Intervista di Giorgio Cattaneo a Marco Cedolin per il giornale web Terranauta
Marco Cedolin è vero che, in tutti questi anni, le autorità non hanno mai chiaramente dimostrato l’utilità della Torino-Lione?
Verissimo, in tutti questi anni nessuno ha mai dimostrato l’utilità del TAV Torino – Lione, né tanto meno prodotto un serio rapporto sui costi/benefici del progetto.
Se è così, perché?
Per la semplice ragione che sull’asse in oggetto non esistono traffici viaggiatori e commerciali in grado di giustificare un’opera di questo genere. Oltretutto a partire dal 2001 sia il traffico passeggeri che quello merci sulla direttrice Torino – Lione stanno diminuendo in maniera vistosa, 25% in meno di transiti di mezzi pesanti al valico del Frejus solo nel 2008, a dimostrazione del fatto che non esistono i presupposti per la realizzazione del progetto.
Del primo progetto, gli oppositori hanno contestato i maggiori punti di criticità: impatto ambientale devastante, rischi per la salute, costi esorbitanti. Vogliamo riepilogare meglio?
La prima criticità è costituita proprio dal fatto che il TAV Torino – Lione si manifesta come un’opera economicamente priva di senso, dal momento che non esistono anche in propensione futura volumi di traffico tali da giustificare un progetto il cui costo previsto nel 2003 (metà del quale a carico dell’Italia) era 16 miliardi di euro e se in corso d’opera fosse soggetto all’incremento medio riscontrato nelle tratte TAV già costruite in Italia potrebbe lievitare fino a 64 miliardi di euro. Per quanto riguarda gli impatti ambientali la lista è lunghissima, ad iniziare dal rischio di essiccamento ed inquinamento delle sorgenti, così come accaduto nel Mugello, passando attraverso la perforazione di montagne ricche di rocce amiantifere che determinerebbero un incremento esponenziale dei casi di mesotelioma fra la popolazione, per finire con la presenza di giacimenti di uranio all’interno del massiccio dell’Ambin, dove dovrebbe venire scavato il tunnel di base lungo 54 km.
Come mai in Italia i costi dell’alta velocità sono tripli rispetto a quelli francesi?
Verissimo, in tutti questi anni nessuno ha mai dimostrato l’utilità del TAV Torino – Lione, né tanto meno prodotto un serio rapporto sui costi/benefici del progetto.
Se è così, perché?
Per la semplice ragione che sull’asse in oggetto non esistono traffici viaggiatori e commerciali in grado di giustificare un’opera di questo genere. Oltretutto a partire dal 2001 sia il traffico passeggeri che quello merci sulla direttrice Torino – Lione stanno diminuendo in maniera vistosa, 25% in meno di transiti di mezzi pesanti al valico del Frejus solo nel 2008, a dimostrazione del fatto che non esistono i presupposti per la realizzazione del progetto.
Del primo progetto, gli oppositori hanno contestato i maggiori punti di criticità: impatto ambientale devastante, rischi per la salute, costi esorbitanti. Vogliamo riepilogare meglio?
La prima criticità è costituita proprio dal fatto che il TAV Torino – Lione si manifesta come un’opera economicamente priva di senso, dal momento che non esistono anche in propensione futura volumi di traffico tali da giustificare un progetto il cui costo previsto nel 2003 (metà del quale a carico dell’Italia) era 16 miliardi di euro e se in corso d’opera fosse soggetto all’incremento medio riscontrato nelle tratte TAV già costruite in Italia potrebbe lievitare fino a 64 miliardi di euro. Per quanto riguarda gli impatti ambientali la lista è lunghissima, ad iniziare dal rischio di essiccamento ed inquinamento delle sorgenti, così come accaduto nel Mugello, passando attraverso la perforazione di montagne ricche di rocce amiantifere che determinerebbero un incremento esponenziale dei casi di mesotelioma fra la popolazione, per finire con la presenza di giacimenti di uranio all’interno del massiccio dell’Ambin, dove dovrebbe venire scavato il tunnel di base lungo 54 km.
Come mai in Italia i costi dell’alta velocità sono tripli rispetto a quelli francesi?
Per tutta una serie di ragioni che comprendono la perversa architettura finanziaria del sistema TAV italiano, basata sui General Contractor, impedendo di fatto le gare di appalto internazionali, la conformazione montagnosa del nostro paese, molto differente da quella del territorio francese e la natura stessa dell’infrastruttura, più pesante (a causa della velleità di poter supportare i treni merci) e costosa di quella francese.
Nel 2005 la valle di Susa si oppose alla linea, stentando a farsi comprendere dalla comunità nazionale: che diritto ha una comunità locale di fermare una grande opera?
La Val di Susa faticò molto a farsi comprendere dalla comunità nazionale, semplicemente perché a livello mediatico non le fu dato spazio per controbattere attraverso cifre e dati incontrovertibili i vuoti slogan diffusi dalla politica,. Personalmente credo nel diritto all’autodeterminazione dei popoli e ritengo che una comunità locale abbia il dovere di esprimersi in merito alla gestione del territorio in cui vive, sentendosi in diritto di fermare qualunque opera o progetto venga ritenuto pericoloso o dannoso per la comunità stessa, anche qualora spacciato come d’importanza nazionale.
Visto che intanto la rete dell’alta velocità (giusta o sbagliata) si è ormai estesa in Italia e in Europa, non rischia di apparire sempre meno difendibile l’ostruzione della valle di Susa?
In Italia si sta andando verso il completamento (anche se mancano ancora alcuni anni alla chiusura definitiva dei cantieri) dei 1020 km che compongono il progetto primigenio del TAV Torino – Milano – Roma – Napoli. Un’opera sulla quale corrono e correranno esclusivamente treni passeggeri. In Europa gli unici due paesi che hanno investito massicciamente sull’alta velocità sono la Francia e la Spagna ed in entrambi i casi si tratta esclusivamente di un servizio passeggeri. Il TAV Torino – Lione, mancando totalmente i passeggeri, viene sponsorizzato come un’infrastruttura dedicata alle merci e perciò avulsa dal resto del contesto sia italiano che europeo. Chi critica “l’ostruzione della Valle di Susa” dovrebbe iniziare a fare chiarezza sulla questione, spiegando se l’opera sarà costituita da una linea ad alta velocità deputata a trasportare passeggeri che non esistono, collegata con il resto dell’alta velocità italiana ed europea, oppure ambirà al trasporto merci, senza potere essere ritenuta in questo caso parte di un asse internazionale rispetto al quale la Valle di Susa starebbe facendo ostruzione.
Dopo la grande compattezza del 2005 (sindaci e movimento No-Tav), inevitabilmente la “tregua” degli ultimi tre anni ha lasciato spazio a divisioni (tra movimento e sindaci e tra i sindaci stessi) sulla linea da adottare: rifiuto a oltranza oppure mediazione, trattativa, accettazione di contropartite territoriali. In cambio dell’alta velocità, il governo cosa ha proposto alla valle di Susa?
Il governo sostanzialmente ha proposto le stesse compensazioni che sono state promesse nel resto del territorio italiano sfregiato dalla costruzione del TAV. Nuove infrastrutture cementizie, strade e parchi giochi, oltre alla prospettiva di qualche “facile carriera”per i politici più in vista.
Come giudichi il lavoro dell’osservatorio di Virano?
L'Osservatorio guidato da Mario Virano ha assolto alla perfezione il proprio compito che era quello di normalizzare e “governare” una valle in rivolta, all’interno della quale il rifiuto delle decisioni calate dall’alto e la voglia di autodeterminazione avevano creato aggregazione e consapevolezza. Nel 2005 e all’inizio del 2006 in Valle di Susa non passava giorno senza che ci fosse almeno una conferenza partecipata da centinaia di persone. Si discuteva di democrazia partecipata e decrescita e la gente aveva “spento la TV”, preferendo informarsi in prima persona e condividere le proprie idee con gli altri. Oggi la Valle di Susa ha smesso di rappresentare un’anomalia e le persone si comportano come nel resto d’Italia. Alla luce di questo si può dire che l’Osservatorio Virano abbia raggiunto il proprio scopo.
E’ possibile pensare che un giorno la valle di Susa accetterà la linea? E a quali condizioni?
Non credo che la maggior parte dei cittadini della Valle di Susa accetterà mai l’alta velocità, poiché non esistono condizioni e offerte che possano giustificare la distruzione di un territorio già profondamente infrastrutturizzato, per fare spazio ad un’opera completamente inutile, tanto per i valsusini quanto per il resto degli italiani. Il TAV Torino – Lione potrà solamente venire imposto con la forza, violentando profondamente i diritti e la dignità della popolazione.
La condotta della valle di Susa è stata esemplare o c’è spazio per autocritiche?
Lo spazio per l’autocritica esiste sempre, anche quando si analizza una “bella pagina” come quella della reazione della Val di Susa alla militarizzazione subita nel 2005. Uno sbaglio su tutti, diventato evidente con il passare del tempo, fu quello di avere riposto troppa fiducia nella “mediazione” degli amministratori e non avere invece preteso che l’opera venisse stralciata definitivamente (come accaduto nel caso di Scanzano Ionico) quando l’intera valle era in rivolta ed aveva la forza per potere imporre questa decisione.
La partita è chiusa o ancora aperta?
La partita oggi è più aperta che mai, dal momento che la situazione per molti versi può considerarsi paritetica rispetto a quella del 2005, prima che avvenisse la militarizzazione. Esistono istituzioni nazionali, regionali e provinciali che vogliono imporre una grande opera cementizia e decine di migliaia di cittadini che vogliono difendere dall’ennesimo (e forse fatale) sfregio il territorio in cui vivono.
Come si comporterà la valle di Susa di fronte all’annunciata nuova campagna di indagini geologiche? Nel 2005 il movimento si oppose fisicamente, occupando spazi, all’installazione delle trivelle geognostiche. Lo spettacolo si ripeterà?
Se realmente il governo tenterà di riproporre una campagna di sondaggi, come nel 2005, sicuramente il movimento si opporrà fisicamente come fece allora, dal momento che tutti i valsusini sono consci del fatto che i sondaggi geognostici rappresenterebbero in realtà l’inizio dell’opera. Le uniche variabili possono essere rappresentate dal modo in cui il governo intenderà porsi nei confronti dei cittadini e dalla capacità del movimento di produrre aggregazione trasversalmente, mobilitando larga parte della popolazione come fece allora.
Come è cambiato lo scenario politico dopo le ultime elezioni comunali? La “causa” No-Tav si è rafforzata o indebolita?
Dopo le ultime elezioni comunali la presenza delle liste civiche NO TAV all’interno delle amministrazioni è aumentata. Sicuramente questo gioverà alla causa NO TAV, anche se non ritengo si tratti di una questione determinante. Risulterà decisiva la capacità del movimento di coinvolgere nella lotta ampi strati della popolazione, di ogni ceto ed orientamento politico, determinando una risposta popolare che sappia dissuadere il governo dal procedere nel proprio intendimento. So di ripetermi, ma solamente sul grado di mobilitazione dei cittadini si giocherà in realtà l’intera questione.
Un referendum locale potrebbe dire una parola definitiva sul futuro della Torino-Lione?
Ritengo che un referendum locale sarebbe del tutto inutile ed assolutamente inadeguato a risolvere il problema del TAV in Valsusa. In primo luogo si tratterebbe di un’operazione scarsamente democratica, dal momento che la capacità di produrre informazione da parte dei due contendenti, movimento NO TAV e soggetti favorevoli all’opera (praticamente tutti i partiti politici, Confindustria, i giornali e la TV) sarebbe drammaticamente sbilanciata ed i cittadini si troverebbero nell’impossibilità di venire informati correttamente sulla questione intorno alla quale si chiede loro di pronunciarsi. In secondo luogo i referendum locali hanno soltanto un significato indicativo, ragione per cui anche di fronte ad una sconfitta chi propone l’opera potrebbe continuare nel perseguire il proprio intento, così come già accaduto in molti casi, fra i quali quello della risalita meccanizzata del comune di Rivoli, proprio alle porte della Valle di Susa.
Quale lezione si può trarre da questa vicenda?
Quello che è accaduto nel 2005 dovrebbe avere insegnato sostanzialmente due cose. Non sempre l’imposizione dall’alto con l’uso della forza di una grande opera risulta essere la strada migliore e più facilmente praticabile, neppure quando si pensa di poterlo fare con arroganza, forti dell’appoggio della classe politica e dell’intero circo mediatico. Al tempo stesso non sempre per i movimenti spontanei di cittadini che si battono contro le grandi opere, affidarsi alla mediazione politica portata avanti dall’amministratore “amico” di turno si rivela una scelta vincente e risolutiva.
E’ possibile fare pronostici?
Senza dubbio fare pronostici è molto difficilmente, dal momento che nessuno possiede le coordinate per prevedere quale potrebbe essere l’entità della mobilitazione in Val di Susa, di fronte ad un nuovo assalto delle trivelle e proprio questo fattore si manifesterà decisivo. Personalmente ritengo che il movimento sia in grado di fermare ancora una volta (forse definitivamente) la costruzione dell’opera, a patto che riesca a recuperare la spontaneità e la capacità di unire e non dividere presenti nel 2005, un poco appannatesi nel corso degli ultimi anni anche a causa di un eccessivo appiattimento del movimento sulle posizioni della sinistra radicale.
Sarà decisivo il ruolo della nuova Comunità Montana che è nata a novembre?
La nuova Comunità Montana nata a novembre avrà come presidente Sandro Plano, esponente del PD ed ex sindaco di Susa, la cui elezione è frutto di un accordo fra le liste civiche NO TAV e le amministrazioni governate dal PD in valle, tornate per l’occasione su posizioni di contrarietà all’alta velocità. Senza dubbio una maggioranza schierata contro la costruzione del TAV in seno alla Comunità Montana potrà avere il proprio peso politico. Un ruolo comunque non decisivo, ancorché importante, poiché come ho ricordato più volte l’unico fattore decisivo sarà la capacità, o meno, di mobilitare in massa la popolazione da parte del movimento.
Nel 2005 la valle di Susa si oppose alla linea, stentando a farsi comprendere dalla comunità nazionale: che diritto ha una comunità locale di fermare una grande opera?
La Val di Susa faticò molto a farsi comprendere dalla comunità nazionale, semplicemente perché a livello mediatico non le fu dato spazio per controbattere attraverso cifre e dati incontrovertibili i vuoti slogan diffusi dalla politica,. Personalmente credo nel diritto all’autodeterminazione dei popoli e ritengo che una comunità locale abbia il dovere di esprimersi in merito alla gestione del territorio in cui vive, sentendosi in diritto di fermare qualunque opera o progetto venga ritenuto pericoloso o dannoso per la comunità stessa, anche qualora spacciato come d’importanza nazionale.
Visto che intanto la rete dell’alta velocità (giusta o sbagliata) si è ormai estesa in Italia e in Europa, non rischia di apparire sempre meno difendibile l’ostruzione della valle di Susa?
In Italia si sta andando verso il completamento (anche se mancano ancora alcuni anni alla chiusura definitiva dei cantieri) dei 1020 km che compongono il progetto primigenio del TAV Torino – Milano – Roma – Napoli. Un’opera sulla quale corrono e correranno esclusivamente treni passeggeri. In Europa gli unici due paesi che hanno investito massicciamente sull’alta velocità sono la Francia e la Spagna ed in entrambi i casi si tratta esclusivamente di un servizio passeggeri. Il TAV Torino – Lione, mancando totalmente i passeggeri, viene sponsorizzato come un’infrastruttura dedicata alle merci e perciò avulsa dal resto del contesto sia italiano che europeo. Chi critica “l’ostruzione della Valle di Susa” dovrebbe iniziare a fare chiarezza sulla questione, spiegando se l’opera sarà costituita da una linea ad alta velocità deputata a trasportare passeggeri che non esistono, collegata con il resto dell’alta velocità italiana ed europea, oppure ambirà al trasporto merci, senza potere essere ritenuta in questo caso parte di un asse internazionale rispetto al quale la Valle di Susa starebbe facendo ostruzione.
Dopo la grande compattezza del 2005 (sindaci e movimento No-Tav), inevitabilmente la “tregua” degli ultimi tre anni ha lasciato spazio a divisioni (tra movimento e sindaci e tra i sindaci stessi) sulla linea da adottare: rifiuto a oltranza oppure mediazione, trattativa, accettazione di contropartite territoriali. In cambio dell’alta velocità, il governo cosa ha proposto alla valle di Susa?
Il governo sostanzialmente ha proposto le stesse compensazioni che sono state promesse nel resto del territorio italiano sfregiato dalla costruzione del TAV. Nuove infrastrutture cementizie, strade e parchi giochi, oltre alla prospettiva di qualche “facile carriera”per i politici più in vista.
Come giudichi il lavoro dell’osservatorio di Virano?
L'Osservatorio guidato da Mario Virano ha assolto alla perfezione il proprio compito che era quello di normalizzare e “governare” una valle in rivolta, all’interno della quale il rifiuto delle decisioni calate dall’alto e la voglia di autodeterminazione avevano creato aggregazione e consapevolezza. Nel 2005 e all’inizio del 2006 in Valle di Susa non passava giorno senza che ci fosse almeno una conferenza partecipata da centinaia di persone. Si discuteva di democrazia partecipata e decrescita e la gente aveva “spento la TV”, preferendo informarsi in prima persona e condividere le proprie idee con gli altri. Oggi la Valle di Susa ha smesso di rappresentare un’anomalia e le persone si comportano come nel resto d’Italia. Alla luce di questo si può dire che l’Osservatorio Virano abbia raggiunto il proprio scopo.
E’ possibile pensare che un giorno la valle di Susa accetterà la linea? E a quali condizioni?
Non credo che la maggior parte dei cittadini della Valle di Susa accetterà mai l’alta velocità, poiché non esistono condizioni e offerte che possano giustificare la distruzione di un territorio già profondamente infrastrutturizzato, per fare spazio ad un’opera completamente inutile, tanto per i valsusini quanto per il resto degli italiani. Il TAV Torino – Lione potrà solamente venire imposto con la forza, violentando profondamente i diritti e la dignità della popolazione.
La condotta della valle di Susa è stata esemplare o c’è spazio per autocritiche?
Lo spazio per l’autocritica esiste sempre, anche quando si analizza una “bella pagina” come quella della reazione della Val di Susa alla militarizzazione subita nel 2005. Uno sbaglio su tutti, diventato evidente con il passare del tempo, fu quello di avere riposto troppa fiducia nella “mediazione” degli amministratori e non avere invece preteso che l’opera venisse stralciata definitivamente (come accaduto nel caso di Scanzano Ionico) quando l’intera valle era in rivolta ed aveva la forza per potere imporre questa decisione.
La partita è chiusa o ancora aperta?
La partita oggi è più aperta che mai, dal momento che la situazione per molti versi può considerarsi paritetica rispetto a quella del 2005, prima che avvenisse la militarizzazione. Esistono istituzioni nazionali, regionali e provinciali che vogliono imporre una grande opera cementizia e decine di migliaia di cittadini che vogliono difendere dall’ennesimo (e forse fatale) sfregio il territorio in cui vivono.
Come si comporterà la valle di Susa di fronte all’annunciata nuova campagna di indagini geologiche? Nel 2005 il movimento si oppose fisicamente, occupando spazi, all’installazione delle trivelle geognostiche. Lo spettacolo si ripeterà?
Se realmente il governo tenterà di riproporre una campagna di sondaggi, come nel 2005, sicuramente il movimento si opporrà fisicamente come fece allora, dal momento che tutti i valsusini sono consci del fatto che i sondaggi geognostici rappresenterebbero in realtà l’inizio dell’opera. Le uniche variabili possono essere rappresentate dal modo in cui il governo intenderà porsi nei confronti dei cittadini e dalla capacità del movimento di produrre aggregazione trasversalmente, mobilitando larga parte della popolazione come fece allora.
Come è cambiato lo scenario politico dopo le ultime elezioni comunali? La “causa” No-Tav si è rafforzata o indebolita?
Dopo le ultime elezioni comunali la presenza delle liste civiche NO TAV all’interno delle amministrazioni è aumentata. Sicuramente questo gioverà alla causa NO TAV, anche se non ritengo si tratti di una questione determinante. Risulterà decisiva la capacità del movimento di coinvolgere nella lotta ampi strati della popolazione, di ogni ceto ed orientamento politico, determinando una risposta popolare che sappia dissuadere il governo dal procedere nel proprio intendimento. So di ripetermi, ma solamente sul grado di mobilitazione dei cittadini si giocherà in realtà l’intera questione.
Un referendum locale potrebbe dire una parola definitiva sul futuro della Torino-Lione?
Ritengo che un referendum locale sarebbe del tutto inutile ed assolutamente inadeguato a risolvere il problema del TAV in Valsusa. In primo luogo si tratterebbe di un’operazione scarsamente democratica, dal momento che la capacità di produrre informazione da parte dei due contendenti, movimento NO TAV e soggetti favorevoli all’opera (praticamente tutti i partiti politici, Confindustria, i giornali e la TV) sarebbe drammaticamente sbilanciata ed i cittadini si troverebbero nell’impossibilità di venire informati correttamente sulla questione intorno alla quale si chiede loro di pronunciarsi. In secondo luogo i referendum locali hanno soltanto un significato indicativo, ragione per cui anche di fronte ad una sconfitta chi propone l’opera potrebbe continuare nel perseguire il proprio intento, così come già accaduto in molti casi, fra i quali quello della risalita meccanizzata del comune di Rivoli, proprio alle porte della Valle di Susa.
Quale lezione si può trarre da questa vicenda?
Quello che è accaduto nel 2005 dovrebbe avere insegnato sostanzialmente due cose. Non sempre l’imposizione dall’alto con l’uso della forza di una grande opera risulta essere la strada migliore e più facilmente praticabile, neppure quando si pensa di poterlo fare con arroganza, forti dell’appoggio della classe politica e dell’intero circo mediatico. Al tempo stesso non sempre per i movimenti spontanei di cittadini che si battono contro le grandi opere, affidarsi alla mediazione politica portata avanti dall’amministratore “amico” di turno si rivela una scelta vincente e risolutiva.
E’ possibile fare pronostici?
Senza dubbio fare pronostici è molto difficilmente, dal momento che nessuno possiede le coordinate per prevedere quale potrebbe essere l’entità della mobilitazione in Val di Susa, di fronte ad un nuovo assalto delle trivelle e proprio questo fattore si manifesterà decisivo. Personalmente ritengo che il movimento sia in grado di fermare ancora una volta (forse definitivamente) la costruzione dell’opera, a patto che riesca a recuperare la spontaneità e la capacità di unire e non dividere presenti nel 2005, un poco appannatesi nel corso degli ultimi anni anche a causa di un eccessivo appiattimento del movimento sulle posizioni della sinistra radicale.
Sarà decisivo il ruolo della nuova Comunità Montana che è nata a novembre?
La nuova Comunità Montana nata a novembre avrà come presidente Sandro Plano, esponente del PD ed ex sindaco di Susa, la cui elezione è frutto di un accordo fra le liste civiche NO TAV e le amministrazioni governate dal PD in valle, tornate per l’occasione su posizioni di contrarietà all’alta velocità. Senza dubbio una maggioranza schierata contro la costruzione del TAV in seno alla Comunità Montana potrà avere il proprio peso politico. Un ruolo comunque non decisivo, ancorché importante, poiché come ho ricordato più volte l’unico fattore decisivo sarà la capacità, o meno, di mobilitare in massa la popolazione da parte del movimento.
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