giovedì 4 marzo 2010

LA BANDA DEL CABARET


Marco Cedolin
I siparietti comici in grado strappare almeno qualche sorriso in salsa agrodolce non sono certo mancati negli ultimi mesi. Come dimenticare infatti l’invito dell’ad delle Ferrovie Moretti, l’iper tecnologico mentore dell’alta velocità, a portarsi da casa coperte e panini, per meglio fronteggiare i lentissimi viaggi sui convogli in panne nella neonata steppa padana lo scorso dicembre? La consegna del premio Nobel per la Pace al Presidente americano Obama, impegnato proprio in quei giorni nel rafforzamento del contingente militare in Afghanistan? Il ministro Rotondi che consigliava agli italiani di abolire il pranzo? La psicosi terrorismo costruita intorno alle mutande del nigeriano Umar Faruk Abdulmutallab? Il blocco del traffico domenicale presentato alla stampa con tronfi proclami da Chiamparino e dalla Moratti e poi rivelatosi un flop totale sotto ogni punto di vista?

Renata Polverini e Roberto Formigoni, candidati a “governatori” per le regioni Lazio e Lombardia con il PDL, sono però riusciti a superare i loro pur illustri epigoni, dando vita ad una vicenda degna di Zelig Circus ed estremamente indicativa della professionalità con cui si muovono i faccendieri della politica nel Belpaese.
La lista a sostegno della Polverini è stata infatti esclusa dalla competizione elettorale nella provincia di Roma, poiché i funzionari del più grande partito italiano non sono riusciti a presentare la stessa in tempo utile, dal momento che la persona deputata a farlo si era attardata a causa di uno spuntino. Quella a sostegno di Formigoni non è stata accettata, in quanto il più grande partito italiano non è riuscito a presentare 3500 firme regolari, essendo alcune centinaia di esse prive dei timbri regolamentari o addirittura appartenenti a persone decedute.

Di fronte alla situazione, per molti versi comica e per molti disarmante, la reazione dei due candidati e dell’intero PDL è scivolata in una commedia grottesca, condita da dichiarazioni prive di ogni logica e prese di posizioni assolutamente incomprensibili. A turno candidati, ministri e portavoce del partito si sono infatti scagliati contro la burocrazia, contro gli avversari politici e contro le regole elettorali (da loro stessi stabilite), arrivando a paventare un complotto volto ad impedire agli italiani di esercitare il proprio diritto di voto e ventilare gravi rischi per la democrazia. Senza mancare d’indire perfino una manifestazione che richiamerà questi temi e chiederà la riammissione delle liste, da tenersi giovedì 17 marzo. Il tutto nonostante la colpa dell’accaduto sia da ricercarsi unicamente nella maniera sprovveduta e nella supponenza con cui il partito ha gestito e sottovalutato le normali questioni burocratiche

Stupisce non poco tanta premurosa attenzione nei confronti del diritto dei cittadini ad essere rappresentati, esternata da chi, tramite gli sbarramenti imposti dalla legge elettorale, ha di fatto impedito che oltre 4 milioni di italiani votanti potessero venire rappresentati in parlamento, durante l’ultima tornata elettorale.
Ma stupisce ancora di più il pressappochismo ed il dilettantismo manifestato nell’occasione dal partito che guida il paese e nutre la velleità di guidarlo nel futuro. Vengono i brividi solamente a pensare che chi non è in grado (nonostante abbia alle spalle enormi disponibilità economiche) di presentare una lista elettorale entro mezzogiorno o produrre 3500 firme a fronte di milioni di elettori, abbia la presunzione di potersi confrontare con problemi come la crisi economica, la disoccupazione, i disastri ambientali e intenda perfino costruire e gestire in Italia nuove centrali nucleari.
Tutte questioni che richiedono ben altra capacità rispetto a quella necessaria a depositare liste e firme nei tempi e nella forma disposti dalla legge. Un’operazione in fondo non così difficile neppure per i piccoli partiti che il paese non hanno mai nutrito l’ambizione di governarlo, ma presentano liste e firme correttamente, magari dopo dure settimane di pellegrinaggio a raccogliere gli “autografi” così come vuole la burocrazia.

lunedì 1 marzo 2010

QUEL GRANDE FIUME LAMBRO CHIAMATO ITALIA


Marco Cedolin
Talvolta solo un filo sottilissimo separa la tragedia dalla comicità, il drammatico dal grottesco
e in alcuni casi, come quello dell’Italia di oggi, può accadere che anche questo filo venga meno, facendo si che l’intreccio fra eventi drammatici ed atteggiamenti caricaturali arrivi a costituire un’unica melma emanante miasmi venefici. Una melma tanto urticante e pericolosa, quanto ridicola e per molti versi disarmante.

Oltre 600.000 litri di gasolio si sono riversati nel fiume Lambro, a Milano, provocando una catastrofe ecologica di enorme proporzioni (nonostante la politica e gli esperti compiacenti continuino a tentare di minimizzare l’accaduto) che coinvolge Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, interessando il fiume Po, del quale il Lambro è affluente, ed il mare Adriatico.
A determinare la catastrofe non un evento naturale, un terremoto, un uragano, un’alluvione. Non un cedimento strutturale, un errore umano o la scarsa efficienza dei sistemi di sicurezza. Bensì una o più mani che hanno deliberatamente aperto i rubinetti di 8 cisterne all’interno della ex raffineria Lombarda Petroli, chiusa dal 2005, dove il carburante da anni era stoccato. Mani criminali ispirate non dal terrorismo (al cui riguardo settimanalmente si sprecano gli allarmi) ma da torbidi interessi di speculazioni immobiliari e intrallazzi mafiosi dai contorni poco chiari, in merito ai quali come regolarmente avviene mai sarà fatta chiarezza.

A tentare di limitare i danni immediati della catastrofe (quelli più gravi si produrranno nel tempo e risulteranno assai difficili da contenere) prima gli enti locali che hanno operato nel caos più assoluto, poi Guido Bertolaso e la protezione civile, intervenuti solo 48 ore dopo, quando sono stati chiamati in causa dagli stessi come previsto dalla legge.
A corollario del tutto un marasma di notizie, dichiarazioni e considerazioni, spesso contraddittorie fra loro, provenienti dalle autorità, dalle ASL e dalle associazioni ambientaliste, in base alle quali l’entità della catastrofe si dilata e ridimensiona a seconda della fonte, quasi petrolio, acqua e terra non fossero elementi oggettivi, ma piuttosto strumenti alchemici soggetti a personale interpretazione.

Su tutti le parole “dell’eroe nazionale” Guido Bertolaso che considera ormai il disastro praticamente risolto, grazie all’aspirazione di buona parte del gasolio dalle acque, previa sostituzione con una dose equivalente di ottimismo che resusciterà la fauna uccisa o compromessa, ripulirà magicamente le falde inquinate, eviterà qualunque infiltrazione nei terreni e riporterà fiumi e mare alla trasparenza adamantina degli inizi del secolo scorso.

Al tempo stesso notizie di nuovi sversamenti di sostanze nocive nel fiume Lambro, da parte di altre mani criminali che hanno pensato bene di approfittare dell’occasione per smaltire a costo zero qualche tonnellata di rifiuti tossici in loro possesso e il rinvenimento nelle acque del PO, vicino a Porto Tolle di elevate dosi di 1.2 dicloretano, (sostanza estremamente tossica originata nella produzione delle materie plastiche) che ancora altre mani criminali hanno riversato nelle acque, approfittando del fatto che il gasolio già presente ne impediva l’immediata individuazione a vista nell’acqua nera e oleosa.

Come risultato finale oltre 10.000 persone che vivono nei comuni vicini alle foci del Po sono attualmente privi dell’acqua potabile. Il Lambro ha ormai terminato la propria metamorfosi destinata a trasformarlo in una fogna abiotica a cielo aperto. Il più grande fiume d’Italia ha subito la “spallata” forse decisiva volta ad estirpare dal suo corso le ultime reminescenze di vita. La pianura padana, oltre che con la nube bruna, si troverà a fare i conti con lo stato sempre più compromesso dei propri corsi d’acqua. Guido Bertolaso, avendo ben compreso che se in Italia è possibile negare ogni addebito in materia di tangenti e appalti truccati anche di fronte all’evidenza dei fatti, si può fare altrettanto anche riguardo alle catastrofi ecologiche, continuerà a rassicurare tutti senza neppure arrossire in volto.
Le aziende agricole e quelle dedite all’allevamento faranno finta che non sia successo nulla, contando sulla compiacenza delle ASL e delle ARPA sempre disposte a chiudere un occhio. E le mani criminali, mosse da torbidi interessi di speculazioni assortite, avendo ormai assodato l’assoluta inanità degli enti locali, incapaci di controllare alcunchè, si moltiplicheranno facendosi sempre più ardite.
In attesa di un prossimo futuro nel quale, all’interno dei fiumi ormai definitivamente (e finalmente?) compromessi, si potrà sversare legalmente di tutto, magari dietro pagamento di una tassa “ecologica” da devolvere ai comuni che sorgono lungo il tragitto del corso d’acqua. Sempre che si voglia ostinarsi ad usare la parola acqua, quale succedaneo di sostanze molto meno nobili, assai poco eleganti da pronunciare.

lunedì 22 febbraio 2010

PER ACERRA UN REGALO NEROFUMO


Marco Cedolin
Da ormai un anno giornali e TV hanno epurato dai propri rotocalchi l’argomento dei rifiuti in Campania, fatta eccezione per le esternazioni della premiata ditta Berlusconi & Bertolaso che quasi quotidianamente trova occasione per sottolineare la propria opera salvifica consistente nell’aver restituito dignità e pulizia a Napoli e alla Campania.

In realtà chiunque abbia studiato anche solo superficialmente il problema è a conoscenza del fatto che l’unico “miracolo” realizzato dal governo e dal suo Commissario è stato quello di ordinare ai compattatori di tornare nelle strade a raccogliere la spazzatura ed ai giornalisti di raccontare che l’emergenza era finita, grazie all’inaugurazione del forno inceneritore di Acerra e alla messa in cantiere di altri 4 inceneritori, il tutto finanziato con il denaro dei consumatori, tramite i contributi Cip6 che appesantiscono la bolletta elettrica e rendono ricche le grandi multiutility.

Ad Acerra, dove nel marzo dello scorso anno è stato inaugurato un megainceneritore che non aveva ancora (e non ha tuttora) superato i test di collaudo, costruito attraverso la militarizzazione dell'area per impedire le veementi proteste dei cittadini, di miracoli non se ne sono visti, mentre al contrario da allora nuovi problemi hanno iniziato a sommarsi a quelli già esistenti, determinati dalla diossina dispensata dal percolato delle discariche abusive e dagli scarichi degli impianti industriali.

Domenica 21 febbraio, intorno a mezzogiorno, i residenti, fra i quali alcuni contadini che lavoravano nei campi, hanno potuto vedere una grande nube nera innalzarsi dai camini dell’inceneritore e in breve oscurare il cielo delle aree limitrofe. Nonché apprezzare i miasmi venefici contenuti nell’aria dall’odore nauseabondo e dal sapore acre, mentre cadeva a terra cenere nera.
Il sindaco Tommaso Esposito, testimone anch’egli del fenomeno, dopo avere ricevuto in Municipio molti cittadini preoccupati, ha provveduto immediatamente ad inviare all’Arpac e al presidente dell’osservatorio sull’inceneritore, Coccolo, un fax nel quale domandava delucidazioni in merito all’accaduto.
Ma sono in molti a domandarsi perché fino ad oggi lo stesso Esposito non abbia preteso la chiusura dell’impianto, dal momento che già da alcune settimane si susseguono casi come quello di domenica, con emissioni di nubi tossiche e maleodoranti che rendono l’aria irrespirabile. Senza contare che l’inceneritore in meno di un anno dalla sua inaugurazione ha già sforato oltre 140 volte i limiti di legge in materia di emissioni di polveri sottili.

In attesa delle risposte dell’Arpac, notoriamente famosa per la propria correttezza e professionalità, non ci resta che augurarci una visita a breve dell’eroe nazionale Guido Bertolaso, di ritorno dal suo viaggio nei territori disastrati di Sicilia e Calabria, dove avrebbero dovuto essere investiti i soldi “buttati a mare” alla Maddalena e stanziati per il Ponte sullo Stretto di Messina.
Forse proprio lui, che aspira ad essere celebrato con una statua nei territori miracolati dal suo operato, sarà in grado di dare delle risposte ai cittadini costretti a respirare nerofumo a causa di un inceneritore presidiato dall’esercito.

domenica 21 febbraio 2010

GLI AMBIENTALISTI DELLA DOMENICA


Marco Cedolin
Ha un senso chiudere le città alla circolazione automobilistica la domenica, quando il traffico è già di per sé scarso, con l’ambizione di ripulire l’aria e le coscienze per qualche ora, in attesa che arrivi il lunedì con il classico corollario di tangenziali intasate, ingorghi e volumi di traffico schizofrenici?
Ha un senso decidere i blocchi della circolazione domenicali senza curarsi minimamente delle condizioni meteorlogiche, quando sabato è appena arrivato il vento di favonio a ripulire l’aria o lunedì sono previste precipitazioni che abbatteranno una parte degli inquinanti presenti in atmosfera?
Ha senso affrontare un problema serissimo, come quello dell’inquinamento atmosferico nella pianura padana, testimoniato dalla "nube bruna" avvoltolata per quasi tutto l’anno sopra di essa, e delle pesantissime conseguenze che tale inquinamento determina sulla salute degli abitanti, attraverso una serie di provvedimenti “patinati” che non sono in grado d’incidere sul fenomeno e suonano vuoti di contenuti come la litania degli slogan elettorali?
Ha senso focalizzare l’attenzione solo ed esclusivamente sul traffico automobilistico (sicuramente un fattore importante del problema), fingendo che gli impianti industriali, le acciaierie, i cementifici, le centrali a combustibili fossili, gli inceneritori e molti altri dispensatori di sostanze velenose semplicemente non esistano?

Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell’Anci, l’uomo che ha dato vita al coordinamento di tutti i sindaci del nord, organizzando il blocco del traffico per domenica 28 febbraio, al quale hanno aderito circa 80 comuni di sette regioni dell’Italia settentrionale, oltre alla città di Napoli, non è purtroppo mai stato in possesso di una qualche minima sensibilità nei confronti dell’ambiente.
Lo testimonia il fatto che qualche inverno fa, trovatosi a conversare con il meteorologo Luca Mercalli, avendogli dato udienza nel proprio ufficio dove il riscaldamento esageratamente alto veniva mitigato dalle finestre aperte, posto dallo studioso di fronte al problema dell’inquinamento ambientale e dei mutamenti climatici, non trovò di meglio che rispondere “Tute bale” dando una dimostrazione di totale ignoranza nei confronti dell’argomento.
Lo testimonia il fatto che in un’intervista di qualche anno or sono, arrivò ad affermare di essere felice quando la mattina, ascoltando Onda Verde, apprendeva che le tangenziali erano bloccate dal traffico, poiché questo, a suo dire, significava che l’economia girava e Torino stava progredendo.
Così come lo testimoniano l’infinita quantità di devastazioni ambientali e grandi opere cementizie costruite, messe in cantiere o semplicemente progettate nel corso delle sue amministrazioni, spesso indebitando oltremisura le casse del comune. Dalla speculazione edilizia connessa alle Olimpiadi di Torino 2006, al TAV, al megainceneritore del Gerbido, ai nuovi grattacieli, al progetto della tangenziale est.

Sergio Chiamparino, divenuto oggi insieme al sindaco di Milano Letizia Moratti un “paladino” dell’ambiente sano e pulito, perlomeno dal sabato notte al lunedì mattina, dopodiché è auspicabile che il traffico aumenti a dismisura, poiché questo significa benessere economico e progresso, non si è però limitato ad organizzare l’iniziativa del blocco domenicale della circolazione.
Al contrario ha annunciato l’intenzione di farsi portatore presso il governo, nel corso di una riunione da lui richiesta con urgenza, di tutta una serie di richieste finalizzate ad incentivare i comportamenti economicamente sostenibili. Fulcro di queste richieste sarà l’intenzione di ritoccare verso l’alto i pedaggi delle autostrade e delle tangenziali (in Italia notoriamente fra i più alti al mondo) partendo da quelle più trafficate che convergono nei centri urbani più grandi per reperire risorse a favore dei comuni.
Risorse che naturalmente i comuni s’impegneranno ad investire nella lotta all’inquinamento, magari attraverso la costruzione di un forno inceneritore denominato impropriamente “termovalorizzatore”, dell’alta velocità deputata a trasferire le merci da gomma a ferro, anche se non esiste un servizio merci sui binari dell’alta velocità o mediante la costruzione del grattacielo di qualche istituto bancario, dalla sommità del quale sarà possibile respirare “aria pulita” dopo avere bucato la nube bruna che avvolge le città.

“Tute bale”, per usare le parole care a Chiamparino, ma senza dubbio un ottimo spot da veicolare in questa penosa campagna elettorale, dove una frettolosa “mano” di vernice verde costituisce la
prerogativa indispensabile per raccogliere i voti dei cittadini, quelli che la nube bruna la respirano tutti i giorni, incolonnati sulle tangenziali per far girare l’economia e costruire il progresso.

giovedì 18 febbraio 2010

TRIVELLE FALSE BOTTE VERE!


Marco Cedolin
In Val di Susa dall’inizio dell’anno si dorme poco, spesso si mangia in piedi e ancor più spesso si vive all’aria aperta, anche la notte quando nevica. Il motivo di uno stile di vita tanto bizzarro, al quale ormai stanno facendo l’abitudine molti cittadini valsusini è costituito dai sondaggi truffa fortemente voluti da Mario Virano e lautamente pagati da tutti i contribuenti italiani.
Dall’inizio dell’anno quasi ogni notte, con il favore delle tenebre, una trivella si mette in moto, con il suo corollario di centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa che militarizzano il territorio. La trivella viene sistematicamente posizionata in un sito adiacente all’autostrada A32, quasi sempre accanto al pilone di un viadotto, laddove la natura del terreno non presenta alcun segreto, dal momento che è stata già studiata in profondità quando negli anni 90 autostrada e viadotti furono costruiti. Il sondaggio farsa prosegue per alcune ore e generalmente prima che scenda nuovamente la notte il cantiere viene smantellato in gran fretta insieme all’occupazione militare, destinata a riproporsi molto presto, magari già la notte successiva, accanto ad un altro pilone della stessa autostrada.

I cittadini della Valle contrari all'alta velocità quasi ogni notte si tirano giù dal letto (sempre che abbiano fatto in tempo a coricarsi) e accorrono in massa sul luogo del sondaggio truffa, dove trascorrono la notte contestando il TAV, la militarizzazione e la truffa ordita da Mario Virano che attingendo al denaro dei contribuenti italiani procede a far trivellare i terreni adiacenti ai viadotti dell’autostrada. Contestazione sempre molto pacata, basata sostanzialmente sulla presenza fisica. Qualche coro, un po’ di fracasso, qualche lancio di palle di neve quando il cielo dispensa i bianchi fiocchi, molta ironia ma anche molta rabbia da parte di chi da ormai troppo tempo è costretto a sopportare sulle proprie spalle il peso dell’occupazione militare, condita dalla disinformazione mediatica e dai veleni della cattiva politica, prona agli interessi della mafia del cemento e del tondino. Contestazione che continua a dare molto (forse troppo) fastidio a Mario Virano ed ai giornalisti prezzolati che hanno a lungo tentato di dipingere l’immagine di una Val di Susa pacificata e condiscendente nei confronti dell’alta velocità, fallendo miseramente nei loro propositi, smentiti dall’evidenza dei fatti e dalle 40.000 persone che hanno sfilato a Susa il 23 Gennaio, ribadendo il fermo e condiviso NO del territorio nei confronti del TAV.

Sconfitti sotto ogni punto di vista e con le spalle al muro, Virano e la congrega mafiosa di cui la politica cura gli interessi, sembrano ora strizzare l’occhio alla violenza, unico elemento utile per sparigliare le carte, stante l’assoluta mancanza di quel dialogo e di quella condivisione da loro impropriamente venduti in Italia e in Europa.
Violenza praticata, sempre con il favore delle tenebre, nelle scorse settimane attraverso gli incendi dolosi che hanno distrutto i presidi NO TAV di Borgone e Bruzolo e divenuta “istituzionale” nella giornata di ieri, quando le forze dell’ordine (al comando di un individuo che in un paese civile albergherebbe nelle patrie galere in virtù dei massacri già compiuti a Genova durante il G8 del 2001) hanno pensato bene di bastonare a sangue i manifestanti scomodi, infierendo in modo particolare sulle donne e su chi era caduto a terra. Con il risultato di mandare all’ospedale parecchie persone, di ridurre quasi in fin di vita un ragazzo di 25 anni, ricoverato in terapia intensiva per emorragia cerebrale e devastare il volto di una donna di 45 anni che ha subito la frattura del setto nasale e tumefazioni di ogni tipo. Perseguitando poi vigliaccamente anche i feriti all’interno delle strutture ospedaliere, nel tentativo di sottrarli alle cure per sottoporli ad improbabili interrogatori.

Scene già viste, a Genova durante il G8 del 2001 ed a Venaus nel dicembre 2005, oltre che in molte altre occasioni, in questo paese disgraziato nel quale sistematicamente chi vuole esprimere il proprio dissenso nei confronti delle scelte della politica è costretto a rischiare la propria incolumità fisica, quando non addirittura la vita. Scene da “macelleria messicana” portate avanti da una classe politica asservita alla mafia e giustificate dal circo di un’informazione in grado di esperire solo una vergognosa mistificazione dei fatti.
Proprio i grandi giornali e le TV in questa occasione sono infatti riusciti a dare il peggio di sé. Tante e tali sono le menzogne che oggi allignano all’interno dei mezzi di disinformazione mediatica. Giornalisti prezzolati e pennivendoli di ogni risma, nessuno dei quali presente allo svolgersi degli eventi, dal momento che è Febbraio e fa freddo, hanno tentato con ogni mezzo di costruire una storia di fantasia, basata sulle veline imposte dalla questura e finalizzata a stravolgere completamente la dinamica dei fatti ad uso e consumo della congrega di farabutti che foraggia i loro lauti stipendi.

I Valsusini che dormono poco e sono costretti a vivere all’aria aperta si sono trasformati in “pericolosi antagonisti” le palle di neve in “pietre”, la contestazione civile in “aggressione”, i pestaggi selvaggi sulle persone a terra in “cariche di alleggerimento” i poliziotti autori dei pestaggi (protetti da caschi, scudi e abbigliamento modello carro armato) in tanti poveri feriti, mentre avrebbero potuto esserlo solo nell’orgoglio per avere massacrato delle donne inermi.
Tutto ciò nonostante esista abbondante quantità di filmati che mostra l’evidenza di manifestanti tanto decisi quanto pacifici, palle di neve, cori di scherno e nulla più. Manifestanti che pennivendoli e teleimbonitori non hanno neppure visto, dal momento che si trovavano comodamente seduti nel caldo delle loro redazioni.

Nonostante la violenza dispensata a piene mani dalla polizia ed il tentativo di trasferirne le responsabilità sui tanti cittadini che da sempre si battono civilmente contro il TAV, Mario Virano e la mafia legata all’alta velocità continuano a manifestare la propria sconfitta ogni giorno di più.
La maggioranza dei valsusini non vuole l’opera, non ha paura, a prescindere dal fatto che la violenza arrivi da parte di chi porta una divisa o da chi si nasconde nella notte e continueranno a dormire poco, mangiare in piedi e presidiare il territorio, in attesa della prossima trivella e del prossimo sondaggio truffa, accanto ad un altro pilone dell’autostrada.

mercoledì 3 febbraio 2010

IL RICATTO OCCUPAZIONALE


Marco Cedolin
La crisi economica continua a manifestarsi foriera di opportunità per l’imprenditoria di rapina, governata da banche e multinazionali, che proprio fra le pieghe del tracollo economico passato e venturo sta portando a compimento tutta una serie di obiettivi che solo una decina di anni fa sarebbero sembrati eccessivamente ambiziosi e difficilmente raggiungibili.

La progressiva limatura al ribasso dei salari (reali) dei lavoratori, la soppressione dei diritti acquisiti nel tempo, ottenuta con la complicità dei sindacati e la sempre maggiore diffusione del dumping sociale, hanno rappresentato gli strumenti attraverso i quali il lavoratore è stato deprivato della propria dignità e trasformato in una figura precaria, priva di coordinate, costretta a manifestarsi prona a qualsiasi capriccio o volere gli venga imposto in funzione di un interesse superiore.

Se la trasformazione dei lavoratori in individui mal pagati, di scarse pretese, duttili e condiscendenti rispetto ad ogni esigenza “superiore”, anche qualora in netto contrasto con i propri interessi, ha posto le basi per una migliore massimizzazione dei profitti, tale obiettivo può essere ulteriormente implementato attraverso la pratica del ricatto occupazionale che proprio sulle ali della crisi economica sembra trovare sempre più massiccia applicazione.
Gli esempi più eclatanti, sul tappeto proprio in questi giorni, sono costituiti dai casi relativi alla multinazionale americana Alcoa, al Gruppo Fiat e alle multinazionali della raffinazione petrolifera.

L’Alcoa (multinazionale dell’alluminio responsabile di gravissimi stravolgimenti ambientali in Islanda) minaccia la chiusura di due stabilimenti, in Sardegna e in Veneto, con conseguente licenziamento di circa 2000 lavoratori, se il governo non accetterà le proprie condizioni. Condizioni che comportano il “baratto” dei posti di lavoro con una tariffa energetica personalizzata che permetta all’azienda (la produzione dell’alluminio è fra le pratiche in assoluto più energivore) di pagare l’energia molto meno degli altri, magari caricando il costo dell’operazione sulle bollette di tutti gli italiani, già infarcite di tasse e prelievi di ogni sorta.

La Fiat, da sempre azienda privata sovvenzionata dallo stato a fondo perduto, intenzionata a chiudere gli impianti produttivi di Termini Imerese e Pomigliano, come contemplato nel proprio piano di ristrutturazione e delocalizzazione all’estero della produzione, ha iniziato anch’essa un braccio di ferro con il foraggiatore di sempre. Sul piatto anche in questo caso il futuro di alcune migliaia di lavoratori, in cambio di una grande quantità (centinaia di milioni di euro) di denaro pubblico, da devolvere come sempre a fondo perduto, nella speranza che il disimpegno Fiat nei confronti dell’impianto siciliano e di quello napoletano possa venire procrastinato di qualche anno.

L’Unione Petrolifera, per bocca del suo presidente Pasquale De Vita, ha fatto sapere in questi giorni che a causa della riduzione dei consumi e del calo della domanda mondiale, sarebbero a rischio chiusura cinque raffinerie, con conseguente perdita del posto di lavoro per circa 7500 dipendenti. Le raffinerie a rischio sarebbero quelle di Livorno e Pantano, Falconara, Gela e Taranto. Secondo le parole di De Vita, al di là della riduzione dei consumi il vero problema sarebbe costituito dagli alti costi della manodopera e dalle troppo severe normative in materia di riduzione delle emissioni inquinanti.
In cambio del mantenimento in vita dei 7500 posti di lavoro l‘UP non domanda in questo caso l’elargizione di sovvenzioni a fondo perduto, ma afferma di “accontentarsi” di un quadro normativo meno severo che le permetta d’inquinare più abbondantemente senza incorrere in sanzioni, con l’unica clausola che vengano tacitate le associazioni dei consumatori, ree in quest’ultimo periodo di reiterati attacchi nei suoi confronti.

Dal momento che la strada ormai è tracciata, resta da aspettarsi nei prossimi mesi ed anni un vero e proprio fiorire di ricatti occupazionali di ogni sorta, avendo la grande imprenditoria di rapina ben compreso la concreta possibilità di “riciclare” il lavoratore vessato e spogliato dei diritti in formidabile arma di ricatto per ottenere prebende, sgravi fiscali, finanziamenti a fondo perduto, deroghe ad inquinare e tutele di vario genere. A ben guardare si potrebbe affermare che per alcuni soggetti, quali grandi banche e multinazionali, la crisi economica stia rivelandosi un vero e proprio toccasana per rimpinguare i bilanci e costruire sempre nuovi profitti, se possibile più abbondanti di quelli del passato. Un toccasana, la crisi economica, arrivato proprio nel momento in cui si apprezzava il bisogno di aprire “nuovi orizzonti”, a volte stupisce quanto puntuali possano essere le fatalità.

martedì 2 febbraio 2010

ALCOA E IL DISATRO AMBIENTALE IN ISLANDA


Marco Cedolin
La devastazione connessa alle grandi opere, spesso costruite per soddisfare gli insaziabili appetiti delle multinazionali, non ha risparmiato neppure una nazione come l’Islanda che da sempre siamo abituati ad immaginare come un’immensa distesa di spazi incontaminati, aliena ad ogni forma d’inquinamento, scarsamente urbanizzata e lontana anni luce dal “cancro” della cementificazione che stiamo sperimentando in ogni sua forma nelle nostre città.

Proprio in Islanda, nella regione di Karahnjukar, sta nascendo un faraonico progetto industriale destinato a cancellare per sempre 3000 kmq (circa il 3% dell’intera superficie nazionale)di territorio incontaminato. L’area selvaggia più grande d’Europa, la cui unicità stava per essere universalmente riconosciuta attraverso l’istituzione del più vasto Parco Nazionale del continente, sarà infatti destinata a scomparire nel silenzio mediatico più assoluto, sommersa dalle acque di 3 laghi artificiali e dalle esalazioni venefiche di una colossale fonderia. Il ciclopico progetto Karahnjukar prevede la costruzione di 9 dighe in terra, fra cui la più imponente d’Europa, una centrale idroelettrica da 690 megawatt ed una mega fonderia in grado di produrre 320.000 tonnellate di alluminio l’anno. Artefici del progetto, con il beneplacito della compagnia energetica islandese Landsvirkjun, ma contro la volontà del 65% dei cittadini islandesi che hanno espresso la propria contrarietà all’operazione, saranno la multinazionale americana Alcoa e l'italiana Impregilo.

Alcoa è la più importante corporation mondiale che opera nel settore dell’alluminio. Ha recentemente chiuso 2 fonderie negli Stati Uniti al fine di trasferire parte della propria attività in Islanda dove le sarà possibile tagliare notevolmente i costi della manodopera, sfruttando gli immigrati cinesi e polacchi residenti in loco e soprattutto inquinare in completa libertà, dal momento che grazie ad una deroga del Protocollo di Kyoto all’Islanda è stato concesso di aumentare del 10% l’opportunità di emissione di gas inquinanti nell’aria. Il governo islandese si è inoltre impegnato a vendere l’elettricità prodotta tramite le dighe all’Alcoa ad un prezzo di favore per i prossimi 50 anni.

Impregilo accusata dall’Associazione ecologista Savingiceland di comportamenti intimidatori nei confronti degli ecologisti e vessatori verso i propri dipendenti, la maggioranza dei quali di nazionalità cinese, polacca e portoghese, ha già incominciato la propria opera di devastazione facendo saltare in aria con l’ausilio di cariche esplosive il più spettacolare canyon dell’Islanda, deviando il corso di 3 fiumi e iniziando la costruzione della diga Karahnjukastifla Dam che con i suoi 193 metri di altezza, 730 metri di lunghezza ed un volume approssimativo dell’invaso di 8,5 milioni di m³ sarà la più grande diga in terra d’Europa.
Il governo islandese ha tentato di creare nel paese condivisione nei confronti del progetto tramite una martellante campagna pubblicitaria mirata a proporre la fonderia di alluminio come una panacea in grado di risolvere i problemi di disoccupazione ed emigrazione che affliggono l’Est dell’Islanda.
Nonostante queste effimere suggestioni la maggior parte dei 250.000 abitanti dell’Islanda, numerosi esponenti del mondo accademico e tutte le associazioni ambientaliste hanno avversato fin da subito un progetto dal quale finiranno per trarre giovamento solamente le multinazionali che sono deputate a costruirlo e gestirlo. L’opinione pubblica islandese sta infatti comprendendo sempre più chiaramente come la ricaduta occupazionale promessa, consistente in 700 posti di lavoro, destinati in larga parte a mano d’opera straniera alla quale verranno corrisposti salari da terzo mondo, non costituisca assolutamente una motivazione sufficiente per giustificare l’avvelenamento dell’aria e dei fiumi, il dissesto idrogeologico e l’erosione che stravolgeranno la morfologia del territorio. La disoccupazione e l’emigrazione continueranno sicuramente a rimanere un problema che semmai risulterà acuito dalla perdita di un patrimonio ambientale unico al mondo.
Nonostante ciò, come sempre più spesso avviene tanto nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” quanto nelle “mature” democrazie occidentali, tutte le decisioni vengono prese passando sopra la testa dei cittadini, senza che venga minimamente rispettata la loro opinione ed anche in Islanda si continua a scavare, spacciando un’azienda fra le più inquinanti ed energivore al mondo come elemento di progresso e sviluppo.

martedì 26 gennaio 2010

IL TAV IN VAL DI SUSA HA PERSO LA PRIMA BATTAGLIA


Marco Cedolin
Sono andati per bastonare e sono finiti bastonati, verrebbe da dire metaforicamente parlando, tirando le somme della grande offensiva portata in Valsusa dai fautori del TAV nel corso di questo mese di gennaio. Offensiva studiata a tavolino negli ultimi 4 anni con cura certosina da Mario Virano e dalla classe politica che gli fa da contorno, ma valutata evidentemente con troppo ottimismo, sulla base d’informazioni e “sensazioni” assai disancorate dalla realtà.

Tutto è iniziato all’alba di martedì 12 gennaio, quando una delegazione delle forze dell’ordine si è presentata dinanzi al presidio dell’autoporto di Susa per prendere possesso dei terreni oggetto dei carotaggi. In quell’occasione circa 300 presidianti che avevano passato l’intera notte al gelo si sono rifiutati di lasciare il passo, ricevendo in cambio minacce di future denunce.
L’offensiva, scientemente calcolata, ha allora preso forma per mezzo di una massiccia campagna mediatica, veicolata attraverso giornali e TV, attraverso la quale si alternava l’ironia nei confronti dei 300 NO TAV, definiti a più riprese 4 gatti, ad alcune considerazioni in merito ad un movimento in aperta crisi che avrebbe perso non solo ogni appoggio politico, ma anche la capacità di aggregazione e mobilitazione dei cittadini. Considerazioni condite con il convincimento che la maggior parte dei valsusini avesse ormai rinunciato a lottare contro l’alta velocità, lasciando il testimone ad un piccolo gruppo di facinorosi che non volevano arrendersi neppure di fronte all’evidenza di una battaglia ormai persa.

L’offensiva è poi proseguita la settimana successiva, quando nel cuore della notte, con grande spiegamento di forze dell’ordine, la “banda del buco” è riuscita a montare una trivella
a Susa su un terreno di proprietà della Sitaf e nel corso della mattinata perfino a presentare nel centro del mercato cittadino un “camper informativo SI TAV” con a bordo il presidente della Provincia di Torino Saitta, nel ruolo inedito di distributore di volantini e slogan che ormai hanno fatto il proprio tempo. Camper che di fronte alle prime domande portate con atteggiamento critico (senza alcun spirito violento beninteso) ha pensato bene di volatilizzarsi, insieme con l’alta figura politica che recava a bordo, per non ripresentarsi più in Val di Susa nei giorni successivi.
L’offensiva ha poi toccato il proprio acme il giorno seguente, con l’installazione di una seconda trivella presso la stazione di Condove, unitamente all’annuncio (già ventilato nei giorni precedenti) di una grande manifestazione bipartisan a favore del TAV, organizzata al Lingotto di Torino dal sindaco Sergio Chiamparino. Manifestazione che stando alle parole dei suoi organizzatori avrebbe dimostrato come la maggioranza dei cittadini sia in realtà favorevole all’alta velocità e poco disposta a subire i “ricatti” di uno sparuto gruppo di facinorosi che osteggiano un progetto di siffatta importanza.

Tutto è finito nel corso del weekend, quando appunto chi con atteggiamento spavaldo era partito per bastonare, si è ritrovato attore di una ritirata ben poco dignitosa, fra i calcinacci delle proprie mistificazioni che crollavano come un castello di carte.
Sabato 23 gennaio, dal presidio di Susa è partita infatti una grande manifestazione forte di oltre 40.000 persone (in stragrande maggioranza valligiani) che ha attraversato come un fiume sterminato di bandiere NO TAV la cittadina, ribadendo in maniera inequivocabile l’assoluta contrarietà del territorio nei confronti di un’infrastruttura ritenuta tanto inutile quanto dannosa. Una moltitudine di uomini, donne, ragazzini, pensionati, in grado di fugare qualsiasi dubbio sia sull’identità di coloro che si oppongono all’alta velocità, sia sulla dimensione strabordante della partecipazione, uguale se non superiore ai livelli del 2005.

Sergio Chiamparino, dopo avere trasformato la propria manifestazione in un convegno da tenersi in una sala (non troppo grande) del Lingotto si è ritrovato invece (ironia della sorte) davvero con 4 gatti, dal momento che per tentare di offrire un’immagine meno desolante e riempire i 600 posti a sedere, perfino i consiglieri provinciali e regionali, compresa la presidente Bresso sono stati fatti accomodare fra il pubblico. Dinanzi a 500 persone, in gran parte rappresentanti politici del PD, si è così svolta l’arringa di Mario Virano che da abile oratore quale è ha ancora una volta sviscerato le ragioni della Torino – Lione che pur non trovando conforto nei numeri allignano all’interno di un “sogno” da portare avanti un po’ per fede e un po’ perché muovendo grandi volumi di denaro del contribuente la politica in fondo il suo tornaconto riesce sempre a trovarlo.

In conclusione al termine della giornata, tanto Chiamparino, quanto Virano, quanto la Bresso, hanno dovuto ammettere che in Val di Susa ci sono quarantamila persone (non 4 gatti) che non vogliono l’alta velocità e trattasi di famiglie e cittadini normali, non certo di sparuti gruppi di antagonisti. Il sindaco di Torino, con la difficoltà a far di calcolo che lo contraddistingue, ha altresì dichiarato che quarantamila o no essi rappresentano pur sempre una minoranza (accompagnato in questo ragionamento dal ministro Matteoli) nell’ambito italiano, ragione per cui si andrà avanti più decisi che mai con la progettazione.

Si potrebbe osservare che anche i torinesi che hanno votato lui, in ambito italiano rappresentano un’esigua minoranza, così come coloro che hanno votato il governo sono sparuta minoranza in ambito europeo, ma non per questo la sua persona ed il governo italiano vengono tacciati come espressione minoritaria.
Ma in fondo è giusto lasciare spazio a questo sfogo con relativa fantasiosa arrampicata sugli specchi, bastonate di questo genere, si sa, fanno molto male e soprattutto rischiano di lasciare il segno, a maggior ragione quando ci si trova alla vigilia di una campagna elettorale.

venerdì 22 gennaio 2010

TRIVELLE AD ALTA VELOCITA'


Marco Cedolin
Settimana assai convulsa quella che sta per concludersi in Val di Susa, con una grande manifestazione popolare in programma proprio a Susa per sabato pomeriggio.
Dopo i primi sondaggi nella cintura torinese e il tentativo di carotaggio respinto martedì 12 dai presidianti dell’autoporto di Susa, le trivelle sono entrate in azione due volte. La prima alle 3 di notte di martedì 19, in un terreno di proprietà della Sitaf (poi spostata dopo 24 ore a 50 metri di distanza per un secondo sondaggio), non lontano dal presidio dell’autoporto, la seconda alle 4 di mattina nei pressi della stazione di Condove.

In entrambi i casi la stessa dinamica , territorio invaso da svariate centinaia di agenti in tenuta antisommossa e rapido blocco di tutte le vie di accesso (compresi gli svincoli autostradali) ai siti oggetto dei carotaggi. Altrettanto solerte anche la risposta della popolazione contraria all’opera, con centinaia di persone mobilitatesi nel cuore della notte e presidi nati dal nulla, dove alle prime luci dell’alba già si sfornava caffè caldo, insieme a fette di torta, destinate a trasformarsi nel corso della giornata in tome e salami, il tutto rigorosamente doc, prodotto e distribuito a km zero.

La protesta ha avuto sempre carattere pacifico e le occasioni di tensione sono state poche, la più seria delle quali quando un gruppo di NO TAV dopo avere bloccato il TGV nella stazione di S. Antonino è riuscita a sorprendere le forze dell’ordine arrivando nella stazione di Condove via treno, fino a giungere a pochi metri dalla trivella. Alcuni carabinieri particolarmente agitati hanno alzato il manganello, ferendo lievemente un manifestante che è stato trasportato in ospedale, ma la situazione si è ricomposta quasi immediatamente. Per il resto molte azioni dimostrative con blocchi dell’autostrada e della ferrovia e mobilitazione che nel complesso (fra Susa e Condove) ha coinvolto qualche migliaio di manifestanti, rendendo abbastanza evidente il fatto che l’immagine di una valle “normalizzata” dove le persone contrarie all’alta velocità si sono ridotte a un manipolo di facinorosi, alligna per ora solamente nella fantasia di politici e pennivendoli che vendono mistificazioni assortite un tanto al chilo. Chiunque abbia avuto occasione anche solo di passare qualche minuto ai presidi (si tratti di quelli permanenti o di quelli nati spontaneamente in un paio d’ore) ha potuto infatti constatare come la protesta sia ben viva e partecipata, radicata nel territorio ed eterogenea. Neppure il genio istrionesco di un bravo affabulatore come Mario Virano riuscirebbe a “vendere” la favola dei NO TAV professionisti della protesta ed estremisti antagonisti che arrivano da “fuori”, di fronte alle signore che preparano il caffè ed affettano formaggio e salame, di fronte ai signori in età che discutono di ferrovie e alle loro nipotine che li hanno seguiti appena finiti i compiti.

Ad impressionare maggiormente è stata l’entità dello spiegamento di forze messo in campo e l’alta velocità “di lavoro” delle trivelle, che stando alla documentazione ufficiale avrebbero dovuto permanere sul territorio da una a due settimane, mentre sono state smontate dopo meno di 24 ore.
Entrambi questi elementi inducono più di una riflessione in merito all’operazione carotaggi che sembra mirata semplicemente all’ottenimento di un risultato mediatico, piuttosto che non al riscontro di risultati tecnici che in tutta evidenza non interessavano. L’importante era “violare” il territorio valsusino per dimostrare che si può, premurandosi di fare in fretta, prima che il montare della protesta producesse risultati mediatici di tutt’altra natura. E al contempo saggiare il grado di radicamento della contestazione, per comprendere l’efficacia dei quattro anni di "cura" Virano/ Ferrentino.
Le risposte arrivate dal territorio si sono rivelate molto lontane dalle aspettative, dimostrando che la contrarietà all’alta velocità in Val di Susa continua a rimanere un sentimento ben radicato fra la popolazione, così come alta resta la disponibilità dei cittadini a mobilitarsi in massa a qualunque ora del giorno e della notte. Il “lavoro” praticato in questi anni da Virano e Ferrentino ha prodotto risultati molto modesti, certo non sufficienti a giustificare l’ingente quantità di denaro pubblico dissipata nella gestione dell’Osservatorio. La prospettiva di portare avanti oltre 10 anni di pesantissimi cantieri, all’interno di una valle alpina dove si ritiene “indispensabile” schierare 500 agenti e un centinaio di mezzi blindati per mantenere montata una trivella per 16 ore, appare poi del tutto impraticabile e disancorata da ogni logica.

In compenso l’operazione sondaggi ha fatto un gran bene al movimento NO TAV che trovando nuovi stimoli e nuove occasioni di socializzazione, sta riscoprendo il piacere dello stare insieme e la capacità di mobilitazione, come sicuramente dimostrerà la manifestazione di domani.
Il camper informativo sulle ragioni del TAV, con a bordo il presidente della Provincia di Torino Saitta e un paio di esperti è comparso solo a Susa, contemporaneamente al primo sondaggio, per poi defilarsi a tempo indefinito a causa dello scarso gradimento riscosso presso la popolazione.Le trivelle probabilmente torneranno in azione all’inizio della settimana prossima, per effettuare una parte dei sondaggi che ancora mancano, naturalmente ancora una volta ad alta velocità.
Sempre che Virano, uomo molto arguto, non realizzi che in fondo si tratta di un autogol e decisa che la loro importanza nel merito dello studio del progetto preliminare è così marginale da renderli superlui.

mercoledì 13 gennaio 2010

IL TAV E L'INFORMAZIONE


Marco Cedolin
Il tanto temuto “assalto all’arma bianca” nei confronti del presidio NO TAV di Susa non si è fino a questo momento fortunatamente verificato. Le forze dell’ordine hanno militarizzato il territorio in maniera molto discreta e solo una “delegazione” si è presentata all’alba di fronte alle centinaia di presidianti che avevano passato la notte in attesa, incuranti della colonnina di mercurio che segnava cinque gradi sottozero. Una delegazione che si è limitata a “prendere atto” del fatto che veniva loro impedito l’accesso al sito, facendo presenti le conseguenze penali e civili che sarebbero potute derivare da questo atteggiamento. Niente blindati, tenuti discretamente nascosti alla vista dei manifestanti, niente cariche, niente manganellate, niente violenza.
Al contempo i tecnici di Ltf, deputati ad eseguire i sondaggi, debitamente scortati dalla poilizia, hanno provveduto a piazzare le trivelle in tre siti lontani dalla Val di Susa, a Collegno, Basse di Stura ed Orbassano, dove l’opposizione nei confronti dell’alta velocità è molto più sfumata, ma grazie all’arrivo delle trivelle sta facendosi sempre più convinta, fino al punto d’indurre già la nascita dei primi presidi, con relativi presidianti, accanto ai luoghi dei carotaggi.

Chi muove i fili del progetto TAV Torino – Lione ha dunque scelto, almeno fino a questo momento, di praticare una strada differente rispetto al 2005, prestando la massima attenzione a non surriscaldare gli animi e fidando ciecamente nell’impatto della pressione mediatica esercitata da giornali e TV. Per ora nessuna mossa avventata, nessuna provocazione sul campo e via libera al circo dell’informazione, deputato a trasformare una mezza sconfitta in una grande vittoria, tre sondaggi nella cintura torinese nell’inaugurazione del TAV Torino - Lione e la caparbia resistenza dei valsusini in un episodio marginale, quasi la costruzione dell’infrastruttura del TAV, con relativo tunnel di base di 55 km fosse prevista a Collegno o Basse di Stura e non in Val di Susa.

Proprio nell’ambito dell’informazione si è infatti fatto un uso smodato di quella stessa violenza risparmiata ai presidianti, condita da ogni sorta di menzogna, mistificazione e lettura distorta della realtà. Potrebbe essere interessante soffermarci qualche istante su alcune delle “perle” più gustose che il giornalismo di servizio ha inteso dispensare sull’argomento ai propri lettori nel corso degli ultimi giorni, nel tentativo di condizionarne il pensiero e la sensibilità.

Il quotidiano Avvenire, nell’edizione del 13 gennaio, pubblica uno specchietto riassuntivo, probabilmente in parte recuperato da qualche cassetto polveroso, nel quale si fa riferimento al “mitologico” asse ferroviario Lisbona – Kiev. Raccontando che il TAV Torino – Lione verrebbe a costare una volta a regime la modica cifra di 9 miliardi di euro (forse facendo riferimento a qualche stima d’inizio anni 90) anziché alcune decine come pare assai più probabile e affermando che l’opera consentirà di trasportare su rotaia 40 milioni di tonnellate/ anno di merci che nella realtà non esistono, dal momento che (lo si legge nello stesso specchietto) nel 2008 il volume di traffico merci transitato (su gomma e rotaia) attraverso l’intero arco alpino si è ridotto a 57,8 milioni tonnellate. A seguire altre affermazioni di pura fantasia visionaria fra le quali spicca la precognizione in virtù della quale i viaggiatori fra l’Italia e la Francia, attualmente in calo costante, passeranno nei prossimi 20 anni da 1,5 a 3,5 milioni per effetto di qualche esodo dalle cause imprecisate.
Sempre Avvenire e sempre nell’edizione del 13 gennaio osserva che solo “poche centinaia di persone” si sono trovate a fronteggiare le forze dell’ordine a Susa, strizzando l’occhio alle parole di Mario Virano che constata come a protestare sia rimasto solo più “uno zoccolo duro in montagna”.
Entrambi fingono di dimenticare che nel 2005, la notte del pestaggio di Venaus, i presidianti erano una cinquantina, ma poche ore dopo, e così per i giorni a venire, oltre 40.000 cittadini bloccarono la Valle ad oltranza, fino al momento dell’occupazione del cantiere. E grazie alle decine di migliaia di persone componenti lo zoccolo duro di montagna, ancora oggi ad oltre 4 anni di distanza perfino i buchi per i sondaggi, Ltf è costretta a farli a Collegno e non in Val di Susa.

Secondo il quotidiano Italia Oggi del 13 gennaio, la protesta NO TAV si starebbe “sgonfiando” in quanto uno solo dei sondaggi previsti sarebbe stato bloccato, mentre gli altri tre sarebbero partiti regolarmente. Peccato che Maria Laura Franciosi, autrice dell’articolo sia stata così distratta da non notare che uno solo dei sondaggi a suo dire previsti (quello bloccato) doveva avvenire in Val di Susa.

Secondo il quotidiano Epolis del 13 gennaio la presenza di solo 300 persone a fronteggiare le forze dell’ordine sarebbe il sintomo di una crisi inarrestabile del movimento NO TAV, anche se con inusitata bonomia l’articolista aggiunge di aver tenuto conto del fatto che per varie ragioni non si sarebbe potuto pensare che tutti i valsusini contrari all’alta velocità fossero rimasti a presidiare al gelo fino all’alba. Sempre nello stesso articolo si afferma che il TAV di oggi non avrebbe nulla a che fare con il progetto del 2005, né vi sarebbe più il pericolo causato dalle sostanze pericolose presenti nel terreno. Probabilmente solo i giornalisti di Epolis hanno finora avuto modo di visionare il “nuovo” TAV, la cui infrastruttura leviterà sospesa per aria, senza problema di amianto ed uranio e probabilmente senza passare neppure dalla Valsusa, dove le 300 persone, parte di un movimento in crisi potrebbero sempre fare qualche scherzo.

Sulla Stampa di Torino dell’11 gennaio, il Sindaco del capoluogo piemontese Sergio Chiamparino lancia l’idea di una marcia SI TAV bipartisan da organizzare a braccetto con il PDL ed Osvaldo Napoli. Parte del PDL si dissocia poi da quest’idea affermando che marcerà per il SI TAV solamente con la Lega ma non con il centrosinistra. La manifestazione viene annunciata per il 24 gennaio al Lingotto di Torino, ma sicuramente gli organizzatori dovranno stanziare per l’occasione un bel mucchio di quattrini, dal momento che nonostante Torino ambisca allo scettro di capitale del cinema il cachet delle comparse da assoldare rimane comunque piuttosto elevato.

Si potrebbe continuare così all’infinito, con decine e decine di articoli e servizi TV che ripetono a pappagallo lo stesso mantra, nella speranza che una bugia ripetuta mille e più volte possa trasformarsi in realtà irrefutabile. Sostanzialmente facendo leva su due temi.
Il primo è il dogma concernente l’importanza fondamentale del TAV quale volano dell’economia, per tutta una serie di ragioni che nessuno è in grado di spiegare in maniera coerente dal momento che non esistono.
Il secondo è la crisi della lotta in Val di Susa contro l’alta velocità che continua a fare paura, perché non è stata scalfita da 4 anni di lavorio sottobanco dell’Osservatorio Virano. Anche questo allora diventa un dogma, da ripetere nella speranza di riuscire ad esorcizzare l’eventualità che in Val di Susa ancora una volta la mafia del tondino e del cemento venga messa alla porta da decine di migliaia di cittadini, di montagna forse, ma sempre troppo educati rispetto a quanto sarebbe lecito aspettarsi.

domenica 10 gennaio 2010

TAV IN VAL DI SUSA SI TORNA AL 2005


Marco Cedolin
Poco più di 4 anni fa, l’8 dicembre 2005, decine di migliaia di valsusini ai quali si erano uniti altre migliaia di cittadini provenienti da tutta Italia, invasero pacificamente il cantiere di Venaus, mettendo di fatto fine allo scellerato progetto del TAV Torino - Lione, nonché a 40 giorni di militarizzazione dell’intera Val di Susa, ridotta alla stessa stregua di un paese occupato, con tanto di check point presidiati da guardie armate, da oltrepassare per andare a comprare il pane o in farmacia.

Durante questi 4 anni d’inciucio politico, meschine manovre portate avanti sottobanco, cancelli rigorosamente chiusi e rifiuto di qualsiasi forma di dialogo con i cittadini, il TAV reale e quello virtuale hanno compiuto entrambi la propria strada.

Il primo è defunto di fronte all’evidenza dei numeri e dell’osservazione oggettiva che lo hanno connotato come un’opera assolutamente inutile, inadeguata a rispondere alle esigenze dei viaggiatori e del territorio, priva di qualsiasi possibilità di conseguire un ritorno economico dell’enorme investimento. Fra Torino e Lione non esistono volumi apprezzabili di traffico passeggeri, i treni tradizionali che garantivano il collegamento diretto sono stati da tempo soppressi e perfino le poche corse dell’alta velocità francese Milano – Parigi che transitano dal capoluogo piemontese e dalla Valle di Susa continuano a ridursi e presto ne resterà una sola al giorno. Alla stessa stregua non esistono volumi di traffico merci (ammesso e non concesso che arrivi un giorno in cui le merci transiteranno insieme ai Frecciarossa sulle rotaie del TAV italiano) tali da giustificare un’opera di questo genere. E meno ancora esisteranno in propensione futura, dal momento che dal 2001 in poi il traffico merci sulla direttrice della Val di Susa è in costante e sensibile calo, non solo per quanto concerne la ferrovia, ma anche per quanto riguarda i mezzi pesanti in transito al valico del Frejus. Insomma se anche si volesse far finta di essere individui ottusi e dalla vista obnubilata, disposti a credere alla “favola” della ripresa economica si dovrebbe prendere atto del fatto che l’attuale ferrovia internazionale a doppio binario, oggi sfruttata intorno al 30% delle proprie potenzialità, sarebbe sufficiente per almeno un intero secolo di “prosperità” e florido aumento degli scambi commerciali.

Il secondo ha continuato a sopravvivere, animato di fittizia vita da una folta schiera di faccendieri politici rigorosamente bipartisan, speculatori finanziari, industriali abituati a costruire profitto tramite i sussidi statali e furfanti di ogni risma e colore che aspirano a ritagliarsi il proprio angolo di paradiso, suggendo come sempre il denaro dalle tasche del contribuente. E’ sopravvissuto allignando nel buio dei palazzi del potere, all’ombra di qualunque sguardo indiscreto.
Nelle infinite riunioni di un osservatorio fantasma, destituito di ogni fondamento ma deputato a veicolare in Europa la truffa del TAV condiviso dalla popolazione (quale e quando?) al fine di suggere anche lì danari in maniera fraudolenta. Nei proclami dei governi (Prodi e Berlusconi) avallati dal meschino lavoro di politicanti e tecnici compiacenti che hanno sfornato negli anni ipotesi di progetti e tracciati per i quali sarebbero stati presi a calci nel deretano dai propri professori di università quando la frequentavano. Nel lavorio meschino dei pennivendoli della “grande stampa” abituati a leccare la mano del padrone, anche quando questo significa produrre disinformazione di scarsa qualità, sempre ammesso che concetti come dignità e qualità alberghino ancora nell’animo di codesti scribacchini dai lauti stipendi e dalla bassissima professionalità.

Il TAV virtuale, quello immarcescibile poiché caratterizzato da profitti illeciti e denaro delle casse statali dispensato a pioggia, si appresta proprio in questi giorni a sbarcare nuovamente in Val di Susa, sotto forma di decine di sondaggi geognostici ufficialmente deputati alla stesura del nuovo tracciato, ma in realtà indispensabili alla consorteria del TAV solamente per “dimostrare” l’inizio dell’opera e garantirsi in questo modo i 671 milioni di euro del finanziamento europeo estorto attraverso l’uso della menzogna.

La campagna dei sondaggi dovrebbe iniziare domani, ma già ieri è arrivata ferma e decisa la risposta dei cittadini valsusini contrari all’opera, decisi ad opporsi pacificamente ma fisicamente all’inizio dei sondaggi. Proprio ieri infatti, nella zona dell’autoporto di Susa dove sono previsti due dei molti sondaggi, è stato “edificato” un nuovo presidio con lo scopo d’impedire quello che di fatto sarebbe l’inizio della costruzione del TAV Torino - Lione. I valsusini che si oppongono all’opera e in questi giorni sono stati dipinti dai mercenari della penna (vero Numa?) come antagonisti e professionisti della protesta, sono in realtà persone normali (padri di famiglia, studenti, donne, pensionati, ragazzini di ogni ceto e colore politico) che anziché protestare preferirebbero di gran lunga starsene al calduccio in casa propria. Se non fosse che loro, a differenza di chi non lo ha fatto anche se il suo mestiere lo avrebbe imposto, hanno studiato nel dettaglio il TAV reale, rendendosi conto che oltre ai problemi per la salute (amianto ed uranio) ed a quelli conseguenti alla devastazione di una valle alpina già infrastrutturizzata oltre ogni limite, si tratta di un’opera priva di alcun senso, sia dal punto di vista economico che da quello logistico. Hanno studiato, a differenza di chi, come Massimo Numa non è ancora uscito dall’asilo, e hanno deciso di opporsi fisicamente al TAV virtuale che vuole rubare loro il futuro. Anche se opporsi significherà probabilmente venire bastonati dalla polizia come accadde a Venaus nel 2005, venire insultati dallo scribacchino di turno, passare le notti al gelo senza altro calore che non sia quello umano. Ma opporsi fisicamente è non solo un diritto, bensì prima di tutto un dovere per chiunque abbia compreso la vera natura del TAV.

Nel 2005 scrissi “forse inizierà una storia diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità di vita dell’uomo e non di uomini sacrificati nel nome dei treni e della velocità”.
Purtroppo la storia non è cambiata e da domani probabilmente in una Val di Susa militarizzata il passato si ripeterà, come un incubo che ritorna e va scacciato una seconda volta, sperando che finalmente sia l’ultima.

mercoledì 6 gennaio 2010

LA PSICOSI DELLA MUTANDA


Marco Cedolin
A seguito della vicenda che ha avuto come protagonista il giovane nigeriano Umar Faruk Abdulmutallab, ritenuto responsabile (almeno nelle intenzioni) di un fallito attentato dinamitardo sul volo Amsterdam - Detroit, da realizzarsi con l’esplosivo nascosto all’interno della sua biancheria intima, le reazioni fra i responsabili alla sicurezza degli aeroporti statunitensi ed europei paiono ogni giorno più scomposte e schizofreniche, arrivando a sfiorare l’autolesionismo.

Se da un lato la notizia del presunto fallito attentato è stata (creata?) usata e strumentalizzata dall’amministrazione Obama per rinverdire lo spettro del terrorismo e giustificare nuove guerre preventive, dall’altro ha rappresentato il viatico per una vera e propria campagna di psicosi collettiva, assolutamente priva di senso, avente come oggetto la sicurezza del trasporto aereo. Campagna di psicosi che facendo leva sulla paura irrazionale, mira a demolire ulteriormente le residue libertà della persona, privandola sempre più in profondità anche della propria dignità.

Per rendere il senso del grado di tensione attraverso il quale si è inteso condizionare e terrorizzare i passeggeri, basta leggere la cronaca degli ultimi due giorni.
Nell’aeroporto di Newark (uno dei due scali neworkesi) il momentaneo malfunzionamento delle telecamere di sicurezza ed il sospetto che una persona avesse eluso i controlli hanno fatto piombare lo scalo in un caos durato ben sei ore, durante le quali l’aeroporto è stato completamente evacuato, compresi i passeggeri già imbarcati sugli aerei e fatti scendere a forza.
All’aeroporto di Minneapolis, in Minnesota, il 5 gennaio, la sospetta reazione di un cane poliziotto di fronte ad una valigia ha provocato l’evacuazione dell’intero scalo, con conseguenti ritardi e cancellazioni che hanno coinvolto migliaia di passeggeri.
A poche ore di distanza l’aeroporto di Bakersfield in California è stato chiuso ed evacuato a causa di una sostanza tossica, con conseguente cancellazione di tutti i voli, poiché due agenti al momento di controllare una valigia (il cui proprietario è stato immediatamente arrestato) si sarebbero trovati di fronte ad un liquido sprigionante vapori in grado di creare loro nausea e mal di testa. Solo molte ore dopo le autorità hanno riferito che la sostanza tossica risultata positiva al test degli esplosivi e nociva per la salute degli agenti, era in realtà una bibita analcolica “condita” con del miele dal giardiniere di Milwaukee che era stato messo in manette.
All’aeroporto di Dublino un cittadino slovacco ha rischiato l’infarto quando è stato arrestato dalla polizia come pericoloso terrorista a causa dell’esplosivo contenuto nel suo bagaglio. Per poi venire a scoprire che in realtà l’esplosivo era stato introdotto nella sua valigia in maniera fraudolenta dalle autorità slovacche che intendevano testare (oltre allo stato del suo cuore) l’efficienza dei controlli nello scalo irlandese.

In seno alla psicosi costruita intorno all’attentato mai avvenuto a Detroit, sia l’Europa che gli Usa si stanno manifestando intenzionati ad aumentare in maniera esponenziale sia la quantità che la qualità dei controlli all’interno degli aeroporti, con l’ausilio di nuovi regolamenti e supporti tecnologici di ogni genere.
In Italia, dove già da qualche giorno chi vuole recarsi negli Stati Uniti deve presentarsi in aeroporto almeno 3 ore prima della partenza, i ministri Frattini e Maroni proprio ieri hanno autorizzato l’introduzione dei body scanner, sul modello di quanto già avviene negli USA anche nei carceri e tribunali, all’interno degli aeroporti di Fiumicino e Malpensa.
Proprio l’introduzione dei body scanner, in precedenza bocciati dalla UE in quanto lesivi della privacy personale, approvata dal governo italiano, al quale a breve si accoderanno anche quello tedesco ed olandese, mentre Inghilterra e Spagna si mostrano più prudenti, sta producendo in queste ore molte polemiche legate oltre che alla loro efficienza anche al turbamento della privacy e agli effetti dei medesimi (in pratica apparecchi per radiografie a bassa intensità) sulla salute umana.
Per quanto riguarda l’efficienza non sembrano esistere evidenze che dimostrino la superiorità di questi apparecchi rispetto ai normali controlli manuali con l’ausilio dei metal detector. La privacy, o meglio la dignità ed i diritti dell’essere umano, non sono mai stati una priorità delle democrazie occidentali e sembrano diventarlo ogni giorno di meno in una società basata sul controllo dell'individuo.
Le conseguenze sulla salute (onde radio e radioattività) secondo gli esperti sono bassissime, soprattutto dal momento che non esistono evidenze concernenti gli studi sui loro effetti a lungo termine, così come non ne esistevano 50 anni fa riguardo all’amianto che veniva prodotto a profusione.

Ragione per cui risulta ormai chiaro come (nonostante qualche borbottio e qualche protesta portata sottovoce) la “leggenda” delle mutande esplosive del giovane nigeriano sia prodromica di un nuovo giro di vite per quanto concerne la libera circolazione delle persone e la dignità dell’uomo, destinato a venire ispezionato anche nell’intimità del proprio corpo.
Il tutto in attesa che in un prossimo futuro la tecnologia ci regali la soluzione definitiva, sotto forma dello scanner mentale che potrà leggere l’intimità dei nostri pensieri, rendendoci “finalmente” così sicuri che più sicuri non si può.

martedì 5 gennaio 2010

IN SALDO IL VACCINO CONTRO L'INFLUENZA SUINA


Marco Cedolin
I saldi anticipati, sponsorizzati più volte dai TG negli ultimi giorni, con il loro corollario di aspiranti acquirenti in coda, preda della sindrome d’acquisto compulsivo, non riguarderanno solo i capi di abbigliamento rimasti invenduti nei magazzini, ma anche prodotti di ben altro genere la cui “percentuale d’invenduto” è risultata di molto superiore rispetto a quella dei piumini difettosi, delle giacche che non vestono e dei pantaloni con il cavallo riuscito male.

Si tratta delle dosi dell’ormai famoso vaccino contro l'influenza H1N1 che a milioni un po’ tutti i paesi si sono affrettati ad acquistare ad altissimo prezzo con i soldi dei contribuenti, per la gioia delle multinazionali farmaceutiche che hanno visto salire alle stelle il valore delle proprie azioni.
Dopo un lungo semestre di “terrorismo” mediatico, durante il quale l’OMS ed il circo dell’informazione hanno attribuito ad un normale virus influenzale (oltretutto fra i meno attivi) la potenzialità di provocare una ferale pandemia, il castello di carte è ormai miseramente crollato al suolo e con esso anche l’intero ologramma della mistificazione. Oggi perfino quei giornalisti che per mesi hanno lanciato e coccolato l’allarme pandemia, compiacendosi per l’aumento delle tirature e le carezze del padrone, sono pronti ad ammettere che eravamo tutti su “scherzi a parte”. Si è trattato di una celia, un fraintendimento, una burla riuscita male, dal momento che i cittadini di tutta Europa non ci sono “cascati” ed hanno rifiutato in massa di lasciarsi inoculare nelle vene un vaccino tanto inutile quanto potenzialmente pericoloso, lasciandolo ammuffire in larga parte sugli scaffali.

Così oggi un po’ tutte le nazioni che hanno investito cospicui capitali nell’acquisto di decine di milioni di dosi di vaccino, stanno pensando di proporlo in saldo al miglior offerente, sperando di recuperare almeno una piccola parte del denaro “gentilmente” devoluto a Big Pharma.

Prime fra tutte Francia, Germania, Spagna e Svizzera che sembrano già avere trovato qualche “pollo” disposto a mettersi in coda per acquistare a prezzo da stock le tanto contestate fialette. Si tratta, stando ad alcune indiscrezioni, di alcuni paesi dell’Est, dell’Egitto, del Qatar (che sembra abbia già acquistato 300000 dosi francesi) e della Cina, dove l’allarme pandemia sta prendendo corpo proprio in queste ultime settimane.

Naturalmente la confezione svendita sarà comprensiva, oltre che delle dosi del vaccino, anche di un prontuario contenente svariati consigli in merito alle mistificazioni necessarie per ottenere la sperata psicosi collettiva.
Nonché la raccomandazione di ripetere come un mantra, almeno tre volte al giorno nel corso di ogni TG, che il vaccino è innocuo, è sicuro, non fa male, è privo di effetti collaterali e le eventuali conseguenze, anche qualora mortali, sono da considerarsi comunque percentualmente irrisorie se rapportate al totale dei soggetti vaccinati.

domenica 3 gennaio 2010

LA PRECRIMINE DI OBAMA


Marco Cedolin
“Immaginate un mondo senza attentati terroristici”

Entrando in perfetta sintonia con lo spirito del celebre film Minority Report, il premio Nobel per la pace Barack Obama, ha annunciato al mondo che porterà la guerra nello Yemen, al fine di scovare i responsabili di Al Quaeda che hanno “armato” le mutande del nigeriano Umar Faruk Abdulmutallab, intenzionato a far saltare l’aereo diretto a Detroit sul quale egli viaggiava. Attentato che, se portato a compimento, avrebbe provocato una strage, di fronte alla quale l’America deve reagire con forza, colpendo i responsabili e costringendoli a rispondere dei loro crimini.

Rispetto alla strategia del terrorismo olografico dell’ex presidente Bush è impossibile non percepire un notevole affinamento nella tecnica di utilizzazione dello spauracchio terrorista al fine di giustificare le guerre di occupazione statunitensi e renderle condivisibili agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.

Se infatti l’amministrazione Bush fu “costretta” ad orchestrare una tragedia come l’11 settembre, costata la vita a migliaia di persone, per garantirsi il viatico all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, l’amministrazione Obama dimostra di avere fatto passi da gigante nel futuro. Senza alcuna necessità di spargimenti di sangue (si tratta pur sempre di un premio Nobel per la pace) Barack Obama si appresta infatti ad invadere in armi lo Yemen, in risposta ad un attentato rimasto nelle intenzioni di un giovane nigeriano squilibrato ma di “buona famiglia” che proprio nello Yemen sarebbe stato armato ed indotto all’insano gesto, da parte di cellule terroriste intenzionate a far parte dell’ormai mitica Al Quaeda, che si proponevano di colpire gli Stati Uniti.

Non ci è naturalmente permesso di conoscere l’identità dei “precog” al servizio del presidente Obama, dal momento che i “precog” sono notoriamente individui schivi ed introversi, assai restii a mostrarsi in pubblico. Ma sembra che il software funzioni comunque alla perfezione e tutti governi occidentali si stiano prodigando attivamente per offrire collaborazione ed appoggio all’amministrazione americana. La Gran Bretagna, seguendo l’esempio degli Usa si è già affrettata a chiudere la propria ambasciata nello Yemen e il consiglio di sicurezza dell’ONU si appresta ad incrementare la consistenza del contingente militare di stanza nella vicina Somalia.
Senza dubbio una serie di reazioni che potrebbero apparire sproporzionate, di fronte ad un attentato rimasto nella “mutande” del presunto terrorista e ad una strage mai concretizzatasi nella realtà, soprattutto alla luce del fatto che anche i rapporti dei “precog” notoriamente si possono falsificare.
Ma Obama sta già scaldando i motori dei Maglev, se l’hanno insignito del Nobel per la pace ci sarà pure una ragione.