Marco Cedolin
Confidustria a più riprese rimbrotta contro la decisione del governo di sospendere le concessioni relative alle grandi opere non ancora cantierizzate, fra le quali alcune tratte TAV, lamentando il fatto che l’istituzione delle gare di appalto allontanerà nel tempo la partenza dei lavori. Il governo e tanta buona stampa scoprono improvvisamente ciò che in tanti ripetevamo da anni inascoltati, e cioè come le tratte TAV nostrane stiano costando mediamente tre volte più di quanto non accada negli altri paesi e 4 volte di più di quella che era la spesa preventivata. Mauro Moretti, Amministratore Delegato di RFI imputa il rialzo dei costi alle compensazioni di cui vengono fatte oggetto le voraci amministrazioni locali, dimenticando come solo grazie a questa sorta di “dispersione di denaro a pioggia” sia stato possibile indurre comuni e province a “chiudere entrambi gli occhi” sulla devastazione ambientale imposta ai loro territori.
Ma mentre si percepisce nettamente la sensazione che le nuove gare di appalto, spacciate come la panacea per tutti i mali, lungi dal risolvere il problema in qualche sua parte, si dimostreranno semplicemente l’ennesimo esempio di spoil system all’italiana, finalizzato alla raccolta di nuove prebende, le grandi opere già cantierizzate continuano a procedere regolarmente, anche quando si tratta di progetti senza senso che la logica avrebbe consigliato di “cestinare” senza alcuna esitazione.
E’ il caso del Mose i cui lavori devastanti vanno avanti celermente nella completa indifferenza del mondo politico, affinché si arrivi al più presto al fatidico punto di “non ritorno”.
Tutto ciò dopo che il 12 novembre 2006 il Consiglio dei Ministri ha approvato a maggioranza una relazione presentata dal Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, nella quale sono stati respinti tutti i progetti alternativi presentati ed esaminati nelle precedenti riunioni tecniche, dando in questo modo via libera alla prosecuzione dei lavori che nel frattempo il governo si era comunque rifiutato d’interrompere anche solo temporaneamente.
Il Mose, come il TAV è una sorta di anacronistico dinosauro che nonostante le sue molteplici criticità e la natura obsoleta di un progetto “pensato” sul finire degli anni 80 è riuscito ad arrivare fino ai nostri giorni con la condivisione di tutti i governi che in quasi 20 anni si sono succeduti.
L’opera si propone di risolvere il grave problema delle acque alte che affligge Venezia e la sua laguna, attraverso una serie d’interventi invasivi e costosissimi del tutto inadeguati ad affrontare un fenomeno complesso e dalle cause composite come quello delle alte maree.
Nel corso dell’ultimo secolo il dislivello fra il suolo di Venezia e il livello del mare si è ridotto di circa 25 cm. facendo si che i disagi connessi all’acqua alta (allagamento di piazze, abitazioni ed esercizi commerciali) siano aumentati in maniera considerevole fino a mettere a repentaglio in propensione futura la stessa sopravvivenza della città.
L’intenso incremento dell’intensità e frequenza delle alte maree è quasi totalmente da imputarsi ad una serie d’interventi umani ispirati unicamente alla creazione del profitto, senza prestare alcuna attenzione ai delicati equilibri ambientali che caratterizzano la laguna. Gli esempi più eclatanti si possono riscontrare nel dissesto idrogeologico del territorio lagunare, indotto dall’approfondimento delle bocche di porto e dagli scavi dei canali portuali al fine di consentire il transito delle super petroliere, con la conseguenza di trasformare la laguna in un vero e proprio braccio di mare. Nella devastante serie di bonifiche che hanno sottratto il 30% dell’intera superficie lagunare all’espansione di marea, spesso per insediare stabilimenti industriali ed infrastrutture e nello sfruttamento indiscriminato delle acque di falda usate per alimentare e raffreddare i cicli produttivi del polo industriale di Porto Marghera.
Il Mose, contravvenendo apertamente ai criteri fondamentali della Legge Speciale per Venezia (reversibilità, gradualità, flessibilità e sperimentabilità) non tenta di porre rimedio alle cause del problema delle acque alte, così come invece fanno tutti i progetti alternativi, ma interviene semplicemente sul fenomeno, ostentando gli stessi atteggiamenti invasivi ed impattanti che il problema hanno contribuito ad ingenerarlo.
Il fulcro del sistema Mose sarà costituito da 79 paratoie d’acciaio pesanti circa 350 tonnellate e lunghe fino a 30 metri, che verranno posizionate alle bocche di porto, incernierate dentro a cassoni di calcestruzzo armato del peso di 12.500 tonnellate l’uno. Tali paratoie ripiene d’acqua e affiancate l’una all’altra in modo da creare una barriera, in condizione di riposo resteranno adagiate nelle loro strutture di alloggiamento senza sporgere al di sopra del fondale. Nel caso di maree superiori ai 110 cm. le paratoie verranno svuotate tramite l’immissione di aria compressa e si solleveranno fino ad emergere ruotando intorno all’asse delle cerniere, creando così una sorta di diga mobile in grado d’isolare temporaneamente la laguna dal mare.
Oltre alle paratoie il progetto comporterà l’installazione di 12.000 pali di cemento armato e di 5960 palancole metalliche lunghe fino a 28 metri, lo sbancamento dei fondali alle bocche di porto dragando circa 5.000.000 di m³ di materiale sedimentato attraverso centinaia di anni e la ricopertura degli stessi (al fine di proteggerli dall’erosione marina) con 8.575.000 tonnellate di pietrame proveniente da cave nazionali ed estere. Ci sarà spazio perfino per la costruzione di una vera e propria isola artificiale della lunghezza di 500 metri, destinata a fare da spalla per le barriere mobili e ad ospitare i generatori a gasolio di potenza assimilabile a quella di una centrale elettrica, indispensabili per la produzione dell’aria compressa.
Già attraverso la lettura di questi dati si può comprendere l’assurdo “gigantismo infrastrutturale” del Mose, destinato a tradursi inevitabilmente in un altissimo costo di costruzione, circa 4,3 miliardi di euro, di gestione, circa 60 milioni di euro l’anno e nei lunghissimi tempi che sarebbero necessari per portare a termine il progetto, circa 10 anni. Appare inoltre evidente come la messa in essere di opere così faraoniche e fortemente impattanti sull’ecosistema lagunare abbia per forza di cose carattere di assoluta irreversibilità.
Oltre alle criticità connaturate nella sua prerogativa di violentare in maniera irreversibile il territorio, il sistema Mose si presenta come un progetto di scarsa utilità nel preservare Venezia dal fenomeno delle acque alte, poiché intervenendo solo quando l’alta marea supera i 110 cm. rimedierebbe solo al 5% degli allagamenti che si verificano ogni anno. I dati statistici concernenti l’ultimo decennio indicano infatti che una struttura come quella del Mose si sarebbe attivata mediamente solamente tre volte l’anno, a fronte di oltre una cinquantina di casi annui di acque alte minori di 110 cm. che avrebbero continuato a creare danni e disagi nonostante la presenza dell’opera. Inoltre se nei prossimi decenni continuerà l’innalzamento del livello marino in conseguenza dell’effetto serra, come ampiamente previsto dagli scienziati, il Mose perderebbe anche la poca utilità residuale, diventando di fatto completamente inutilizzabile.
Se alla probabile scarsa o nulla utilità del progetto aggiungiamo i pericoli legati alla possibilità d’infiltrazioni di gas metano e anidride solforosa attraverso le solette dei manufatti in calcestruzzo, la pesante penalizzazione delle attività di pesca in laguna, i gravi intralci alla navigazione dei pescherecci che verranno a determinarsi, i danni al turismo indotti da almeno 10 anni di grandi cantieri, ecco che abbiamo il quadro generale di un’opera destinata a danneggiare tutti coloro che avrebbero dovuto trarne vantaggio, per compiacere invece un unico soggetto.
Tale soggetto è rappresentato dal Consorzio Venezia Nuova, un potente pool d’imprese che in qualità di General Contractor si pone come concessionario unico per gli studi, le progettazioni e la messa in essere dell’intero complesso d’infrastrutture che verranno finanziate interamente attraverso il denaro dei contribuenti.
All’interno del Consorzio Venezia Nuova possiamo ammirare quasi tutti i nomi di spicco dell’imprenditoria delle costruzioni che da decenni stanno accumulando immense fortune finanziarie attraverso la costruzione delle grandi infrastrutture in Italia e nel mondo e che a breve si spartiranno le nuove gare di appalto proposte dal governo, da Impregilo (vera e propria multinazionale del cemento e del tondino) ad Astaldi (altro colosso del settore) passando attraverso l’Impresa Costruzioni ing. E. Mantovani s.p.a. (monopolista delle costruzioni in veneto) e svariate società facenti parte dei gruppi IRI, ENI e Mazzi.
Ancora una volta, come nel caso dell’Alta Velocità ferroviaria, lo Stato invece di procedere al risanamento della laguna e delle ferrovie che versano in condizioni disastrose, preferisce destinare somme estremamente rilevanti (che i nostri conti pubblici non possono permettersi) nella costruzione di opere mastodontiche ed estremamente impattanti che anziché risolvere i problemi preesistenti aumenteranno l’indebitamento pubblico e ne creeranno di nuovi.
Ancora una volta l’interesse dei grandi gruppi di potere finanziario ed economico, incarnati dalla consorteria del cemento e del tondino, viene anteposto a quello della collettività, senza nessun rispetto per gli equilibri ambientali e per la salute del territorio.
Non a caso fra coloro che continuano e continueranno a combattere contro il Mose, oltre ai Comitati spontanei di cittadini confluiti nell’Assemblea Permanente NO Mose e alle associazioni ambientaliste, troviamo il Comune e la Provincia di Venezia, proprio coloro che il Mose si proporrebbe di “salvare”.
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