Il
settore alimentare, inteso in maniera omnicomprensiva nell'intero suo
ciclo produzione, distribuzione e consumo è stato stravolto così
profondamente nel corso dell'ultimo secolo da rendere necessaria una
profonda riflessione sulla natura e sugli effetti di tali
stravolgimenti. Noi oggi ingurgitiamo senza ombra di dubbio quantità
di cibo superiori a quelle che mangiavano i nostri nonni.... e godiamo di
una dieta assai più variegata della loro, ma questo non significa
per forza di cose un miglioramento, perché la qualità della nostra
alimentazione non reggerebbe il confronto con quella del passato e
spesso i cibi che gustiamo risultano essere tossici per il nostro
organismo.
Autoproduzione,
agricoltura ed allevamento su piccola scala
Nella prima metà del secolo scorso l'autoproduzione del cibo
costituiva il pilastro sul quale si basava l'alimentazione della
famiglia e non uno stile di vita alernativo per pochi intimi come
accade oggi. Nelle campagne e nelle montagne, non ancora spopolate
dalla migrazione verso la città, praticamente ogni famiglia
coltivava un piccolo appezzamento di terreno e possedeva una stalla
dove allevare il bestiame. Le colture erano quelle permesse dalle
specificità del territorio, facendo si che la dieta risultasse
spesso monotematica e l'esito del raccolto poteva essere pregiudicato
dalle bizze del tempo, ma non venivano usati pesticidi e concimi
chimici, così gli alimenti colti e consumati sul posto si
manifestavano sani e ricchi di potere proteico e vitaminico. Il
bestiame veniva alimentato con i prodotti della terra, anzichè con
mangimi adulterati nelle più svariate maniere e quando possibile
passava la giornata all'aperto, facendo si che la qualità della
carne, degli insaccati, del latte e dei formaggi fosse di gran lunga
superiore rispetto a quella che conosciamo oggi. Gli alimenti
venivano conservati attraverso metodi naturali che non ne
pregiudicavano il potere nutritivo e l'eventuale eccedenza rispetto
al bisogno familiare era oggetto di dono o scambio all'interno della
comunità o poteva essere venduta al mercato.
La
città e le botteghe
All'interno delle città, che ancora non possedevano una dimensione
metropolitana, l'autoproduzione era per forza di cose quasi
inesistente e le famiglie si vedevano costrette ad acquistare tutto
il proprio fabbisogno alimentare. Spesso i "cittadini" si
recavano personalmente presso i cascinali sparsi nella campagna
adiacente per rifornirsi del cibo, oppure acquistavano ciò di cui
avevano bisogno all'interno dei mercati rionali o nelle botteghe. A
prescindere da quale fosse la scelta di ciascuno si trattava sempre
di prodotti derivanti da coltivazioni o allevamenti locali la cui
natura variava in funzione delle stagioni e delle peculiarità del
territorio. Cibi per molti versi "poveri" e scarsamente
variegati che però brillavano per la propria genuinità non avendo
subito alcun trattamento chimico durante tutte le fasi della propria
produzione. Le botteghe cittadine erano generalmente di piccole
dimensioni ed altamente specializzate, gestite il più delle volte da
bottegai che da tutta la vita facevano quel mestiere. Si trattava del
fornaio, del macellaio, del salumiere, del verduriere, del
fruttivendolo, del pescivendolo, del lattaio, del formaggiaio, del
pastaio. Tutte figure professionali di grande esperienza e spesso
tradizione familiare che erano in grado di consigliare adeguatamente
il cliente e generalmente godevano della sua fiducia, all'interno di
un rapporto conviviale formatosi negli anni.
Le fasce meno abbienti della popolazione potevano permettersi di
consumare la carne, gli insaccati, il pesce o comunque gli alimenti
di prezzo più elevato solo saltuariamente ed erano costretti a
ricorrere ad una dieta povera, composta prevalentemente di pasta,
polenta, pane e legumi. Spesso a causa delle ristrettezze economiche
anche la quantità del cibo consumato e conseguentemente il suo
valore calorico erano inferiori al necessario, ma nonostante ciò si
trattava sempre di alimenti assolutamente genuini. Molte persone
soffrivano di carenze vitaminiche (imputabili alla scarsa
disponibilità di cibo) ma le intolleranze alimentari praticamente
non esistevano, l'obesità era rarissima ed i tumori quasi
sconosciuti.
Lo
spopolamento delle campagne e la fuga verso la città
A partire dal primo dopoguerra il fiorire della grande industria
iniziò a produrre un vero e proprio esodo dalle campagne e dalla
montagne verso le città. Nel volgere di un paio di decenni una
miriade di piccoli paesini e frazioni, abitate da persone che
vivevano grazie all'autoproduzione, si spopolarono completamente. I
giovani scelsero in massa di andare a lavorare in fabbrica, dove i
salari consentivano di condurre una vita più agiata, anziché
continuare a coltivare la terra ed allevare bestiame per la mera
sopravvivenza o poco più.
Di contralto le città iniziarono ad espandersi in maniera
esponenziale, raddoppiando quando non perfino triplicando (come
accadde nelle grandi città del nord che raccolsero anche la
migrazione dall'Italia meridionale) il numero dei propri abitanti.
Vennero creati sempre nuovi quartieri ed il numero delle botteghe
iniziò a crescere a dismisura.
Contemporaneamente il progredire della tecnologia aveva messo a
disposizione delle famiglie gli elettrodomestici e fra questi i
frigoriferi dove poter conservare i cibi, al contempo il progredire
dei mezzi di trasporto e della rete stradale iniziava a consentire lo
spostamento di grandi quantità di merce su distanze sempre maggiori,
a fronte di costi via via inferiori.
Nasce
l'industria alimentare
La presenza di un numero sempre più consistente di persone costrette
ad acquistare il proprio intero fabbisogno alimentare, non essendo
più in grado di autoprodurre nulla, unitamente alle accresciute
capacità tecnologiche e alla possibilità di trasferire le merci per
centinaia di km con costi tutto sommato irrisori, furono le
principali molle che innescarono una vera e propria rivoluzione
nell'ambito della produzione di alimenti. L'industria alimentare
sostituì di fatto i produttori tradizionali, ma ad essere
rivoluzionata in profondità fu la stessa concezione di cibo,
trasformatosi da alimento a prodotto, affiancato nella sua nuova
natura a tutte le altre merci esistenti.
La sostituzione degli alimenti con i prodotti alimentari, unitamente alla necessità di disporre di sempre più "materia prima", indispensabile per sfamare le moltitudini che non producevano più nulla, cambiò radicalmente la scala dell'agricoltura e dell'allevamento. I piccoli appezzamenti coltivati dai contadini, destinati in larga parte all'autoproduzione, lasciarono il posto alle coltivazioni su larga scala, così come le stalle delle cascine furono sostituite dagli allevamenti intensivi praticati con metodi industriali. Alla base di tutta questa metamorfosi la parola d'ordine fu la massimizzazione del profitto, spesso ottenuta per mezzo della tecnologia e della chimica.
La sostituzione degli alimenti con i prodotti alimentari, unitamente alla necessità di disporre di sempre più "materia prima", indispensabile per sfamare le moltitudini che non producevano più nulla, cambiò radicalmente la scala dell'agricoltura e dell'allevamento. I piccoli appezzamenti coltivati dai contadini, destinati in larga parte all'autoproduzione, lasciarono il posto alle coltivazioni su larga scala, così come le stalle delle cascine furono sostituite dagli allevamenti intensivi praticati con metodi industriali. Alla base di tutta questa metamorfosi la parola d'ordine fu la massimizzazione del profitto, spesso ottenuta per mezzo della tecnologia e della chimica.
In
campo agricolo l'uso dei pesticidi permise di ottenere un rendimento
più alto delle coltivazioni, così come i concimi chimici elevarono
la redditività dei terreni. Nell'allevamento le stalle ed i pollai
si trasformarono in immensi capannoni, dove gli animali
sopravvivevano stipati l'uno accanto all'altro senza mai vedere la
luce del sole. Il fieno ed i tradizionali prodotti della terra furono
sostituiti dai mangimi con additivi chimici e man mano anche larga
parte dell'intervento umano lasciò spazio alle macchine, nella
mungitura, così come nella macellazione. Iniziò anche
la pratica dell’agricoltura all'interno delle serre per la
coltivazione a raccolto continuo, in modo da ottenere qualsiasi
prodotto in tutte le stagioni
Ai tradizionali alimenti sfusi iniziarono ad affiancarsi i prodotti
confezionati, risultato della lavorazione industriale, che ottennero
in maniera sempre maggiore i favori dei consumatori. Nacquero così
tutta una nuova serie di prodotti, dai formaggini agli hamburger,
dalle merendine ai piselli in scatola, dai bastoncini di pesce ai
concentrati di pomodoro, dai dadi alla maionese in tubetto, dalle
patatine alle tavolette di cioccolata, dalle sottilette all'orzo
solubile, dai datteri confezionati alle pesche sciroppate e la lista
potrebbe essere infinita.
La dieta della popolazione progressivamente cambiò in maniera radicale e diventò sempre più varia. La carne prodotta negli allevamenti intensivi costava meno e anche le famiglie che non erano benestanti potevano permettersela frequentemente, alla stessa stregua dei salumi e dei formaggi lavorati. Il cibo consumato, in larga parte continuava a dipendere dalla località e dalla stagione ma non si trattava più di una regola, dal momento che iniziavano ad essere apprezzati i prodotti d'importazione. In linea di massima si mangiava molto di più e si sperimentavano cibi nuovi e diversi, ma di contralto iniziava a diminuire la qualità di quello che si metteva in tavola. Le coltivazioni e gli allevamenti intensivi stavano aumentando in maniera esponenziale la disponibilità di cibo e di conseguenza abbassando i prezzi, ma esisteva un prezzo da pagare. Così come esisteva un prezzo da pagare per i trattamenti attraverso i quali venivano creati i prodotti industriali che contribuivano a creare un desco sempre più vario ed appetitoso. Tale prezzo era costituito dalla salute dei cittadini, ormai trasformati in consumatori, che negli anni avrebbero sperimentato sulla propria pelle le conseguenze dei nuovi standard di alimentazione.
La dieta della popolazione progressivamente cambiò in maniera radicale e diventò sempre più varia. La carne prodotta negli allevamenti intensivi costava meno e anche le famiglie che non erano benestanti potevano permettersela frequentemente, alla stessa stregua dei salumi e dei formaggi lavorati. Il cibo consumato, in larga parte continuava a dipendere dalla località e dalla stagione ma non si trattava più di una regola, dal momento che iniziavano ad essere apprezzati i prodotti d'importazione. In linea di massima si mangiava molto di più e si sperimentavano cibi nuovi e diversi, ma di contralto iniziava a diminuire la qualità di quello che si metteva in tavola. Le coltivazioni e gli allevamenti intensivi stavano aumentando in maniera esponenziale la disponibilità di cibo e di conseguenza abbassando i prezzi, ma esisteva un prezzo da pagare. Così come esisteva un prezzo da pagare per i trattamenti attraverso i quali venivano creati i prodotti industriali che contribuivano a creare un desco sempre più vario ed appetitoso. Tale prezzo era costituito dalla salute dei cittadini, ormai trasformati in consumatori, che negli anni avrebbero sperimentato sulla propria pelle le conseguenze dei nuovi standard di alimentazione.
Dalle
botteghe al supermercato
La nascita dell'industria alimentare portò cambiamenti radicali
anche nell'ambito della distribuzione di alimenti all'interno delle
città. Le botteghe inizialmente crebbero di numero, per fare fronte
all'aumento dei clienti, ma ben presto vennero affiancate dal
supermercato che non tardò a fagocitarle progressivamente. Il
supermercato rappresentava la risposta più logica all'interno di un
mondo che iniziava ad andare di fretta ed era l'ambiente più consono
attraverso il quale valorizzare il progresso dell'industria
alimentare. Non più tante botteghe specialistiche dove fare la spesa
chiacchierando ed ascoltando i consigli del bottegaio, ma un unico
grande ambiente omnicomprensivo, dove le massaie (larga parte delle
quali avevano iniziato a lavorare come i loro mariti) potevano
acquistare la carne, i salumi, il latte, la pasta, il pesce, la
verdura, la frutta e tutto ciò che occorresse loro, facendo visita
ad un solo negozio. Sicuramente un grande risparmio di tempo per chi
tutti i giorni usualmente spendeva almeno un paio d'ore in giro per
le varie botteghe, ma anche un risparmio economico dal momento che il
cambiamento di scala permetteva al supermercato di vendere i prodotti
a prezzi più bassi pur lasciando inalterato il margine di guadagno.
Il supermercato raggruppava al proprio interno l'offerta presente in
decine di botteghe, ma al tempo stesso occupava in termini di
personale un esiguo numero di addetti. Senza dubbio il cliente non
aveva più le proprie figure di riferimento con le quali rapportarsi
ed alle quali chiedere consigli, ma la comodità ed il risparmio
economico ne fecero in breve tempo un modello vincente, rendendo
sempre più anacronistiche le botteghe tradizionali.
La
globalizzazione alimentare
Negli ultimi decenni l'industria alimentare ha cambiato ancora una
volta scala, trasformandosi in multinazionale agroalimentare, parte
integrante del processo di globalizzazione che sta plasmando la
società contemporanea a tutti i livelli.
Le città, molte delle quali si sono ormai trasformate in metropoli, hanno completato il proprio processo di crescita demografica, costituiscono aree ad altissima densità urbana, contornate da decine di chilometri di sobborghi che si estendono senza soluzione di continuità. Anche nelle città più piccole e nei paesi l'autoproduzione è praticamente scomparsa, con l'eccezione di quanto viene prodotto negli orti dai pensionati o da una ristretta minoranza di persone che stanno sperimentando stili di vita alternativi.
I paesi di montagna sono in larga parte spopolati, tranne laddove prospera l'industria del turismo.
La stragrande maggioranza del cibo che viene consumato dalla popolazione proviene da coltivazioni ed allevamenti intensivi, buona parte di esso prima di venire immesso sul mercato è lavorato dalle multinazionali alimentari e ormai solo una piccola parte deriva dalla produzione locale.
Le città, molte delle quali si sono ormai trasformate in metropoli, hanno completato il proprio processo di crescita demografica, costituiscono aree ad altissima densità urbana, contornate da decine di chilometri di sobborghi che si estendono senza soluzione di continuità. Anche nelle città più piccole e nei paesi l'autoproduzione è praticamente scomparsa, con l'eccezione di quanto viene prodotto negli orti dai pensionati o da una ristretta minoranza di persone che stanno sperimentando stili di vita alternativi.
I paesi di montagna sono in larga parte spopolati, tranne laddove prospera l'industria del turismo.
La stragrande maggioranza del cibo che viene consumato dalla popolazione proviene da coltivazioni ed allevamenti intensivi, buona parte di esso prima di venire immesso sul mercato è lavorato dalle multinazionali alimentari e ormai solo una piccola parte deriva dalla produzione locale.
Le botteghe sono praticamente scomparse e sopravvivono solamente nei
piccoli paesi molto decentrati o nei centri cittadini, grazie ad una
clientela di nicchia che può permettersi di acquistare cibo
potenzialmente più sano a prezzi nettamente superiori. Gli
ipermercati, spesso situati all'interno d'immensi centri commerciali,
hanno monopolizzato larga parte del mercato alimentare, affiancati
dalle grandi catene di discount e da una rete capillare di
supermercati appartenenti a svariate catene di distribuzione.
Esistono offerte di cibo per tutte le tasche ed una varietà infinita di prodotti differenti, si possono acquistare frutta fresca e cibi surgelati provenienti da ogni parte del mondo, gli insaccati ed i formaggi oltre che freschi possono venire acquistati in confezioni a lunga conservazione, praticamente qualsiasi cibo è acquistabile anche nella versione surgelata, zuppe, minestre, paste e risotti occupano lo spazio di una busta da lettere nella loro versione liofilizzata che in una quindicina di minuti di cottura può venire servita in tavola. I consumatori praticano i propri acquisti muniti di un carrello e all'interno degli ipermercati posso acquistare praticamente qualsiasi cosa, dal cibo al dentrificio, dalle ruote per la macchina al televisore, dalle pentole ai quaderni per la scuola, dai capi di abbigliamento ai profumi. Il tutto recandosi presso un solo punto vendita in grado di rispondere a qualsiasi necessità, aperto dal primo mattino fino alla tarda sera (ed in alcuni casi perfino la notte) anche durante i giorni festivi.
Esistono offerte di cibo per tutte le tasche ed una varietà infinita di prodotti differenti, si possono acquistare frutta fresca e cibi surgelati provenienti da ogni parte del mondo, gli insaccati ed i formaggi oltre che freschi possono venire acquistati in confezioni a lunga conservazione, praticamente qualsiasi cibo è acquistabile anche nella versione surgelata, zuppe, minestre, paste e risotti occupano lo spazio di una busta da lettere nella loro versione liofilizzata che in una quindicina di minuti di cottura può venire servita in tavola. I consumatori praticano i propri acquisti muniti di un carrello e all'interno degli ipermercati posso acquistare praticamente qualsiasi cosa, dal cibo al dentrificio, dalle ruote per la macchina al televisore, dalle pentole ai quaderni per la scuola, dai capi di abbigliamento ai profumi. Il tutto recandosi presso un solo punto vendita in grado di rispondere a qualsiasi necessità, aperto dal primo mattino fino alla tarda sera (ed in alcuni casi perfino la notte) anche durante i giorni festivi.
La società si è trasformata profondamente, appiattendosi sul
modello importato dagli Stati Uniti ed incarnando lo spirito della
globalizzazione che ha progressivamente trasormato il mondo intero in
unico grande mercato uguale per tutti. Anche le abitudini alimentari
della popolazione si sono adeguate al nuovo stato di cose. Il panino
o un piattino veloce al bar spesso sostituiscono il pranzo, fare la
spesa non è più un'incombenza quotidiana, all'interno di famiglie
che vanno sempre più di fretta e devono vivere in funzione di orari
di lavoro sincopati il tempo dedicato a preparare il pranzo o la cena
si è ridotto drasticamente. Spesso i surgelati ed i piatti pronti
hanno sostituito la cucina tradizionale, essendo possibile prepararli
in pochi minuti e conservarli per lungo tempo dopo che li si è
acquistati.
In linea di massima si mangia molto, ma in maniera assai disordinata e ci si nutre in larga misura di cibo "industrializzato" creato con lo scopo di soddisfare il nostro palato, ma spesso nocivo per il nostro organismo ed estremamente povero di sostanze nutrienti.
In linea di massima si mangia molto, ma in maniera assai disordinata e ci si nutre in larga misura di cibo "industrializzato" creato con lo scopo di soddisfare il nostro palato, ma spesso nocivo per il nostro organismo ed estremamente povero di sostanze nutrienti.
Il
cibo industrializzato
I prodotti derivanti dalle coltivazioni, dagli allevamenti e dalla
pesca intensivi, oltre a contenere meno principi nutritivi di quanti
ne possedessero gli alimenti di un tempo, sono per forza di cose
molto più insipidi e si presentano con un aspetto più scialbo. Come
se questo non bastasse larga parte di essi deve per esigenze di
mercato venire movimentata attraverso migliaia di chilometri e spesso
subire pesanti processi di conservazione che ne pregiudicano
ulteriormente il potere nutritivo e l'appetibilità.
L'industria alimentare ha l'esigenza imprescindibile di presentare al consumatore un'offerta di cibo che sia il più possibile economica, veloce da mettere in tavola, accattivante, gustosa e durevole, per far si che i propri prodotti abbiano successo. Per raggiungere questo scopo non sono sufficienti le tecniche del marketing pubblicitario, ma occorre intervenire pesantemente sul cibo per mezzo della chimica con lo scopo di ottenere il risultato voluto.
Il cibo industrializzato non è altro che la risultante di una produzione alimentare di qualità scadente, alla quale sono stati aggiunti additivi di ogni sorta, perchè si presenti bello ai nostri occhi e gustoso per il nostro palato, inducendoci ad acquistarlo sugli scaffali del supermercato ed a consumarlo con piacere secondo le nostre esigenze.
L'industria alimentare ha l'esigenza imprescindibile di presentare al consumatore un'offerta di cibo che sia il più possibile economica, veloce da mettere in tavola, accattivante, gustosa e durevole, per far si che i propri prodotti abbiano successo. Per raggiungere questo scopo non sono sufficienti le tecniche del marketing pubblicitario, ma occorre intervenire pesantemente sul cibo per mezzo della chimica con lo scopo di ottenere il risultato voluto.
Il cibo industrializzato non è altro che la risultante di una produzione alimentare di qualità scadente, alla quale sono stati aggiunti additivi di ogni sorta, perchè si presenti bello ai nostri occhi e gustoso per il nostro palato, inducendoci ad acquistarlo sugli scaffali del supermercato ed a consumarlo con piacere secondo le nostre esigenze.
L'elenco delle sostanze attraverso le quali viene manipolato il cibo
industrializzato è praticamente infinito, ma sostanzialmente le
principali categorie di additivi sono:
i dolcificanti, attraverso i quali vengono edulcorati i prodotti per
renderli piacevoli al palato, costituiti principalmente da zucchero
raffinato, sciroppo di fruttosio e di glucosio ed aspartame.
i conservanti, necessari per preservare più a lungo l'integrità dei
prodotti, fra questi nitrati e nitriti, acido benzoico e sali
derivanti, derivati fenolici, tiabendazolo e netamicina.
i coloranti, usati per conferire un colore appetibile agli alimenti o
restituire loro la colorazione originaria, composti da elementi di
origine naturale estratti o ottenuti per sintesi chimica.
gli aromatizzanti, aggiunti per restituire sapore a cibi altrimenti
divenuti insipidi, etichettati come aromi naturali o aromi
artificiali a seconda del fatto che li si sia ricavati o meno da un
alimento.
i grassi artificiali trans idrogenati, largamente usati negli oli
vegetali, nella margarina e più in generale nei condimenti dei cibi
pronti, in virtù della loro economicità e della capacità di
prolungare nel tempo la data di scadenza del prodotto.
gli esaltatori del gusto, indispensabili per rendere appetibili cibi
che altrimenti sarebbero poco gustosi, glutammato monosodico,
derivati dell'acido fosforico, polifosfati di sodio, di potassio, di
calcio.
Non è semplice fare una stima di quante e quali conseguenze possano
avere sul nostro organismo una tale ridda di sostanze chimiche
qualora ingerite per anni e con continuità. Molte di loro provocano
senza dubbio l'obesità, come dimostrato da un'ampia letteratura
scientifica in materia. Altre inducono la distruzione della flora
intestinale. Altre ancora favoriscono l'insorgere delle malattie
cardiovascolari, dei tumori, del diabete, della demenza senile e dei
disturbi della memoria, di alcune malattie autoimmuni e delle
allergie alimentari.
Mangiare
di più non significa per forza di cose mangiare meglio
Ritornando al confronto con i nostri nonni, noi oggi senza ombra di
dubbio mangiamo cibi più sfiziosi di loro, abbiamo modo di variare
la nostra dieta a piacimento, ci rimpinziamo fino ad essere sazi e
con un solo viaggio dentro a un ipermercato possiamo fare la spesa
per una settimana. Di contralto loro, pur disponendo di ridotte
quantità di cibo, dovendosi accontentare di diete monotematiche e
soffrendo spesso la fame, consumavano alimenti più sani e nutrienti
dei nostri che non necessitavano di alcun additivo chimico per essere
giudicati buoni ed appetibili.
L'alimentazione dei nostri nonni, in larga parte autoprodotta con sudore, era un toccasana per l'organismo che soffriva di carenze alimentari e vitaminiche solamente qualora le quantità di cibo disponibili non fossero state sufficienti.
La nostra alimentazione, prevalentemente composta di cibo industrializzato, offre al nostro organismo enormi quantità di calorie "vuote" a fronte di scarsissime proprietà nutrienti, intossica il nostro corpo provocando malattie che in larga parte al tempo dei nostri nonni erano sconosciute o avevano incidenza bassissima (classificate come malattie del benessere) e ci da l'illusione di gustare pranzi gustosi ed accattivanti ingannando chimicamente i nostri sensi.
L'alimentazione dei nostri nonni, in larga parte autoprodotta con sudore, era un toccasana per l'organismo che soffriva di carenze alimentari e vitaminiche solamente qualora le quantità di cibo disponibili non fossero state sufficienti.
La nostra alimentazione, prevalentemente composta di cibo industrializzato, offre al nostro organismo enormi quantità di calorie "vuote" a fronte di scarsissime proprietà nutrienti, intossica il nostro corpo provocando malattie che in larga parte al tempo dei nostri nonni erano sconosciute o avevano incidenza bassissima (classificate come malattie del benessere) e ci da l'illusione di gustare pranzi gustosi ed accattivanti ingannando chimicamente i nostri sensi.
Non sempre il progresso equivale ad un miglioramento, lo dimostra
chiaramente il fatto che l'industria alimentare dei nostri giorni per
impostare tecniche di marketing che risultino efficaci sta volgendo
lo sguardo sempre più frequentemente al passato. Il mercato dei cibi
biologici e naturali risulta essere senza dubbio quello in maggiore
espansione, come dimostra il fatto che in ogni ipermercato stiano
sorgendo corner sempre più ampi dedicati a questo genere di
prodotti. Le parole "genuino", "tradizionale",
"vecchio", "antico", "naturale",
accanto alle diciture senza grassi aggiunti, senza zuccheri aggiunti,
senza conservanti, senza polifosfati, stanno diventando il leit motiv
di ogni messaggio pubblicitario legato all'alimentazione.
Il fatto che per continuare a vendere cibo in quantità sempre maggiori l'industria alimentare debba strizzare l'occhio ai nostri nonni dovrebbe farci capire facilmente chi fra noi e loro in fondo mangiasse meglio. Resta solamente da comprendere quanto vi sia di reale in questo tentativo di ritorno alle origini, dal momento che dopo avere ingannato i nostri sensi per mezzo della chimica, anche il cibo genuino che ci viene offerto sugli scaffali potrebbe essere parte dell'ennesima illusione costruita artificialmente a nostro uso e consumo.
Il fatto che per continuare a vendere cibo in quantità sempre maggiori l'industria alimentare debba strizzare l'occhio ai nostri nonni dovrebbe farci capire facilmente chi fra noi e loro in fondo mangiasse meglio. Resta solamente da comprendere quanto vi sia di reale in questo tentativo di ritorno alle origini, dal momento che dopo avere ingannato i nostri sensi per mezzo della chimica, anche il cibo genuino che ci viene offerto sugli scaffali potrebbe essere parte dell'ennesima illusione costruita artificialmente a nostro uso e consumo.
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