Marco Cedolin
La crisi finanziaria sta ormai occupando in pianta stabile da alcune settimane le prime pagine dei giornali, riuscendo perfino ad intaccare l'atmosfera patinata dei TG, con tutto il suo corollario costituito da banche che falliscono, stati che nazionalizzano gli istituti di credito, governi che stanziano, o auspicano lo stanziamento, di cifre da capogiro destinate a preservare il sistema bancario dal crack imminente, mercati azionari ormai fuori controllo che si muovono in maniera schizofrenica simili ai vagoncini delle montagne russe.
Una debacle dalle conseguenze inimmaginabili che imperversa come un tornado nel mondo virtuale della finanza, costituito in larga parte da ectoplasmi del tutto inafferrabili per i comuni mortali, in quanto composti da algoritmi e calcolazioni complesse dalle quali fuoriesce un vero e proprio lemmario incomprensibile ai più. La crisi finanziaria parla il linguaggio del Mibtel, del Dow Jones, del Nasdaq del Nikkei, dell’Euribor, dei Bond, , degli hedge funds, dei sinking funds, degli swaps, della riserva frazionaria, dei piani di consolidamento del baylout da 850 miliardi di dollari, di 450 miliardi di euro “bruciati” in Europa nel corso di un solo lunedì.
La crisi dei comuni mortali parla il linguaggio del Paese reale, lontanissimo dal gergo destinato a pochi iniziati che straborda dalle pagine dei giornali e dagli schermi della TV. Racconta il potere di acquisto di salari e pensioni ormai in caduta libera, le imprese che chiudono i battenti lasciando dietro di sé una lunga scia di disoccupati, le aziende, sia pubbliche che private, intenzionate a licenziare nei prossimi anni buona parte dei propri dipendenti, come si può evincere da quasi tutti i piani di programmazione industriale triennali o quadriennali. Racconta un Paese che produce sempre meno e consuma sempre meno, totalmente incapace di “crescere” pur continuando a poggiare la propria economia su un modello di sviluppo anacronistico fondato proprio sulla crescita.
I comuni mortali sono impegnati nel sempre più difficile esercizio alchemico consistente nel trovare 50 euro per riuscire ad andare a fare la spesa al discount (nonostante anche lì con 50 euro, ogni mese che passa si riesca a comprare sempre di meno) 100 euro per pagare la bolletta della luce che continua a salire, 200 euro per pagare il bollo dell’auto, qualche centinaio di euro per pagare la prima rata del riscaldamento, che va sommata a quella del mutuo o alla rata della macchina, ai libri per i figli o alla retta dell’asilo, alla benzina (sempre più cara nonostante il prezzo del petrolio da tempo stia scendendo) indispensabile per continuare a fare i pendolari, alla bolletta del telefono, al conto dell’idraulico, a quello del meccanico o al dentista, alla rata della spazzatura, alla bolletta del gas.
Non si tratta di calcolazioni complesse come quelle della finanza, le cifre sono “piccole”, così come sono semplici le logiche che le muovono, i nomi si pronunciano facilmente ed il loro significato appare chiaro a tutti. La complessità è data dal fatto che non esistono piani di salvataggio per i comuni mortali e una famiglia non può “bruciare” in un mese 2500 euro se ne guadagna 1500. Se manca loro il danaro per pagare la bolletta della luce i comuni mortali non vedono abbassarsi il proprio rating, né scendere il valore azionario della famiglia, rimangono semplicemente al buio, così come se non pagano le rate dell’auto arriva il carro attrezzi a portarla via, se non pagano la rata del mutuo la casa viene venduta all’asta, se non ci sono i soldi per fare la spesa l’unica alternativa (nel migliore dei casi) è costituita dalla mensa dei poveri.
La malattia che affligge il Paese reale è molto più grave di quella che sta colpendo il mondo virtuale della finanza, anche se tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sui mercati finanziari e si sta vendendo l’illusione che risolta la crisi delle banche tutto tornerà a “girare” come e meglio di prima.
Non ci troviamo semplicemente di fronte al fallimento di una politica finanziaria troppo spregiudicata, di un turbocapitalismo che ha dimenticato di darsi delle regole, di una società neoliberista che ha giocato d’azzardo con la globalizzazione.
Ci troviamo di fronte al completo fallimento di un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita che si è ormai scontrato con l’evidente incapacità di crescere ancora, dettata dal fatto che è impossibile crescere indefinitamente all’interno di un mondo dove tutto è finito e nulla può nutrire la presunzione di continuare a crescere senza sosta.
Occorre prendere coscienza del fatto che nulla girerà più come prima, a prescindere da come procederà l’operazione di salvataggio delle banche, ed è giunto il momento di ripensare in profondità un modello di sviluppo ormai senza futuro, per tentare di costruire una società della decrescita che sappia sostituirsi a quella della recessione selvaggia (con tutto il contorno di caos e violenza che immancabilmente porterà con sé) nelle cui spire stiamo precipitando senza paracadute.
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