Questo libro di Marco Cedolin è un ottimo viatico per la formazione di una coscienza correttamente informata sull’attuale virulenta espansione delle cosiddette “grandi opere” su scala planetaria. Dalle grandi dighe alle metropoli galleggianti, passando dai megainceneritori al TAV, il quadro tracciato dall’autore sulla devastazione ambientale globalizzata nel nome del progresso fondato sulla crescita può anche aiutarci a spazzare via qualche radicato luogo comune, a cominciare da quello che il 20% della popolazione mondiale occidentale consuma l’80% delle risorse dell’intero pianeta ed è pertanto la sola responsabile del degrado che sta mettendo a rischio la sopravvivenza dell’uomo sull’intero pianeta: follie come quelle delle 300 isole artificiali di Dubai o della diga cinese delle “Tre Gole” ci avvertono che, come minimo, l’occidente è in cattiva “buona compagnia” e non il solo responsabile di tutti i disastri del pianeta.
Il secondo luogo comune che, grazie al lavoro di Cedolin, possiamo mandare in pensione, è quello che relega il sud del mondo al ruolo di vittima sacrificale del nord economicamente avanzato: nel testo in discorso possiamo infatti trovare una nutrita elencazione di opere costosissime, prime su tutte le grandi dighe, che avranno conseguenze nefaste sugli equilibri ecologici e politici di molti paesi del terzo mondo e che stanno già creando le condizioni per future guerre, con particolare riferimento a quelle per l’acqua. Il sud del mondo, pertanto, è prima di tutto vittima delle sue stesse classi dirigenti, che sono spesso colluse con i poteri occidentali ma in ogni caso responsabili del proprio operato, perché le grandi opere hanno tutte una caratteristica in comune in qualsiasi parte del mondo vengano eseguite: quella di rastrellare e generare grandi movimentazioni di denaro che creano arricchimento per le élites ed impoverimento e degrado ambientale per molti. In questo contesto mi permetto di aggiungere una categoria di grandi opere non inclusa nel lavoro di Cedolin, ossia quella della corsa agli armamenti in generale e alla bomba atomica in particolare, realizzata anche da paesi nei quali grande parte della popolazione vive in condizioni miserabili: paesi che, nonostante questa palese contraddizione, ricevono ingenti risorse a scopi umanitari che finanziano così di fatto la pace sociale ai governi che operano tali politiche guerrafondaie, contribuendo inoltre ad impedire quella crescita politica che, nelle società fortemente diseguali, può avvenire solamente tramite un processo storico di “resa dei conti” tra le popolazioni sottomesse e sfruttate e le loro classi dirigenti.
Le riflessioni indotte dalla lettura di questo bel lavoro di Marco Cedolin ci consigliano pertanto che sarebbe ora di aggiornare l’orologio della storia, cercando finalmente di uscire dal comodo e coccodrillesco piagnisteo sugli eccessi del consumismo nostrano: la ricerca di un placebo esistenziale nello stordimento consumistico è l’unico vero fenomeno multietnico e multiculturale dell’era della globalizzazione, in grado di contagiare anche sistemi sociali con un forte fondamento etico come quello dell’economia e della finanza musulmana (vedi il capitolo “una follia chiamata Dubai”), a testimonianza del fatto che la propensione al delirio di onnipotenza dato dall’eccesso e dallo spreco è una tara etologica dell’essere umano e non una semplice circostanza di tempo e luogo delle società opulente e che, in quanto tale, getta una forte ipoteca sulle possibilità di sopravvivenza della nostra specie sul pianeta.
Conscio di questa realtà, Cedolin non si limita alla stesura di un cahiers de doléance: gli ultimi capitoli sono infatti dedicati alla “psicologia delle grandi opere” e ai “sacerdoti del progresso”, mettendo così a nudo le truffe ideologiche e mediatiche con le quali le grandi opere vengono fatte passare, agli occhi delle popolazioni che prima le finanziano tramite il servaggio fiscale e poi ne sopportano le conseguenze economiche e ambientali, come costruite nell’interesse generale, mentre quello finale, intitolato “l’alternativa della decrescita”, introduce alcuni spunti di riflessione sulla necessità di creare una coscienza politica e morale che possa contrastare la follia dominante della globalizzazione fondata sull’ideologia di una impossibile crescita infinita.
Il secondo luogo comune che, grazie al lavoro di Cedolin, possiamo mandare in pensione, è quello che relega il sud del mondo al ruolo di vittima sacrificale del nord economicamente avanzato: nel testo in discorso possiamo infatti trovare una nutrita elencazione di opere costosissime, prime su tutte le grandi dighe, che avranno conseguenze nefaste sugli equilibri ecologici e politici di molti paesi del terzo mondo e che stanno già creando le condizioni per future guerre, con particolare riferimento a quelle per l’acqua. Il sud del mondo, pertanto, è prima di tutto vittima delle sue stesse classi dirigenti, che sono spesso colluse con i poteri occidentali ma in ogni caso responsabili del proprio operato, perché le grandi opere hanno tutte una caratteristica in comune in qualsiasi parte del mondo vengano eseguite: quella di rastrellare e generare grandi movimentazioni di denaro che creano arricchimento per le élites ed impoverimento e degrado ambientale per molti. In questo contesto mi permetto di aggiungere una categoria di grandi opere non inclusa nel lavoro di Cedolin, ossia quella della corsa agli armamenti in generale e alla bomba atomica in particolare, realizzata anche da paesi nei quali grande parte della popolazione vive in condizioni miserabili: paesi che, nonostante questa palese contraddizione, ricevono ingenti risorse a scopi umanitari che finanziano così di fatto la pace sociale ai governi che operano tali politiche guerrafondaie, contribuendo inoltre ad impedire quella crescita politica che, nelle società fortemente diseguali, può avvenire solamente tramite un processo storico di “resa dei conti” tra le popolazioni sottomesse e sfruttate e le loro classi dirigenti.
Le riflessioni indotte dalla lettura di questo bel lavoro di Marco Cedolin ci consigliano pertanto che sarebbe ora di aggiornare l’orologio della storia, cercando finalmente di uscire dal comodo e coccodrillesco piagnisteo sugli eccessi del consumismo nostrano: la ricerca di un placebo esistenziale nello stordimento consumistico è l’unico vero fenomeno multietnico e multiculturale dell’era della globalizzazione, in grado di contagiare anche sistemi sociali con un forte fondamento etico come quello dell’economia e della finanza musulmana (vedi il capitolo “una follia chiamata Dubai”), a testimonianza del fatto che la propensione al delirio di onnipotenza dato dall’eccesso e dallo spreco è una tara etologica dell’essere umano e non una semplice circostanza di tempo e luogo delle società opulente e che, in quanto tale, getta una forte ipoteca sulle possibilità di sopravvivenza della nostra specie sul pianeta.
Conscio di questa realtà, Cedolin non si limita alla stesura di un cahiers de doléance: gli ultimi capitoli sono infatti dedicati alla “psicologia delle grandi opere” e ai “sacerdoti del progresso”, mettendo così a nudo le truffe ideologiche e mediatiche con le quali le grandi opere vengono fatte passare, agli occhi delle popolazioni che prima le finanziano tramite il servaggio fiscale e poi ne sopportano le conseguenze economiche e ambientali, come costruite nell’interesse generale, mentre quello finale, intitolato “l’alternativa della decrescita”, introduce alcuni spunti di riflessione sulla necessità di creare una coscienza politica e morale che possa contrastare la follia dominante della globalizzazione fondata sull’ideologia di una impossibile crescita infinita.
Recensione a cura di Maurizio Gasparello - 12 agosto 2008
2 commenti:
Appena finito di leggere. Libro estremamemente interessante. Apre gli occhi su molti grossi problemi e ci permette di capire, dati alla mano,in che mani siamo. Bravo Marco!
Enrica
Ciao Enrica,
mi fa molto piacere che il libro ti sia piaciuto.
Un caro saluto
Marco
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