mercoledì 18 febbraio 2009

IL GRANDE SFASCIO DEL PARTITO OMBRA


Marco Cedolin
Le dimissioni di Walter Veltroni che dopo 16 mesi abbandona la guida del PD, all’indomani della cocente sconfitta nelle elezioni regionali in Sardegna, rappresentano per molti versi il terminale inevitabile di una pessima operazione di “marketing politico”, iniziata con l’ormai famoso discorso d’investitura tenuto al Lingotto di Torino e naufragata mese dopo mese, elezione dopo elezione, fino ai disastrosi risultati che sono ormai sotto agli occhi di tutti.

Il totale sfascio di un progetto politico come quello del PD si presta naturalmente a molte chiavi di lettura e per forza di cose non può essere attribuito unicamente alla leadership di Veltroni, così come alla notoria propensione ad accapigliarsi fra loro manifestata dalle molteplici correnti del partito. Senza dubbio Veltroni non ha mai dato l’impressione di avere il carisma e l’autorità necessaria per guidare una formazione politica scarsamente omogenea e perennemente in balia delle lotte di potere, ma l’intera “operazione PD” è parsa fin da subito una scommessa persa, nata con tutta probabilità proprio al fine di creare i presupposti della sconfitta.

Il PD fin dal momento delle primarie farsa, create per eleggere un segretario già eletto da tempo, è sempre stato un partito ombra. Un partito impegnato a scimmiottare ora Berlusconi, ora il modello americano, totalmente incapace di assumere delle posizioni politiche alternative rispetto a quelle del proprio avversario. Un partito con la velleità di essere vicino ai lavoratori, ma anche a Confindustria, amico dell’ambiente ma anche dei cementificatori, difensore dei giudici ma anche di chi attacca i giudici, preoccupato per gli italiani che non arrivano a fine mese ma anche per gli interessi di chi costruisce profitto sulle loro spalle, favorevole alla pace ma anche alle missioni di guerra. Tutto ed il contrario di tutto, all’interno di un minestrone proposto sulle note orecchiabili di “Yes we can” e totalmente privo di contenuti, appiattito sugli intoccabili dogmi del neoliberismo, arrancando sul terreno di Berlusconi per ritrovarsi, come un’ombra, sempre un metro indietro rispetto al proprio avversario.

Dopo le elezioni e la sconfitta elettorale il PD ha continuato la propria parabola discendente anche all’interno del Parlamento, manifestandosi completamente incapace di abbozzare una qualche forma di opposizione e finendo per calarsi ogni giorno di più nel ruolo di partito ombra della maggioranza, funzionale a validare le scelte, spesso scellerate, portate avanti dall’esecutivo. Mai durante quasi un anno il partito di Veltroni è stato pervaso da un qualche moto di orgoglio, mai è riuscito a trovare argomenti per contrastare l’azione del governo che prescindessero dalla sterile diatriba di facciata, mai ha tentato di farsi interprete del profondo malessere che attraversa larga parte dell’opinione pubblica. Perfino Antonio Di Pietro, la posizione del cui partito è da sempre allineata con gli interessi dei poteri forti, grazie all’ombra esercitata dal PD, ha trovato il modo di emergere in parlamento come l'unico partito di opposizione, dal momento che anche qualche svogliato mugugno finisce per sembrare un urlo qualora proferito nel silenzio più assoluto.

Proprio il silenzio, carico di condiscendenza, e l’incapacità di fare opposizione nei confronti di un governo con il quale condivide larga parte del proprio programma, hanno determinato la continua emorragia di consensi che ha portato il PD alle dimissioni del suo segretario pochi mesi prima dell’appuntamento con le elezioni europee ed amministrative. Elezioni che con tutta probabilità vedranno il consenso del PD in caduta libera, dimostrando il totale fallimento di un’operazione di marketing politico che ha generato una “creatura” incapace sia di governare che di fare opposizione e pertanto assolutamente priva di qualsiasi utilità.
Berlusconi naturalmente ringrazia e dopo il successo regalatogli da Romano Prodi si appresta a raccogliere anche l’omaggio di Walter, a vincere facile dopo un po’ ci si prende gusto.

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