martedì 15 settembre 2009

AFFARI DI STATO


Marco Cedolin
La metamorfosi dell’informazione nel nostro paese non conosce tregua e non si tratterebbe neppure di un fatto in sé preoccupante, se non fosse che ogni mutazione genetica avviene seguendo un piano inclinato peggiorativo in grado di accrescerne la degenerazione.

Anche il palinsesto dei programmi della TV pubblica ed i contratti dei giornalisti che presenziano nelle trasmissioni, riescono così a conquistare le prime pagine dei giornali, sotto forma di una protesta urlata, dai toni decisamente sopra le righe, destinata naturalmente ad inserirsi nel filone della battaglia pro e contro Berlusconi che ormai coinvolge tutti in una bellicosa tenzone dove non si fanno prigionieri.

Lo spostamento della prima puntata del programma Ballarò alla settimana successiva, per dare spazio ad una puntata speciale di Porta a Porta concernente la “consegna” delle prime case ai terremotati d’Abruzzo, è stata l’occasione per scatenare una vera e propria canea che ha trovato ampia eco mediatica, quasi si trattasse di un affare di Stato della massima importanza. Giovanni Floris, noto conduttore del programma (uno dei tanti intrattenimenti salottieri che in Rai e Mediaset dispensano finti duelli all’ultimo sangue fra barbogi uomini politici dei due schieramenti, conditi con disinformazione a pioggia) ha espresso disappunto e rabbia per un atto da lui giudicato immotivato. Massimo D’Alema ha letto nella vicenda un episodio grave e dei segnali molto brutti. Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione del PD, è arrivato perfino ad identificare l’avvenimento con il presunto inizio della “normalizzazione di Rai tre. Pancho Pardi, dell’IDV ha affermato di vedere nella decisione di spostare la puntata di Ballarò, la conferma di un crescente allarme per la libertà d’informazione all’interno della Rai.

Ma per la felicità di chi pensava si stesse facendo in fondo un po’ troppo can can intorno alla contesa di una diretta TV, fra due mediocri programmi (Porta a Porta e Ballarò) che mai hanno potuto nutrire l’ambizione di fare libera informazione, è arrivato Michele Santoro a denunciare una nuova baronata del callido Cagliostro di Arcore, che a suo dire agirebbe “vigliaccamente nell’ombra” per impedire ad alcuni giornalisti di esprimersi. I giornalisti, o meglio il giornalista in questione, sembra essere Marco Travaglio, non proprio qualcuno a cui negli ultimi anni, (Rai 2, Repubblica, L’unità, Blog di Beppe Grillo, almeno una decina di libri con le maggiori case editrici) in Italia sia stato in verità impedito di esprimere le proprie opinioni. Marco Travaglio stando alle parole di Santoro, a poco più di una settimana dal debutto della trasmissione Anno Zero (discreto programma che tenta di fare approfondimento politico in maniera abbastanza ficcante anche se spesso tradendo la partigianeria del conduttore) non avrebbe ancora ricevuto il perfezionamento del contratto, nonostante lo stesso Santoro abbia più volte ribadito che senza Travaglio non esiste neppure Anno Zero.

Si stenta in verità a comprendere per quale arcana ragione in Italia le contese di palinsesto fra i vari programmi ed il perfezionamento dei contratti dei giornalisti debbano diventare affari di Stato, intorno ai quali costruire teoremi politici e discettare della libertà di stampa. Ma al contempo non si può evitare di chiedersi perché mai mentre l’eventuale mancata riconferma di un bravo giornalista che (magari a senso unico) fa informazione può venire letta come il tentativo d’imporre un’orribile censura, l’assoluto ostracismo mediatico esistente da tempo immemorabile nei confronti di tanti bravi giornalisti (penso a Maurizio Blondet, Giulietto Chiesa, Barnard, Massimo Fini e tanti altri) non ha mai prodotto neppure un trafiletto sui giornali, né suscitato l’indignazione dei tanti personaggi che sembrano avere a cuore la libertà d’informazione, solamente quando si tratta di un bene destinato al loro esclusivo uso e consumo?

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