profondamente ispirato ai principi della decrescita, capace di una visione diversa e sorprendente delle dinamiche sociali, economiche e politiche.


Lo sguardo indagatore di Marco Cedolin spazia dai progetti concreti di grandi opere già realizzate e in corso di realizzazione (Mose, Diga delle Tre Gole, Eurotunnel, Tav, l’impero di Dubai, autostrade, inceneritori, navi da crociera, oleodotti e gasdotti), alla documentata denuncia degli intrecci di economia e potere legati al sistema. Dall’acuta analisi della “psicologia da grandi opere” e del modello sviluppista, all’alternativa concreta della decrescita. Dai sacerdoti del progresso, all’uomo qualunque che vive all’insegna della sobrietà, dell’autoproduzione, del risparmio.
Uno stralcio dal capitolo “Come costruire la decrescita”
«Una delle maggiori critiche che vengono sistematicamente rivolte alla decrescita è quella di rappresentare un’alternativa troppo estrema rispetto al modello di sviluppo attuale basato sulla crescita: la decrescita risulterà per forza di cose inapplicabile in quanto intrisa di utopia.
In realtà basta leggere la storia per rendersi conto che le società basate sui criteri che fanno parte della filosofia della decrescita hanno caratterizzato buona parte del vissuto dell’umanità, ed è proprio il modello sviluppista ad avere rappresentato, da poco più di un secolo, un’alternativa tanto estrema quanto inapplicabile nel lungo periodo. Tutte le società antiche erano profondamente consapevoli di quanto fosse importante tenere nella massima considerazione gli equilibri naturali e creare un rapporto armonico con l’ambiente.»

lunedì 17 dicembre 2007

I RIFIUTI NEI POLMONI

Marco Cedolin

I problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti sono molteplici e di grande complessità ma non possono prescindere da una riflessione globale sull’argomento.
Il “peso” dei rifiuti nella nostra società grava per intero sulla schiena dei cittadini che ne pagano il costo sia in termini economici sia sotto forma di degenerazione dell’ambiente in cui vivono, con conseguenze negative per la loro salute. Di contralto molti speculatori senza scrupoli, sotto forma di società pubbliche e private che gestiscono discariche ed inceneritori, proprio grazie ai rifiuti stanno accumulando immense fortune.
Occorre perciò prendere coscienza di come quello che per la maggior parte dei cittadini si manifesta sotto forma di un grave problema da risolvere, per altri rappresenta semplicemente una fonte di facile arricchimento personale da preservare il più a lungo possibile. Qualunque approccio serio e ponderato al problema rifiuti non può perciò prescindere dalla consapevolezza dei termini dello stesso da parte dei cittadini e dalla necessità di affrancarsi da un modello di sviluppo come quello attuale, improntato al consumismo più sfrenato che ingenera per forza di cose un incremento altrettanto sfrenato dei materiali di scarto.
I rifiuti smaltiti nella maniera più efficiente e sicura sono quelli che non vengono prodotti ed è proprio nell’ottica di una drastica riduzione dei materiali di scarto che sarà necessario muoversi qualora si voglia affrontare il problema in maniera organica. Questo obiettivo può essere perseguito solamente intervenendo a monte, razionalizzando i consumi, imponendo alla produzione industriale contenitori e imballaggi riutilizzabili, favorendo la riparazione anziché l’eliminazione, privilegiando l’inserimento in commercio di prodotti riciclabili e dal potenziale scarsamente inquinante, ripensando l’intera produzione di beni di consumo in funzione del loro recupero e riutilizzo.
Solamente dopo avere reimpostato il problema in termini di riutilizzo e non di smaltimento sarà possibile affrontarlo in maniera costruttiva con l’ausilio di una raccolta differenziata seria ed efficiente e delle strutture tecnologicamente avanzate indispensabili per tradurre in pratica lo sforzo dei cittadini.In Italia la produzione di rifiuti non è mai stata contrastata attivamente attraverso leggi che ne limitassero l’incremento, al contrario la politica ed i grandi gruppi di potere si sono fino ad oggi preoccupati solamente della spartizione del business miliardario concernente le discariche e gli inceneritori.

Negli ultimi anni si stanno moltiplicando in maniera esponenziale i progetti di megainceneritori faraonici che vengono presentati all’opinione pubblica sotto le mentite spoglie di mirabolanti prodotti dell’innovazione tecnologica, in grado di coniugare uno smaltimento “pulito” dei rifiuti con la produzione di energia derivante dall’incenerimento degli stessi.
In realtà in quelli che vengono impropriamente definiti termovalorizzatori, di mirabolante e d’innovativo non c’è assolutamente nulla, mentre sono moltissime le controindicazioni connaturate nella pratica dell’incenerimento. Nel rapporto dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE Italia) viene affermato categoricamente come l’incenerimento sia fra tutte le tecnologie di trattamento dei rifiuti in assoluto la meno rispettosa dell’ambiente e della salute. Questo poiché la combustione trasforma anche i rifiuti relativamente innocui quali imballaggi e scarti di cibo, in composti tossici e pericolosi sotto forma di emissioni gassose, polveri fini, ceneri volatili e ceneri residue. Inoltre come spiegato dettagliatamente nelle ricerche di Stefano Montanari, Direttore scientifico del Laboratorio di Nanodiagnostica di Modena, i megainceneritori di nuova generazione in virtù delle alte temperature alle quali trattano i rifiuti, oltre ad emettere diossina, furani, idrocarburi policlici, acidi inorganici, ossido di carbonio ed altre sostanze dalla ferale pericolosità, producono particolato costituito da nanoparticelle finissime (PM 2,5 ed inferiori) che sono altamente patogene e non vengono rilevate dagli strumenti di controllo né bloccate dai filtri degli impianti.
In realtà come fa notare lo stesso Montanari, incenerendo i rifiuti non li si elimina ma semplicemente li si trasforma in particelle tanto piccole da farle scomparire alla vista, la cui tossicità aumenta man mano che esse divengono più minute. Da una tonnellata di rifiuti bruciata si ricava infatti una tonnellata di fumi, da 280 a 300 kg di ceneri solide da stoccare all’interno di discariche per rifiuti speciali, 30 kg di ceneri volanti (la cui tossicità è enorme) 650 kg di acqua sporca da depurare e 25 kg di gesso. Il che significa il doppio di quanto si è inteso smaltire, con l’aggravante di avere trasformato il tutto in un prodotto altamente patogenico.

A Torino il nuovo megainceneritore del Gerbido sorgerà al confine del territorio comunale di Grugliasco, a meno di 2 km dall’Ospedale San Luigi di Orbassano specializzato in pneumologia, in una zona già oggi pesantemente inquinata a causa del traffico e degli insediamenti industriali. L’impianto sarà in grado d’incenerire 421.000 tonnellate di rifiuti/anno ma la capacità massima arriverà a 579.000 tonnellate/anno.
Nelle intenzioni dei progettisti il nuovo megainceneritore del Gerbido dovrà essere il precursore di una nuova filosofia in grado di reinterpretare il ruolo delle strutture deputate all’incenerimento in chiave di attrazione turistica. Nell’intento di perseguire la sua vocazione “turistica” l’inceneritore, il cui costo previsto è di 311 milioni di euro, avrà peculiarità architettoniche fuori dall’ordinario, nonché la “firma” dei disegnatori del centro Stile Bertone. Il visitatore si muoverà fra ampie vetrate, pareti dalle linee verticali, colori chiari alternati con l’arancione ed il giallo che compongono il logo della TRM, la società pubblica che gestirà l’impianto. Il camino di emissione sarà alto 120 metri e sulla sua sommità sarà collocata una torre di osservazione dalla quale oltre la cortina fumogena i turisti saliti fino lì attraverso un ascensore panoramico trasparente potranno ammirare la città ed il panorama circostante. Per rendere maggiormente fascinosa l’ambientazione il camino sarà inoltre avvolto in una superficie di vetro sulla quale scorrerà un velo d’acqua suddiviso in due rami che scenderanno a cascata fino ad un laghetto squadrato realizzato ai piedi dell’edificio. A suggellare lo spirito della struttura collocato a metà fra tecnologia e parco dei divertimenti ci sarà anche un “giardino d’inverno” situato nella palazzina degli uffici e visibile dall’esterno attraverso l’ampia vetrata.
In realtà il megainceneritore del Gerbido svestiti i panni d’improbabile attrazione turistica non sarà in grado d’interpretare nulla e si limiterà ad emettere fumi velenosi come fanno da tempo tutti gli altri impianti d’incenerimento dei rifiuti. Dissiperà oltre un milione di metri cubi d’acqua l’anno destinati al suo sistema di raffreddamento, praticherà l’eutanasia del sistema di raccolta differenziata in città, necessitando di un’enorme quantità di rifiuti dall’alto potere calorifero che ne garantiscano il funzionamento, produrrà energia elettrica emettendo nell’atmosfera quantitativi di CO2 doppi rispetto ad una centrale a gas naturale di eguale potenza.
Le reali conseguenze dell’impianto sull’ambiente e sulla salute degli abitanti che vivono nell’area soggetta alle emissioni saranno di notevole entità come ampiamente dimostrato dagli studi aventi per oggetto impianti assimilabili e dal fatto che TRM abbia già stanziato ben 30 milioni di euro per interventi di “compensazione ambientale” da mettere in atto nei comuni interessati dalla ricaduta dei fumi dell’inceneritore. Tali conseguenze probabilmente non verranno però mai rese note e neppure misurate, dal momento che le autorità si sono già premurate affinché nulla possa turbare il futuro del megainceneritore, facendo si come spesso avviene in Italia che controllato e controllore siano in realtà un unico soggetto. La Trattamento Rifiuti Metropolitani (TRM) è infatti una società pubblica di proprietà dei comuni ed i soggetti che hanno definito la necessità di costruire l’impianto e lo hanno affidato a TRM sono gli stessi che conducono la procedura di compatibilità ambientale e che successivamente avranno specifici compiti di controllo e intervento sull’impianto stesso nel caso di malfunzionamenti o problemi.

domenica 9 dicembre 2007

IL LAVORO E' UNA GUERRA CHE UCCIDE

Marco Cedolin

La tragedia dell’acciaieria Thyssenkrupp di Torino, dove quattro lavoratori si sono trasformati in torce umane ed hanno perso la vita, mentre altri tre operai coinvolti nel rogo giacciono in ospedale con gravissime ustioni sulla quasi totalità del proprio corpo, ha fatto si che il carrozzone politico e quello mediatico siano tornati ad occuparsi delle morti sul lavoro.
I soloni della politica e quelli dell’informazione hanno in realtà da sempre un approccio molto singolare con l’argomento. I primi non perdono occasione per ribadire che in materia di sicurezza sul lavoro esistono ottime leggi, che purtroppo non vengono rispettate, come se il compito di garantire il rispetto di quelle leggi fosse deputato non a loro, bensì agli uomini politici tedeschi, inglesi o non si capisce bene di quale paese straniero. I secondi denunciano la scarsa sicurezza presente sui luoghi di lavoro e si producono in articoli/servizi di stampo pietistico, quanto mai efficaci nel rimpinguare la tiratura dei giornali o lo share delle trasmissioni TV, ma assolutamente inadeguati per chiunque volesse prendere coscienza dei reali termini del problema. Dopo la tragedia di Torino perfino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, interpretando come meglio non avrebbe potuto il proprio ruolo istituzionale, ha deciso di “sacrificare” un minuto del proprio tempo e di quello dei tanti vip intervenuti come lui alla prima della Scala, dedicandolo agli sfortunati lavoratori dell’acciaieria Thyssenkrupp che certo, se ancora fossero stati in grado di parlare, non avrebbero mancato di ringraziarlo sentitamente per il nobile gesto. I sindacati confederati, molto meno interessati alla sicurezza dei lavoratori di quanto non lo siano all’integrità del pacchetto sul welfare stipulato con Confindustria, hanno indetto uno sciopero di 2 ore, premurandosi di non creare disagi alla produzione industriale.

Le statistiche ufficiali parlano di 1500 morti sul lavoro ogni anno in Italia, ma dimenticano di conteggiare i molti pendolari che ogni giorno perdono la vita in incidenti stradali mentre si recano sul posto di lavoro o tornano a casa a fine giornata, così come dimenticano tutti coloro (autisti, rappresentanti, fattorini, agenti immobiliari e professionisti vari) che per lavoro guidano un automezzo e giornalmente trovano la morte sulla strada, così come dimenticano tutti coloro che ogni anno muoiono per malattie “professionali” contratte sul luogo di lavoro nel corso della propria vita professionale. In realtà il lavoro uccide in Italia alcune migliaia di persone l’anno e la maggior parte di loro non viene neppure ricordata in un trafiletto sul giornale.
Alcune volte, come nel caso dell’acciaieria Thyssenkrupp la responsabilità della tragedia è da imputarsi al mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza da parte dell’azienda, altre al penoso stato in cui versano le strade ed autostrade italiane, altre ancora al sistema della precarietà che determina la presenza di lavoratori privi di esperienza in mansioni altamente pericolose, altre ancora alla stanchezza determinata da turni di lavoro massacranti.

Ma la reale responsabile della stragrande maggioranza di morti sul lavoro è la vera e propria guerra che giornalmente milioni di lavoratori ed imprenditori combattono per tentare di ritagliarsi qualche briciola di sopravvivenza.
Il mondo del lavoro è diventato negli anni una giungla strapiena di trappole, dove il rispetto per la vita umana e la dignità della persona sono stati immolati sull’altare della produttività e della competizione.
Lo sapeva bene Gabriele Aimar, autista di furgoni portavalori che viveva a Cuneo e nessuno ricorderà mai come “morto sul lavoro”. Gabriele il 3 dicembre si è ucciso con un colpo di pistola, semplicemente perché la polizia la sera prima gli aveva ritirato la patente giudicandolo positivo alla prova dell’etilometro, dopo averlo fermato a bordo della sua auto appena uscito da un pub dove aveva bevuto una birra insieme ad un amico. Senza la patente non avrebbe più potuto lavorare e non sapeva come sopravvivere.
La ricerca della sopravvivenza spinge ogni giorno centinaia di migliaia di lavoratori ad andare ben oltre i propri limiti fisici accumulando ore ed ore di straordinario, la sopravvivenza spinge altrettanti lavoratori ad accettare mansioni che danneggiano, spesso in maniera irreversibile la loro salute, la sopravvivenza spinge i pendolari a buttarsi su autostrade e tangenziali alle 5 di mattina con il sonno che percuote le tempie. Quella stessa ricerca della sopravvivenza induce a lavorare in nero in un cantiere o in un’industria senza che siano rispettate le norme di sicurezza, induce a spingere l’acceleratore nella nebbia per evitare di perdere un cliente, a lavorare ancora anche quando si è ormai privi della lucidità necessaria.
La ricerca della sopravvivenza economica e il tentativo di continuare a restare “sul mercato” fa si che ogni giorno decine di migliaia d’imprenditori perdano la propria umanità trasformandosi in individui senza scrupoli, pronti a barattare qualche scampolo di produttività con la vita delle persone.

Le promesse della classe politica e la falsa indignazione del mondo sindacale sono solamente atteggiamenti retorici che durano un battito di ciglia. Fra qualche giorno, sparita l’attenzione mediatica che avrà trovato nuovi argomenti sui quali costruire tirature ed ascolti, tutto tornerà come prima e probabilmente peggio di prima.
Il mondo del lavoro è un teatro di guerra altamente disumanizzato, dove le persone sono ridotte al ruolo di utensili, esistenze cosificate costrette a rincorrere la speranza di sopravvivere, anche quando in fondo a quella speranza c’è il concreto rischio di trovare la morte. Una guerra senza regole, senza senso e senza futuro. Una guerra combattuta nel nome della produttività e della competizione sfrenata, dove tutti i soldati sono irrimediabilmente destinati a perdere, mentre a vincere sono soltanto i pochi burattinai che attraverso la guerra costruiscono immensi profitti, e poco importa loro se si tratta di profitti realizzati attraverso l’alienazione della vita umana.

lunedì 3 dicembre 2007

ROTTAMAZIONE AMBIENTE

Marco Cedolin

Nel leggere il testo della finanziaria 2008 di recente approvazione, molte persone si erano accorte della novità inusitata in virtù della quale mancavano gli ormai canonici finanziamenti statali (ecologicamente camuffati) all’industria automobilistica. Il Presidente di Legambiente Roberto Della Seta, qualche giorno fa, si era spinto fino a lodare il Ministro Pecoraro Scanio per avere deciso di non concedere nuovi incentivi statali per la rottamazione delle auto.
In realtà si trattava solo di un’illusione, i finanziamenti pubblici all’industria automobilistica ci saranno anche nel 2008, riguarderanno le auto Euro 0, Euro 1 ed Euro 2 e sono stati approvati in extremis il 28 dicembre nel bel mezzo delle vacanze natalizie e collocati in gran fretta sotto l'albero a fare da strenna per i grandi potentati industriali.
Per tentare di dare una patente ecologica al sussidio statale, diventato ormai parte integrante delle campagne pubblicitarie di quasi tutte le case automobilistiche, saranno probabilmente stabiliti dei limiti in termini di cilindrata per quanto riguarda l’auto nuova e costituite delle norme che favoriscano le auto ibride ed elettriche, ma le grandi industrie che operano in campo automobilistico dormiranno comunque sonni tranquilli, potendo contare sui finanziamenti pubblici anche per il prossimo anno.

In realtà le campagne di questo genere non costituiscono affatto una pratica virtuosa, ma al contrario favoriscono la “rottamazione ambientale” sempre più diffusa nel nostro paese. La falsa motivazione ecologica viene infatti utilizzata per suffragare quella che si dimostra essere semplicemente una campagna di sostegno all’aumento dei consumi volta a favorire i grandi gruppi industriali. Qualunque ipotetica valenza ecologica dell’operazione viene smentita in maniera incontrovertibile dall’assoluta mancanza di studi che dimostrino come la rottamazione di un’auto usata e relativa sostituzione possa costituire un processo migliorativo dal punto di vista ambientale. Se infatti è probabile che l’auto nuova, in virtù di una tecnologia più moderna, emetterà una quantità minore di sostanze inquinanti (e si tratta di un valore variabile in quanto proporzionale alla quantità di chilometri percorsa mediamente dall’acquirente) occorre sottolineare che la quantità di energia e materie prime necessaria per la rottamazione dell’auto vecchia e la costruzione della nuova autovettura (in questo caso si tratta di un valore fisso ed oggettivo) supererà di gran lunga i benefici, in termini d’impatto ambientale e contributo all’inquinamento.

Nonostante le “promesse” del Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, destinate a restare tali, il governo continua dunque a procedere nel solco tracciato dai governi che l’hanno preceduto. Sostegno all’industria attraverso l’esborso di denaro pubblico, per favorire la produzione ed il consumo della merce “automobile” che risulta essere uno dei maggiori imputati per quanto concerne l’aria irrespirabile delle nostre città.