mercoledì 25 novembre 2009

LE CHIUSURE FIAT PARTONO DA TERMINI IMERESE


Marco Cedolin
L’intenzione del gruppo FIAT di smantellare almeno tre stabilimenti italiani, fra i quali quello di Termini Imprese, era già nota fin dal mese di maggio, quando in occasione del tentativo di acquisire Opel, Sergio Marchionne, al tempo blandito dalla politica e dai media come il salvatore dell’italianità, presentò il progetto Fenice che oltre a Termini Imprese prevedeva la chiusura di Pomigliano e dello stabilimento Pininfarina di S.Giorgio Canavese.
Oggi che questi intendimenti stanno iniziando a concretarsi, contemporaneamente all’annuncio di FIAT relativo a nuovi periodi di cassa integrazione per diversi stabilimenti (fra cui anche Termini Imerese) a cavallo della fine dell’anno, il governo sembra cominciare a mostrarsi preoccupato per la questione.

Il ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola, dopo avere dichiarato che “sarebbe folle far morire un polo industriale come Termini Imerese, su cui nel tempo sono stati fatti investimenti importanti” ha anticipato alcuni degli argomenti che il governo porterà all’incontro fissato per il primo dicembre con l’amministratore delegato Sergio Marchionne.
Alla FIAT che ritiene siano troppi 6 stabilimenti in Italia e considera troppo costoso produrre in un impianto come quello di Termini Imerese, Scajola risponde mettendo in evidenza l’anomalia italiana (fra i paesi dove è storicamente forte l’industria dell’auto) costituita dal fatto di produrre meno auto di quante non se ne immatricolino. Auspica un aumento della produzione di FIAT in ambito nazionale e sottolinea come in Spagna venga prodotto quasi il doppio delle auto prodotte in Italia. Aggiungendo poi che il governo sta preparandosi al confronto anche attraverso l’analisi di una serie di dati comparati con altri paesi, relativi al costo di produzione delle autovetture.
Scajola ha poi anche toccato l’argomento “incentivi” dichiarando che quelli destinati al settore auto, l’anno prossimo saranno con tutta probabilità inferiori, dal momento che le agevolazioni attuali hanno comportato un ridimensionamento della crisi di vendita presente ad inizio anno e le risorse verranno destinate ad altri settori come i mobili e gli elettrodomestici che ancora risultano essere in profonda sofferenza.

Se da un lato si manifesta per molti versi imbarazzante l’azione tardiva e poco convincente del governo, più simile al piagnisteo di un padre che dopo avere foraggiato per anni ogni capriccio del figlio viziato si trova posto di fronte alla sua decisione di andarsene di casa, piuttosto che non ad una presa di posizione forte e motivata, dall’altro risulta disarmante l’assoluta mancanza di strategie volte a costruire un’alternativa all’attuale modello industriale, palesata da parte di tutta la classe politica italiana. Una classe politica che si rifiuta di prendere atto del fatto che settori industriali come quello dell’automobile e degli elettrodomestici, così come quello dell’acciaio e dell’alluminio (pensiamo alle vicende della multinazionale americana Alcoa) non avranno in futuro la possibilità di essere trainanti, così come lo sono stati in passato. I primi perché devono fare i conti, oltre che con gli effetti della globalizzazione, anche con la sempre più progressiva saturazione del mercato, basti pensare che oggi in Italia circolano oltre 35 milioni di autovetture. I secondi in quanto anche se non intervenisse la delocalizzazione, risulterebbero a breve ambientalmente insostenibili a causa dell’enorme dispendio di energia e risorse naturali che comportano. Una classe politica totalmente incapace di rompere i ponti con il passato e comprendere la necessità d’indirizzare gli investimenti in quei settori che presentano ampi spazi di mercato e a parità di produzione riducono il consumo di risorse.
Settori come quello della produzione e distribuzione dell’energia, della ristrutturazione degli edifici secondo criteri di basso assorbimento energetico, della riqualificazione del territorio, del riuso, riutilizzo e riciclo dei rifiuti. Settori che se fossero oggetto di quegli investimenti che fino ad oggi sono stati indirizzati a sostenere colossi industriali (FIAT in testa) attenti solo ai propri interessi, avrebbero le potenzialità per superare sia gli aspetti economici ed occupazionali, sia gli aspetti ambientali della crisi, costituendo in prospettiva un vero e proprio salto di qualità.

1 commento:

Marco F. ha detto...

Una classe politica che si rifiuta di prendere atto del fatto che settori industriali come quello dell’automobile ... non avranno in futuro la possibilità di essere trainanti, così come lo sono stati in passato.

Ben detto. Ma forse ancora più grave è il fatto che pure gli operai (quelli che ci rimetteranno di più) rifiutano di rendersene conto, vedi "Cosa ci faremmo con le auto di Termini Imerese?"