Marco Cedolin
Tratto da Grandi Opere – Arianna Editrice - 2008
L’oleodotto BTC, accreditato come il più lungo al mondo con i suoi 1.770 km congiunge la città di Baku, sulle sponde occidentali del Mar Caspio, con il porto turco di Ceyhan situato sulle sponde orientali del Mediterraneo, attraversando le ex repubbliche sovietiche dell’Azerbaijan e della Georgia per poi penetrare in Turchia. I lavori di progettazione e costruzione sono durati 12 anni con un costo finale di 4 miliardi di dollari (superiore del 32% rispetto alle previsioni) e quando l’impianto sarà a pieno regime si calcola che dovrebbe essere in grado di trasportare 1.000.000 di barili di greggio al giorno. L’opera è stata inaugurata alla presenza dei più alti dignitari di Turchia, Georgia e Azerbaijan e di alti esponenti del mondo petrolifero e bancario il 13 luglio 2006, praticamente in concomitanza con l’inizio dei bombardamenti israeliani in Libano.
A gestire la costruzione del BTC è stato un consorzio petrolifero, con sede alle Isole Cayman, guidato dalla compagnia britannica British Petroleum (BP) con il 30% e di cui fanno parte l’azera Socar con il 25%, la statunitense Unocal con il 9%, la norvegese Statoil con l’8%, la turca Tpao con il 6%, l’italiana ENI e la francese Total-Fina-Elf entrambe con il 5%, oltre ad altre compagnie minori. Il consorzio BTC ha stanziato sotto forma di capitale netto circa il 30% della cifra necessaria alla costruzione dell’opera, mentre il 70% è stato ottenuto tramite finanziamenti bancari in larga parte riconducibili alla Banca Mondiale e alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo.
Nel progetto dell’oleodotto BTC le motivazioni politiche sono sempre state preponderanti rispetto a quelle economiche. Gli Stati Uniti hanno pesantemente sponsorizzato la costruzione dell’opera senza farsi scrupolo di esercitare forti pressioni tanto nei confronti degli stati interessati dal progetto, quanto nei confronti delle compagnie petrolifere che avrebbero dovuto condurlo in porto. E’ opinione comune di molti analisti politici e finanziari che gli USA siano riusciti a far pagare ai contribuenti ed anche alle compagnie petrolifere europee un progetto che si rivela chiaramente come una priorità americana e non del vecchio continente, da sempre più interessato a stringere legami energetici con la Russia, nonché a considerare la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti attraverso la regione dei Balcani finalmente pacificata.
Per mezzo del BTC attraverso il quale una volta a regime dovrebbe transitare una quantità di greggio pari al 7% dell’intero flusso di petrolio mondiale, Washington è infatti riuscita ad ottenere il duplice scopo di ridurre la propria dipendenza dal petrolio mediorientale e indebolire in maniera significativa i legami fra la Russia e le ex repubbliche sovietiche di Azerbaijan e Georgia, la cui condiscendenza rispetto alle scelte politiche statunitensi sembra preludere ad una vera e propria alleanza militare con gli Usa e la NATO. Anche Israele che vanta accordi di cooperazione militare a lungo termine sia con l’Azerbaijan che con la Georgia si è mostrato fin da subito molto interessato alla costruzione dell’oleodotto al fine di disporre di un corridoio energetico che colleghi il bacino del Mar Caspio con il Mediterraneo orientale tagliando fuori tanto la Russia quanto l’Iran. Una parte del petrolio trasportato dal BTC potrà essere infatti incanalata direttamente verso Israele attraverso un oleodotto subacqueo che colleghi Ceyhan al porto israeliano di Ashkelon e da lì dopo aver raggiunto il porto di Eilat sul Mar Rosso attraverso la Israeli Tipline, esportato verso i mercati asiatici.
L’oleodotto più lungo del mondo parte da Baku, la capitale azera che da oltre due secoli intreccia la propria storia con lo sfruttamento dei copiosi giacimenti petroliferi presenti nella regione. A Baku le prime trivellazioni risalgono agli inizi del XVIII secolo e già all’inizio del 900 erano attivi 1.710 pozzi di petrolio che coprivano più della metà dell’intera produzione di greggio mondiale. L’impatto dell’industria petrolifera sull’aria, sull’acqua e sul territorio si è manifestato
da sempre in tutta la sua drammaticità, condizionando in maniera pesante la qualità della vita degli abitanti che non hanno mai beneficiato della ricaduta economica conseguente all’estrazione del petrolio. Basti pensare che i risultati di numerose autorevoli ricerche mediche dimostrano come l’incidenza delle patologie tumorali nelle aree di estrazione petrolifera risulti del 50% superiore alla media. La presenza delle immense risorse fossili e degli interessi connessi al loro sfruttamento hanno inoltre contribuito a creare nella regione forti tensioni politiche spesso sfociate in sanguinosi conflitti armati. Oggi dinanzi al grande terminal petrolifero di Baku, dove inizia il BTC, gli abitanti del villaggio locale che conducono una vita di stenti possono solo mostrare i segni che il progresso ha lasciato sulle loro vite. Si tratta di segni disperati che si possono leggere sulla loro pelle macchiata di rosso, nel cuoio capelluto che si squama, nelle labbra bruciate da un qualcosa di indefinito, nelle malformazioni con cui nascono i loro figli. Un progresso che parla il linguaggio degli equilibri geopolitici e della battaglia per il controllo delle risorse energetiche ma in questo angolo di mondo è riuscito a regalare solo disperazione, alberi senza frutti né foglie, animali nati senza zampe e nuvole di polvere puzzolente che fanno bruciare gli occhi.
La travagliata storia dell’oleodotto BTC è costellata da una sequela di grandi e piccoli episodi di prevaricazione, false promesse mai mantenute ed errori tecnici marchiani, il tutto nell’ambito di un progetto che non ha tenuto nella minima considerazione tanto le problematiche derivanti dall’impatto ambientale dell’opera quanto i rischi di varia natura derivanti dalla sua costruzione. Basti pensare che nella sola fase di progettazione dell’opera sono state portate alla luce ben 173 violazioni di standard sociali ed ambientali.
Il consorzio BTC, la cui opera di persuasione è stata coadiuvata dalle pressioni statunitensi, ha indotto Turchia, Georgia ed Azerbaijan a firmare e ratificare tramite accordi con statuto internazionale veri e propri contratti capestro che sovrascrivono interamente le preesistenti legislazioni ambientali, sociali, del lavoro e dei diritti umani nell’ambito dell’intero corridoio attraversato dall’oleodotto. In virtù di questi contratti il consorzio BTC avrà per i prossimi 40 anni il potere di governo effettivo sugli interi 1770 km attraversati dalla pipeline, potendosi di fatto permettere di non tenere in alcun conto le singole legislazioni degli stati attraversati dall’opera. Turchia, Georgia ed Azerbaijan si sono inoltre impegnate a non introdurre per 40 anni alcuna nuova legge che possa alterare l’equilibrio economico del progetto o ridurre i diritti garantiti al consorzio, mentre tutte le responsabilità in caso d’incidenti ed attacchi all’oleodotto saranno ad esclusivo carico del governo nell’ambito del cui territorio si è verificato l’inconveniente. In pratica attraverso questi contratti è stato venduto il futuro delle popolazioni turche, georgiane ed azere, in quanto i governi che si succederanno negli anni a venire si troveranno nell’assoluta impossibilità d’invocare i propri poteri esecutivi per emendare gli accordi in modo da potere garantire ai propri cittadini una maggiore tutela sulla salute, la sicurezza dell’ambiente o qualsivoglia altro tipo di protezione.
Sempre restando nell’ambito di questa anomalia legislativa le Valutazioni d’Impatto Ambientale dell’opera, approvate dai paesi interessati nel corso del 2002, prevedevano il passaggio attraverso zone protette, in palese violazione delle leggi ambientali dei paesi interessati. All’interno di tali VIA non sono state inoltre menzionate le alternative possibili, così come richiesto dalle legislazioni nazionali e dalle politiche ambientali di alcuni fra i principali finanziatori del progetto, come ad esempio la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. In tutti i paesi interessati dall’opera i lavori di costruzione hanno portato al danneggiamento di strade locali e sistemi di drenaggio ed irrigazione, ostacolando la vita quotidiana delle persone e mettendo a repentaglio l’equilibrio delle microeconomie locali. In Azerbaijan l’oleodotto attraversa l’area semidesertica del Gobustan, una zona estremamente fragile che nel 1996 fu dichiarata Riserva Naturale ed è candidata a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco, essendo in essa custoditi reperti archeologici ed artistici, alcuni dei quali risalenti al 10.000 A.C.
In Georgia il percorso attraversa per 20 km l’area di Borjomi/Bakuriani che fa parte dell’omonimo parco nazionale gestito dal WWF con il sostegno del governo tedesco. Quest’area che risulta particolarmente conosciuta per le proprietà benefiche delle sue acque minerali e gode di uno status di protezione in virtù della legge georgiana sulle risorse idriche è sempre stata meta di turismo e importante fonte di reddito per le comunità locali. La qualità delle acque a causa della presenza dell’oleodotto è oggi sottoposta al grave rischio d’inquinamento, con il rischio di pregiudicare l’intera economia della zona. Il governo georgiano, preoccupato per l’impatto dell’opera su un territorio così delicato, interruppe i lavori di costruzione del BTC per una settimana chiedendo fosse preso in considerazione un percorso alternativo, salvo poi tornare sui suoi passi e consentirne la ripresa in seguito a pressioni del segretario della difesa Usa Donald Rumsfeld.
Come accade regolarmente per tutte le grandi opere anche l’oleodotto BTC fu presentato alle popolazioni locali interessate dal progetto, come una fonte sicura di crescita, sviluppo e nuova occupazione, nel palese tentativo di creare condivisione e mascherare le reali pesanti conseguenze negative dell’operazione. A questo proposito bisogna tenere conto del fatto che larga parte degli abitanti dell’Azerbaijan e della Georgia, in particolare le popolazioni delle zone rurali che sono quelle maggiormente interessate dagli impatti derivanti dalla costruzione e gestione dell’oleodotto, vivono da quando i due stati hanno ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica in una situazione di estrema penuria energetica. Sfruttando questo stato di cose una delle leve attraverso le quali il consorzio BTC tentò di costruire consenso intorno all’opera fu la falsa promessa di destinare una parte delle risorse energetiche al fabbisogno locale per i servizi di base, quale ad esempio il riscaldamento delle case.
In realtà la grande quantità di nuovi posti di lavoro prospettata quando venne presentato il progetto è rimasta una chimera e sia in Azerbaijan che in Georgia la costruzione dell’opera ha offerto ben poche opportunità alla popolazione locale che è rimasta preda della grave piaga della disoccupazione. In Georgia a fronte della promessa di 70.000 nuove assunzioni solo 250 persone sono state in realtà assunte in maniera permanente. La manodopera locale spesso è stata “usata” solamente per brevi periodi di tempo, adibita alle mansioni più umili e pericolose a fronte di salari estremamente bassi e turni di lavoro massacranti. Molte comunità locali hanno sollevato accuse di sfruttamento e di lacune assicurative per i lavoratori, corruzioni nel reclutamento e boicottaggi delle attività sindacali. A causa di ciò, soprattutto nelle regioni di Krtsanisi e Borjomi sono avvenuti centinaia di scioperi che hanno ostacolato i lavori, con più di 80 casi solamente durante il primo mese di costruzione. Nel mese di ottobre 2004 in Azerbajan è stata aperta un’inchiesta concernente alcuni lavoratori i cui turni di lavoro erano di 12 ore al giorno per sette giorni la settimana, in aperta contraddizione con la legislazione del lavoro vigente. In Georgia il sindacato nazionale “Georgian Trade Union Amalgation” ha guidato una manifestazione contro il BTC contestando il fatto che le leggi sul lavoro della Georgia venivano sistematicamente violate a causa della pressione esercitata sui lavoratori per rispettare le rigide scadenze del piano di costruzione. Anche in questo caso i lavoratori venivano costretti a turni di 12/14 ore al giorno sette giorni su sette, per assicurarsi uno stipendio minimo.
Numerose ed estremamente tragiche sono state anche le problematiche connesse all’esproprio dei terreni attraverso i quali avrebbe dovuto passare l’oleodotto. Oltre 30.000 contadini che si trasmettevano da secoli la terra di generazione in generazione, senza essere in possesso di un titolo di proprietà riconosciuto, hanno visto espropriati i propri terreni senza alcun rimborso o nel migliore dei casi a fronte di un rimborso del tutto insufficiente a garantire la loro stessa sopravvivenza. Tanto in Georgia quanto in Azerbaijan si sono riscontrati molti casi di corruzione da parte dei funzionari preposti all’assegnazione dei risarcimenti per l’esproprio dei terreni sia privati che pubblici e sono state numerose le occupazioni illegali di terreni non formalmente venduti. Anche in Turchia la situazione non si è rivelata assolutamente migliore e il “Kurdish Human Rights Project” ha inoltrato alla Corte Europea un caso di violazione dei diritti umani concernente 38 villaggi colpiti dai lavori di costruzione dell’oleodotto, dichiarando diverse violazioni della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Sono stati contestati l’uso illegale delle terre private senza il pagamento di risarcimenti, gli espropri coattivi, il sottopagamento dei terreni, le intimidazioni, l’assoluta assenza di consultazioni pubbliche, il mancato risarcimento dei danni collaterali ai terreni e alle proprietà.
Numerose e molto estese sono state le proteste di piazza e le contestazioni contro la costruzione del BTC, spesso represse in maniera violenta attraverso l’uso della forza. Nel mese di maggio 2004 Ferhat Kaya, un difensore dei diritti umani turco è stato detenuto e probabilmente torturato per avere manifestato insieme con gli abitanti di alcuni villaggi danneggiati dall’oleodotto. In Azerbaijan sono state segnalate molte violazioni dei diritti umani, consistenti in arresti e detenzioni arbitrarie, nei confronti di chi si è opposto alla costruzione del BTC. Nel villaggio di Nardaran alla periferia di Baku si sono svolte molte manifestazioni pacifiche a partire dal 2002, l’ultima delle quali dispersa con la forza dalla polizia che ha ucciso un manifestante e ne ha feriti una sessantina. In Georgia nel mese di settembre 2003 una manifestazione ambientalista pacifica contro il BTC è stata duramente repressa dalla polizia locale che ha ferito molti manifestanti.
I lavori di costruzione dell’oleodotto sono inoltre stati contraddistinti da una lunga sequela di scandali aventi come oggetto i materiali inadeguati e scadenti utilizzati per la realizzazione delle tubature, con conseguente grave rischio di versamenti di greggio ed incidenti futuri.
Nel mese di novembre 2003 la BP, dopo avere scoperto la rottura di un rivestimento della tubatura, sospese segretamente i lavori di costruzione in Azerbaijan e in Georgia per 10 settimane, in quanto più di un quarto delle giunture in Georgia erano state danneggiate. L’azienda sostenne in seguito di avere provveduto alla riparazione delle rotture attraverso trattamenti ad alta temperatura, ma analoghe esperienze passate hanno rivelato l’assoluta inefficacia di una soluzione di questo tipo.
Nel mese di febbraio 2004 il Sunday Times rivelò che per gran parte delle giunture in Azerbaijan e in Georgia era stata usata una vernice sbagliata e si sarebbe reso necessario dissotterrare e rivestire nuovamente larga parte dell’oleodotto.
Nel mese di giugno 2004 alcuni ingegneri che hanno contribuito alla costruzione del tratto turco dell’oleodotto denunciarono numerosi difetti nel metodo di costruzione delle tubature, quali l’utilizzo di materiali inappropriati e l’incapacità da parte del personale specializzato di identificare faglie sismiche in una regione ad elevato rischio di terremoti. Secondo le parole degli ingegneri, tutti con più di 20 anni di carriera nel campo specifico, la costruzione del tratto turco dell’oleodotto sarebbe stata costellata da una serie di gravi incompetenze, dall’impiego di manodopera inadeguata e da inappropriati tagli dei costi. Nel dettaglio non sarebbero stati consultati gli specialisti adeguati per le consulenze ingegneristiche, si sarebbero usati metodi e materiali inadatti che non potranno assolvere alla funzione per cui erano previsti, non sarebbero state rispettate le procedure e le indicazioni specifiche previste dal progetto. Inoltre non ci sarebbe stato alcun controllo di qualità, si sarebbe impiegato personale non adeguatamente qualificato e formato, sarebbero state ignorate elementari misure di precauzione riguardanti l’ambiente, la salute e la sicurezza e per finire non ci sarebbero stati controlli sulle imprese locali che hanno contribuito alla fornitura dei materiali necessari per la costruzione dell’oleodotto, molte delle quali hanno poi dichiarato fallimento.
Se sono molte le preoccupazioni connesse agli aspetti tecnici della costruzione del BTC, altrettanti allarmi desta l’estrema vulnerabilità dell’oleodotto, particolarmente esposto ai pericoli derivanti da eventuali conflitti armati ed attentati terroristici, attraversando una regione fra le più instabili del pianeta, con molti focolai di guerre e conflitti irrisolti che rischiano di riacutizzarsi a causa della presenza dell’opera. L’ambasciatore britannico in Azerbaijan Laurie Bristow, in una lettera datata settembre 2004 e citata in un articolo del quotidiano The Guardian, esprimeva dei fortissimi dubbi sulle capacità delle forze di sicurezza azere di far fronte agli incombenti pericoli e metteva in risalto come le varie realtà della società civile locale e internazionale avrebbero dovuto essere valutate molto più attentamente prima di procedere al finanziamento del progetto BTC. A conferma dell’estrema fondatezza di questi timori l’intero percorso dell’oleodotto è presidiato dalle forze armate dei paesi attraversati, coadiuvati in alcuni casi anche da militari dell’esercito USA. La Georgia ha firmato un accordo con la compagnia americana Northtrop Grumman per sviluppare un sistema di monitoraggio dello spazio aereo relativo al BTC attraverso un sistema radar. Inoltre gli Stati Uniti hanno stanziato 11 milioni di dollari finalizzati alla creazione di un corpo militare speciale composto da 400 unità georgiane che saranno direttamente addestrate da ufficiali americani.
Qualunque attentato o azione di sabotaggio rischierebbe comunque di produrre delle conseguenze catastrofiche sia per quanto riguarda l’incolumità fisica degli abitanti che vivono in prossimità della pipeline, sia per quanto riguarda l’integrità ambientale dei territori attraversati dalla stessa.
1 commento:
E' veramente incredibile leggere questo annuncio. Ma naturalmente i telegiornali parlano tanto(quello che gli conviene), ma non di queste cose.
Dato che non sono molto a conoscenza su questo, potresti spiegarmi la situazione tra Russia e Georgia?
L'oleodotto BTC attraversa la Georgia e mi sembra anche l'Ossezia per poter portare il petrolio all'Europa e agli Stati Uniti, così la Russia vuole evitare questo?
Grazie
Michela
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