Pubblichiamo una interessante riflessione dell'amico Claudio Ughetto.
Sabato 6 dicembre 2008, sono stato a Susa con il mio cane, alla manifestazione NO TAV organizzata dal Movimento anche in ricordo di quella ben più imponente dell’8 dicembre 2005, famosa perché ha segnato la ripresa del cantiere di Venaus. C’ero anche allora: ricordo la giornata gelida, il nevischio che cadeva sulla strada, la discesa a gruppetti giù per i sentieri di partigiani verso i cantieri che erano stati occupati pacificamente dai valsusini prima che arrivassero i poliziotti a cacciarli, infierendo con una violenza vergognosa, pestando a sangue donne e anziani. Ricordo la rabbia di quella giornata: gli scudi dei celerini schierati, i ragazzi che dall’altra parte della strada inveivano come guerrieri danzanti, rinfacciandogli le violenze di quella notte. Non ci furono scontri. Grazie all’enorme senso di responsabilità dei manifestanti, e anche per la mediazione dei sindaci della valle, all’epoca massimi rappresentanti della società civile del luogo. Fu una gran giornata, esemplare per azione politica e coerente nonviolenza. Ricordo Ferrentino, sindaco di S.Antonino e portavoce dei sindaci della valle, su un furgone davanti alla folla festante: - Il cantiere è di nuovo nostro! -. E, dopo aver invitato tutti alla calma: - Abbiamo vinto. Ora si riaprono le trattative.
Ieri i sindaci non c’erano, almeno la maggior parte. Questo perché nell’ultimo anno le loro “trattative” con le istituzioni non sono piaciute a quelli del Movimento. Ci sono state sicuramente delle buone ragioni per dissentire dalle scelte dei sindaci, ma forse non abbastanza per motivare una rottura. Eravamo in tanti anche ieri, come le altre volte. Non importa quanti: se 30.000 come dicono gli organizzatori o 7000 come dice la polizia. Eravamo in tanti. È stato come le altre volte. Forse troppo come le altre volte. Mentr’ero lì mi chiedevo cosa ci stavo a fare, al di là di incontrare amici che ho ormai da 20 anni e condividere un’idea di fondo che forse si è deprivata man mano dell’Anima. C’ero, e probabilmente continuerò ad esserci anche le prossime volte, ma col ripetersi delle occasioni scorgo conferma in una mia impressione: il Movimento non sta più andando da nessuna parte, gira su se stesso con marce rituali perché con gli anni ha smarrito le istanze da cui era partito e il suo immaginario propulsivo. L’Anima. Ormai facciamo parte della cultura massmediatica: siamo gruppi abborracciati in una massa sfilante da contare in tv. Poi dipende. Secondo che ci contiamo noi o ci conta Rai 3. Gruppi assortiti di cattocomunisti, valligiani borghesi e proletari (fanno ancora colpo le signore col passeggino…) ed accentuazioni folkloriche da mettere sui calendari promozionali. Ancora qualche marcia commemorativa, poi i NO TAV finiranno come i NO GLOBAL: ormai assorbiti in “vecchi modelli policistici”
1 che sono stati a loro volta annullati dagli sbarramenti elettorali.
Cos’è l’Anima? L’Anima è il luogo, è la valle. L’Anima siamo noi nella valle. L’Anima è come ci rappresentiamo questa valle, come la vogliamo: che è poi il motivo per cui ci siamo opposti prima all’autostrada Torino-Bardonecchia e adesso al TAV. L’Anima è la nostra idea di bello contro l’utile e il retoricamente produttivo. Quella malsana concezione di sviluppo che ci propinano da destra e da sinistra, con Rai 3 a pontificare sul progresso industriale che il TAV rappresenterebbe, mentre la Tyssen esplode uccidendo chi ci lavora. Per noi bello non è soltanto l’andare a Sestriere e Bardonecchia a tempo record per svaccare nelle stazioni sciistiche in nome del PIL, dimostrando che si può spendere nonostante la recessione. Non è soltanto il paesaggio. È vivere nel paesaggio, sentire di farne parte. La valle non è nostra, ma ne facciamo parte. Qui sta la differenza. Non la consideriamo una baldracca da percorrere in andata e ritorno. L’amiamo nei suoi squarci di luce ma anche nelle oscurità gelide. La rispettiamo, consapevoli che per sopravvivere qualche torto dobbiamo (e dovremo) pur farglielo. Come quando si uccideva un animale, sapendo che era necessario per cibarsene, ma rispettandone la sacralità. Questo, quelli di Rai 3, la Bresso e Chiamparino, coloro che ci vedono come dei potenziali terroristi non possono capirlo. Per loro l’autostrada era uno strumento per velocizzare il trasporto su gomma. Ora che la gomma non la vuole più nessuno, bisogna passare al treno. L’autostrada? Bé… vuoi mettere l’andare a sciare in meno di un’ora… E la neve? Quest’anno ce n’è, ma negli anni scorsi ha scarseggiato… Ah, la neve… Chissenefrega! La spariamo coi cannoni, la neve, se non c’è! E se proprio non c’è, la neve, con l’autostrada a sciare ci vai in Francia.
Anche noi NO TAV rientriamo in questa logica, quando stiamo al gioco di farci contare su Rai 3. Quando insceniamo i medesimi riti, proponiamo i medesimi slogan. Quando ci perdiamo in pastoie politichesi. Quando scadiamo nella coazione a ripetere. Quando ci dimentichiamo di riconoscere che non stiamo soltanto lottando contro un treno, ma contro una concezione di sfruttamento e di de-sacralizzazione della valle che non condividiamo. Quando dimentichiamo che, nella Storia, in troppi hanno stuprato la Valle di Susa per i loro beceri fini, mentre chi ci viveva ha tribolato le pene dell’inferno continuando umilmente a rispettarla.
Un po’ di tempo fa un mio amico, d’idee molto diverse dalle mie, faceva delle interessanti osservazioni sul movimento NO TAV, mettendone in luce quello che considerava l’aspetto dolciniano. Secondo lui, proprio come gli eretici di Fra Dolcino, i NO TAV sarebbero dei fanatici di fondo, mossi da un ardore misticheggiante e apocalittico. Di qui il pericolo di una deriva Sangue e Suolo che alcuni esponenti liberali, transpolitici e transnazionali, vedono nel Movimento e implicitamente in buona parte della popolazione valsusina. Prima di indignarsi e respingere l’analisi, bisogna però avere il coraggio di pensare contro se stessi e chiedersi se in essa non ci sia un fondo di verità. Un ipotetico gruppo SI TAV può avere posto nella Valle di Susa? Forse. Di sicuro ci vuole del coraggio a fondarlo. Ho degli amici che vogliono il TAV, li rispetto, ci vado persino d’accordo se non se ne parla, ma è sempre il gruppo a decidere. In & Out. La recente scissione del Movimento rispetto alle decisioni dei sindaci, più disposti al “dialogo”, dà da pensare. Quindi pensiamoci. Sebbene vada riconosciuto che in passato il Movimento ha dato prova di un esercizio di pluralismo e di democrazia partecipata che i governi, il Pd e il Pdl, possono sognarselo. In quanto movimento popolare, i NO TAV hanno dimostrato che, per una causa comune, anime politiche diversissime possono infischiarsene delle appartenenze. I NO TAV avranno pure un lato oscuro, dolciniano. Saranno pure dei barbari, ma sono dei barbari invasi. Invasi da una cultura sviluppista che non rispetta la valle, quindi neppure i suoi abitanti. I NO TAV spaventano perché per lungo tempo hanno pensato diversamente, fuori dalle logiche prestabilite del profitto e della politica economicista. I NO TAV non sono solo consumatori, e chi non consuma soltanto spaventa: perché non serve alle elezioni, non ha nulla da richiedere se non il rispetto della vivibilità. I NO TAV amano e rispettano la valle, ma non per questo rischiano la deriva Sangue e Suolo che gli amanti della politica asettica paventano. Abbiamo i nostri lati oscuri, come la valle. Forse pensiamo addirittura che la valle sia “sacra”, e in questo non c’è nulla di sbagliato. Ci sono notti dei miei vent’anni che ricordo con entusiasmo: accovacciato nei boschi con gli amici a vedere i cervi contro il cielo stellato, sentendoli bramire nel totale silenzio. Ricordo escursioni in mountain-bike nel Gran Bosco, vagabondaggi con gli sci da fondo a meno 18 gradi, scarpinate su per il Gravio fino alla Cristalliera o il Villano. Ricordo i mufloni sul Pelvo, i rospi impazziti sotto la pioggia. Per me la valle ha un’Anima. Non mi vergogno dell’immaginario poetico che mi lega ad essa. È per questo che mi oppongo al TAV, e anche a un’idea di sviluppo che ha fatto il suo tempo salvo che per i politici di professione. Quelli che non hanno mai sentito l’odore di un bosco, ma riconoscono bene quello dei soldi. Penso sia l’Anima a far scaturire l’immaginario e il senso del bello, insieme a un’idea di “mondo possibile” che il movimento NO TAV rischia di perdere con l’andare del tempo.
Ben vengano le marce e le commemorazioni, ma non bastano. Non stiamo combattendo contro un treno, non soltanto. Parole come ecologia, decrescita e glocalismo, democrazia partecipata, comunitarismo (aperto e pluralista, all’interno di contesti multiculturali) dovrebbero sorreggere un’idea di “mondo possibile” che si oppone ad ogni uniformità, compresa quella dei numeri in tv. Perché l’Anima è nella valle e nel mondo, e tutti gli uomini, di qualsiasi etnia o provenienza, devono potersi rispecchiare in quest’opportunità. Invece queste parole erano appena accennate all’inizio, come opportunità, e adesso sono scomparse: spazzate via da slogan e proclami su Internet, tanta rabbia e poca propositività. Salvo poi contarci alle marce. Ho visto tante bandiere NO TAV il 6 dicembre. Tante bandiere rosse, sigle sindacali, vessilli d’associazioni e un furgone chiassoso che in questi casi non manca mai. C’era l’immancabile icona guevariana. Ho portato a casa tanti giornali e volantini nel cui titolo furoreggiavano parole come Comunista, Falce Martello e Bandiera rossa. Non ho niente contro il comunismo, ma è come se quei fogli rispecchiassero l’eterna presenza di fantasmi che permangono in valle dagli anni 70. Vedo posizioni, rivendicazioni. Niente idee, proposte, modelli alternativi di vita…
Abbiamo parecchi lati oscuri, tra i quali quello vetero e quello barbaro. Io preferisco il secondo, perché è dai barbari che è arrivata la nuova civiltà quand’è implosa quella vecchia. Dal loro “essere- non essendo, quasi apparisse loro evidente che nessuna strenua difesa della propria astratta identità avrebbe consentito un qualche sviluppo positivo”
2.
1 Traggo da NO-GLOBAL. Tra rivolta e retorica, di Vittorio Giacopini (Elèuthera, 2002), illuminante punto di vista libertario sulla dissoluzione di quel movimento. Per approfondimenti, rimando alla mia recensione su Diorama 257, gennaio-febbraio 2003.
2 Massimo Donà, Arte e Filosofia, Bompiani, Milano 2007. L’autore fa riferimento ai barbari che misero fine alla classicità dell’Impero Romano con la graduale invasione. Uso il paragone per parlare, invece, di barbari invasi, coloro che dovrebbero essere maggiormente pronti ad uscire dai canoni prevedibili dell’ideologia sviluppista, economicista e nemica di una diversa concezione della “qualità della vita”.