sabato 18 ottobre 2008
BERLUSCONI: GUAI A CHI TOCCA LA CO2
Silvio Berlusconi da quando è tornato alla guida del Paese sta irrimediabilmente soffrendo di solitudine e adesso che Gorge W. Bush si appresta a lasciare la Casa Bianca e perfino Sarkozy si sente in dovere di voltargli le spalle soffre ancora di più.
Il Cavaliere è il solo leader europeo a non avere letto le conclusioni del rapporto Stern, redatto non da fanatici ambientalisti bensì da economisti, che hanno messo in luce la necessità di produrre grandi sforzi economici nell’immediato per ridurre gli effetti dei mutamenti climatici, dal momento che quegli stessi mutamenti, se non contrastati, determineranno costi economici enormemente più alti di quelli che sarebbero necessari per limitarne la portata. E’ rimasto il solo leader europeo ad investire svariati miliardi di euro per la costruzione di forni inceneritori, mentre gli altri Paesi li stanno smantellando. E’ rimasto il solo leader europeo a caldeggiare la costruzione di nuove centrali nucleari, mentre la maggioranza degli altri grandi Paesi in Europa (tranne la Francia che non potrebbe farlo) sono pronti a smantellare le proprie centrali nucleari nei prossimi anni. E’ rimasto il solo leader europeo a non avere capito che quello ambientale è un problema serissimo, forse perché nella sua testa continua ad albergare il pensiero che difendere l’integrità dell’ambiente sia un esercizio riprovevole appannaggio di fissati perditempo magari pure un po’ comunisti.
Proprio per queste ragioni non stupisce più di tanto il fatto che Silvio Berlusconi, ponendosi in netto contrasto con il Presidente francese Sarkozy, abbia deciso di mettere il veto al pacchetto UE sul clima concernente la riduzione dei gas serra entro il 2020 che chiede all’Italia di tagliare le emissioni di Co2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni (rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005. Veto che secondo il Cavaliere sarebbe indispensabile dal momento che le misure da adottare risulterebbero troppo onerose per l’economia italiana, in particolare per il settore automobilistico e per le piccole e medie imprese, soprattutto alla luce della recente crisi finanziaria.
Confindustria, anch’essa evidentemente all’oscuro dell’esistenza del rapporto Stern, si è affrettata a dare manforte al Premier producendo uno studio che quantifica in 180 miliardi di euro fino al 2020 il costo che peserebbe sulle imprese italiane a causa delle nuove misure, a fronte di benefici per l’ambiente che l’associazione degli industriali (notoriamente esperta in questioni ambientali) si sente in diritto di definire “infinitesimali”.
Comunque niente paura, anche se alla fine Berlusconi non riuscisse a spuntarla, in Italia non cambierà comunque nulla e per la gioia di Confindustria si continuerà ad inquinare come e più di prima. Basti che nel nostro Paese anche quando non esisteva lo spauracchio della crisi finanziaria non è mai stato fatto alcuno sforzo per diminuire le emissioni di CO2 e nonostante L’Italia si fosse impegnata nell’ambito del protocollo di Kyoto a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2012 abbiamo continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto e le emissioni di Co2 sono aumentate del 13% nel periodo 1990/2005, senza che nulla abbia mai lasciato presagire la possibilità di un’inversione di tendenza.
martedì 14 ottobre 2008
GRANDI OPERE E CRISI FINANZIARIA

Marco Cedolin
Fra le tante soluzioni volte a contenere la dilagante crisi finanziaria che sta sconvolgendo i mercati, accanto all'iniezione di liquidità consistente nello stanziamento di centinaia di miliardi di euro (o dollari) di denaro pubblico destinati a sostenere il sistema bancario e alla nazionalizzazione degli istituti di credito volta a metterli al riparo dagli imprevisti, molti fra politici ed economisti sembrano indicare una terza via che a loro dire dovrebbe garantire ottimi risultati nel medio periodo.
L'idea sarebbe quella di destinare altri centinaia di miliardi di denaro pubblici ad un massiccio piano di costruzione di grandi infrastrutture, rifacendosi a quanto messo in atto da Roosevelt dopo la crisi del 29, stimolando in questo modo tanto la crescita economica del Pil quanto la ripresa dell'occupazione. Al fine di sostenere questa strategia alcuni uomini politici, tanto del PD quanto del PDL, intendono proporre in sede europea una risoluzione che consenta ai Paesi membri di superare il tetto del 3% previsto dai parametri di Maastricht, considerando gli esborsi in favore delle reti TEN non più come spese generanti indebitamento, bensì come investimenti destinati allo sviluppo infrastrutturale europeo. Un escamotage che potrebbe permettere di reperire le risorse finanziarie per le numerose tratte TAV attualmente allo stato di progetto, semplicemente contraendo nuovi debiti come già fatto in passato, senza doversi preoccupare del vincolo dei parametri di stabilità
Senza entrare nel merito di quanto abbia realmente inciso il massiccio programma infrastrutturale di Roosevelt negli anni 30 sulla ripresa economica statunitense, credo occorra comunque portare delle riflessioni volte a dimostrare come la presunzione di trasporre quella "strategia" all'interno della realtà attuale, oltretutto nella forma pensata dalla nostra classe dirigente, rappresenti un'idea peregrina senza costrutto alcuno.
L'Italia ( e L’Europa) del 2008 è costituita da un territorio ad altissima densità di popolazione e d'infrastrutture, assolutamente non paragonabile con gli Stati Uniti degli anni 30. Il livello d'inquinamento e la percentuale di terreno ricoperto da materiali inorganici nelle zone nevralgiche del nostro Paese, come la pianura padana, sono tali da non permettere fisicamente l'insediamento di nuove grandi infrastrutture, se non al prezzo di ridurre il territorio stesso allo stato di ambiente invivibile ed eliminare definitivamente la residua attività agricola sopravvissuta fino ad oggi.
Quello delle grandi infrastrutture, a parità di capitale investito, risulta essere in assoluto il settore che genera i più scarsi risultati in termini di occupazione, sia quantitativamente sia qualitativamente, dal momento che larga parte degli occupati vengono impegnati in mansioni di basso livello estremamente pericolose, come potrebbe confermare qualunque serio economista. A questo proposito Marco Ponti, fra i più quotati economisti italiani che alla luce della sua carriera certo non può essere tacciato di simpatie ambientaliste, in una recente intervista
alla mia domanda:
I promotori dell’Alta velocità (sia pubblici che privati) affermano che la costruzione delle nuove tratte può costituire un volano in grado d’incrementare l’occupazione all’interno dei territori attraversati dai progetti. Davvero la costruzione di grandi infrastrutture, è in grado di creare “posti di lavoro” in ambito locale? E la prospettiva occupazionale le sembra in grado di giustificare l’investimento di decine di miliardi di euro di denaro pubblico in grandi infrastrutture come il TAV?
Risponde:
Questo argomento appare davvero debolissimo. Si tratta di opere ad alta intensità di capitale, non di lavoro (basta visitare un cantiere della TAV). Ma soprattutto, il confronto va fatto con spesa pubblica in altri settori, per loro natura ad alta intensità di lavoro, come l’assistenza agli anziani, o il recupero edilizio ecc. Inoltre si tratta di occupazione temporanea, con forti picchi, che poi scompare alla chiusura dei cantieri, con tutte le conseguenze sociali che questo comporta. Il motivo vero sembra essere invece quello di trasferire soldi pubblici all’industria italiana, visto che negli appalti la concorrenza funziona pochissimo.
Qualunque ipotesi volta a sostenere l’occupazione destinando capitali miliardari alla costruzione di grandi infrastrutture si palesa dunque come una velleità priva di fondamento totalmente disancorata dalla realtà.
Perché la messa in cantiere delle grandi infrastrutture abbia un senso (che vada al di là della mera costruzione di Pil e debito pubblico) occorre inoltre che esse rivestano un carattere di pubblica utilità e permettano nel tempo un ritorno economico dell’investimento. La maggior parte delle grandi opere di cui è prevista la costruzione non rispondono assolutamente a questi requisiti.Tanto le tratte TAV che dovrebbero far parte delle reti TEN, quanto le decine di inceneritori che stanno per sorgere come funghi o le centinaia di parcheggi sotterranei che determineranno lo sventramento dei centri storici delle nostre città, non sono mai stati oggetto di un serio studio concernente i costi/benefici dell’opera, essendo stati valutati solo ed esclusivamente dal proponente della stessa che per forza di cose non si manifesta certo come un soggetto in grado di esprimere un parere oggettivo. Per suffragare la presunta utilità delle infrastrutture vengono inoltre sistematicamente presi come riferimento dei modelli previsionali (di crescita dei flussi di traffico, della produzione di spazzatura, del numero di auto circolanti ecc.) basati esclusivamente sulla crescita economica dei decenni passati e pertanto assolutamente inattuali alla luce della realtà contemporanea.
Pensare di uscire dalla crisi finanziaria e dalla recessione attraverso investimenti che incrementeranno il debito pubblico (scimmiottando in qualche maniera la politica di Roosevelt) non sembra già in sé essere una buona idea. Indirizzare tali investimenti verso opere infrastrutturali incompatibili con l’integrità del territorio, bucando montagne ricche di amianto ed uranio, prosciugando le falde idriche, avvelenando l’aria ed il suolo con emissioni nocive, mettendo a repentaglio la stabilità degli edifici dei centri cittadini e non preoccuparsi del fatto che tali opere una volta edificate non saranno utili né tanto meno fonte di un ritorno economico lo è sicuramente ancora di meno.
sabato 11 ottobre 2008
Quattro misure contro la crisi:
Sospendere temporaneamente il pagamento dei mutui; vietare le transazioni allo scoperto; bloccare la costruzione delle grandi infrastrutture non cantierizzate; proporre, da subito, nuovi strumenti per sostenere il reddito delle classi meno agiate.
A fronte della crisi economica in atto, sottoponiamo all’attenzione della Rete il seguente appello formale:
- La crisi in corso evidenzia i limiti del capitalismo in termini etici, sociali, economici e politici.
- Di qui la necessità del suo superamento attraverso l’edificazione graduale e non violenta di un nuovo modello di società, capace di integrare i valori della solidarietà e della sobrietà.
- Vanno perciò subito presi alcuni provvedimenti a difesa del credito, dei redditi e dell’occupazione di tutti i cittadini, in nome del benessere collettivo e non di quello particolare di pochi speculatori. Si tratta di interventi finalizzati, in prospettiva, al recupero della piena sovranità della politica, intesa nel senso più nobile del termine, sull’economia. Interventi che devono chiamare in causa il ruolo dello Stato nell’ambito della tutela, in ultima istanza, del lavoro e del credito ai cittadini e alle famiglie. Ma anche di facilitare, sotto il profilo legislativo, il ruolo della magistratura nel perseguire i reati finanziari commessi nello svolgimento di attività borsistiche e creditizie.
A questo proposito si chiede, in attesa di una ormai irrinunciabile evoluzione sociale in senso umano e contro la bestialità della pura logica del profitto, alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, di sostenere nell’ambito del Governo, del Parlamento e in tutte le sedi politiche opportune – qualora la situazione nei prossimi mesi, se non addirittura giorni, dovesse precipitare – le quattro seguenti misure, sicuramente “minimali”, ma capaci di rappresentare il primo segnale di una volontà comune di fuoriuscire dal vizioso ciclo capitalistico del debito e della speculazione:
1) Dichiarare temporaneamente sospeso il pagamento di tutti i mutui bancari, inclusivi degli interessi maturati, stipulati entro gli ultimi cinque anni, per l’ acquisizione della prima casa.
2) Dichiarare illegali, a decorrere dalla data di pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, tutti i cosiddetti prodotti derivati e le cosiddette transazioni “allo scoperto” (elencandoli in apposite tabelle complementari ).
3) Proporre, sin da oggi, nuovi strumenti per sostenere il reddito delle classi meno agiate, qualora aumenti dell’inflazione e dei prezzi delle merci di largo consumo mettano a serio repentaglio livelli di vita già oggi precari.
4) Bloccare la costruzione delle grandi infrastrutture non ancora cantierizzate (TAV in Val di Susa, Ponte sullo Stretto di Messina ecc.) al fine di utilizzare il capitale ad esse destinato per sostenere i redditi e l’occupazione, riservandosi di sottoporle in un secondo momento ad una seria analisi costi/benefici che verifichi l’opportunità della loro costruzione.
Tale appello è frutto di ponderata analisi e discussione avvenuta sul Web, e non esclude – per il futuro – nuovi interventi a più ampio spettro.
Roma, 10 ottobre 2008
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martedì 7 ottobre 2008
RIPENSARE QUESTO MODELLO DI SVILUPPO
La crisi finanziaria sta ormai occupando in pianta stabile da alcune settimane le prime pagine dei giornali, riuscendo perfino ad intaccare l'atmosfera patinata dei TG, con tutto il suo corollario costituito da banche che falliscono, stati che nazionalizzano gli istituti di credito, governi che stanziano, o auspicano lo stanziamento, di cifre da capogiro destinate a preservare il sistema bancario dal crack imminente, mercati azionari ormai fuori controllo che si muovono in maniera schizofrenica simili ai vagoncini delle montagne russe.
Una debacle dalle conseguenze inimmaginabili che imperversa come un tornado nel mondo virtuale della finanza, costituito in larga parte da ectoplasmi del tutto inafferrabili per i comuni mortali, in quanto composti da algoritmi e calcolazioni complesse dalle quali fuoriesce un vero e proprio lemmario incomprensibile ai più. La crisi finanziaria parla il linguaggio del Mibtel, del Dow Jones, del Nasdaq del Nikkei, dell’Euribor, dei Bond, , degli hedge funds, dei sinking funds, degli swaps, della riserva frazionaria, dei piani di consolidamento del baylout da 850 miliardi di dollari, di 450 miliardi di euro “bruciati” in Europa nel corso di un solo lunedì.
La crisi dei comuni mortali parla il linguaggio del Paese reale, lontanissimo dal gergo destinato a pochi iniziati che straborda dalle pagine dei giornali e dagli schermi della TV. Racconta il potere di acquisto di salari e pensioni ormai in caduta libera, le imprese che chiudono i battenti lasciando dietro di sé una lunga scia di disoccupati, le aziende, sia pubbliche che private, intenzionate a licenziare nei prossimi anni buona parte dei propri dipendenti, come si può evincere da quasi tutti i piani di programmazione industriale triennali o quadriennali. Racconta un Paese che produce sempre meno e consuma sempre meno, totalmente incapace di “crescere” pur continuando a poggiare la propria economia su un modello di sviluppo anacronistico fondato proprio sulla crescita.
I comuni mortali sono impegnati nel sempre più difficile esercizio alchemico consistente nel trovare 50 euro per riuscire ad andare a fare la spesa al discount (nonostante anche lì con 50 euro, ogni mese che passa si riesca a comprare sempre di meno) 100 euro per pagare la bolletta della luce che continua a salire, 200 euro per pagare il bollo dell’auto, qualche centinaio di euro per pagare la prima rata del riscaldamento, che va sommata a quella del mutuo o alla rata della macchina, ai libri per i figli o alla retta dell’asilo, alla benzina (sempre più cara nonostante il prezzo del petrolio da tempo stia scendendo) indispensabile per continuare a fare i pendolari, alla bolletta del telefono, al conto dell’idraulico, a quello del meccanico o al dentista, alla rata della spazzatura, alla bolletta del gas.
Non si tratta di calcolazioni complesse come quelle della finanza, le cifre sono “piccole”, così come sono semplici le logiche che le muovono, i nomi si pronunciano facilmente ed il loro significato appare chiaro a tutti. La complessità è data dal fatto che non esistono piani di salvataggio per i comuni mortali e una famiglia non può “bruciare” in un mese 2500 euro se ne guadagna 1500. Se manca loro il danaro per pagare la bolletta della luce i comuni mortali non vedono abbassarsi il proprio rating, né scendere il valore azionario della famiglia, rimangono semplicemente al buio, così come se non pagano le rate dell’auto arriva il carro attrezzi a portarla via, se non pagano la rata del mutuo la casa viene venduta all’asta, se non ci sono i soldi per fare la spesa l’unica alternativa (nel migliore dei casi) è costituita dalla mensa dei poveri.
La malattia che affligge il Paese reale è molto più grave di quella che sta colpendo il mondo virtuale della finanza, anche se tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sui mercati finanziari e si sta vendendo l’illusione che risolta la crisi delle banche tutto tornerà a “girare” come e meglio di prima.
Non ci troviamo semplicemente di fronte al fallimento di una politica finanziaria troppo spregiudicata, di un turbocapitalismo che ha dimenticato di darsi delle regole, di una società neoliberista che ha giocato d’azzardo con la globalizzazione.
Ci troviamo di fronte al completo fallimento di un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita che si è ormai scontrato con l’evidente incapacità di crescere ancora, dettata dal fatto che è impossibile crescere indefinitamente all’interno di un mondo dove tutto è finito e nulla può nutrire la presunzione di continuare a crescere senza sosta.
Occorre prendere coscienza del fatto che nulla girerà più come prima, a prescindere da come procederà l’operazione di salvataggio delle banche, ed è giunto il momento di ripensare in profondità un modello di sviluppo ormai senza futuro, per tentare di costruire una società della decrescita che sappia sostituirsi a quella della recessione selvaggia (con tutto il contorno di caos e violenza che immancabilmente porterà con sé) nelle cui spire stiamo precipitando senza paracadute.
giovedì 2 ottobre 2008
DAL MOLIN: NIENTE REFERENDUM NELLE COLONIE USA

Marco Cedolin
Un paio di giorni fa il Commissario di Governo Paolo Costa annunciava formalmente la cessione dell’area dell’aeroporto Tommaso Dal Molin agli americani, senza curarsi minimamente del fatto che alla fine della settimana i cittadini vicentini sarebbero stati chiamati alle urne proprio per decidere la sorte di quell’area e che per il giorno 8 di ottobre era atteso il pronunciamento del TAR del Veneto che lo scorso giugno già aveva congelato il progetto a causa di irregolarità procedurali ed errate valutazioni ambientali.
Se l’annuncio di Paolo Costa, che aveva fatto seguito alla consegna dei terreni alle cooperative rosse CMC e CCC vincitrici dell’appalto di 300 milioni di euro per la costruzione della nuova base americana http://ilcorrosivo.blogspot.com/2008/08/il-dal-molin-nelle-mani-della-cmc.html
era parso come una chiara provocazione, finalizzata a calare la base di guerra sulla testa dei cittadini dimostrando come il loro pronunciamento e quello del TAR fossero del tutto ininfluenti ad incidere all’interno di decisioni già prese in altra sede e pertanto insindacabili, alla provocazione si è voluto in tutta evidenza aggiungere anche la beffa.
Ieri il consiglio di Stato ha infatti bocciato (tre giorni prima dello svolgimento) il referendum indetto per domenica prossima a Vicenza dall'amministrazione comunale per consultare i cittadini sull'uso dell'area dove è prevista la costruzione della nuova base Usa, dichiarando che si sarebbe trattato di una decisione inutile dal momento che riguardava un obiettivo comunque irrealizzabile, contraddicendo in questo modo il pronunciamento del Tar che due settimane fa aveva considerato legittima la consultazione.
I cittadini di Vicenza sono pertanto costretti ad abbandonare definitivamente qualunque illusione di vivere all’interno di un Paese democratico potesse ancora allignare nel loro animo e devono prendere coscienza del fatto che una parte della loro città potrà sopravvivere solamente sotto forma di colonia USA, mentre i loro diritti risultano differenti da quelli sanciti dalla Costituzione per tutti gli altri cittadini italiani.
Nessun spazio per qualunque battaglia giuridica ancorché sacrosanta, nessun spazio per qualunque battaglia politica come quella di un referendum democratico, ai vicentini che si battono contro la base americana Dal Molin a questo punto non resta davvero altra strada che quella dell’opposizione pacifica con le mani alzate di fronte alle ruspe che presto arriveranno per aprire il cantiere.
A Vicenza hanno già compreso questa triste realtà le 12.000 persone che ieri sera sono scese in piazza per urlare la propria rabbia nei confronti dell’ultima beffa che nega loro anche il diritto a pronunciarsi in una consultazione referendaria, referendum, che i Comitati NO Dal Molin ribadiscono di volere comunque svolgere domenica, dal momento che nessuno può arrogarsi il diritto di declassarli al ruolo di sudditi dell’ennesima colonia americana.
lunedì 29 settembre 2008
Lo Stivale di Barabba

Stefano Montanari http://www.stefanomontanari.net/
È uscito l’ebook Lo Stivale di Barabba, un libro che io non ho scritto se non in piccolissima parte ma che ho curato.
La mole è ragguardevole, però credo fosse davvero necessario scrivere tante pagine e ricorrere a tanti autori, tutti espertissimi della materia, per cercare di fare un po’ di chiarezza su di un argomento tanto controverso come quello dell’origine e del trattamento dei rifiuti.
Malauguratamente, e lo sapete bene, l’immondizia comporta un movimento di denaro enorme, e questo denaro finisce in tasche a proposito delle quali è possibile sollevare più di un’obiezione. Così, per salvaguardare incassi favolosi, politici maccheronici, imprenditori che prosperano senza rischio con il denaro altrui, professori disposti a cantare qualsiasi canzone in cambio di un’elemosina, televisioni e giornali non esitano a raccontare bugie che suonerebbero ridicole fino ad essere grottesche in altri contesti ma che da noi, dopo una terapia a base di Prodi seguita dal colpo di grazia di Berlusconi, trovano tranquillamente credito.
Il libro non è certamente la parola definitiva in materia: è una sorta di fotografia istantanea di lavori in corso dove c’è chi si prodiga per devastare il nostro povero ambiente e, dall’altra parte, c’è qualcuno che cerca in ogni modo d’impedire questa follia suicida.
Mi auguro che gli addetti ai lavori, i comitati di cittadini, le associazioni ambientaliste e tutti coloro che desiderano approfondire l’argomento dedichino attenzione a questa opera e, magari, vengano a Gambettola il 25 e il 26 ottobre prossimi per portare le loro testimonianze, i loro commenti, le loro critiche e le loro proposte. Un fatto è certo: non abbiamo tempo da perdere.
Indice:
Non bruciamo il futuro di Gianni Tamino
Una famiglia rifiuti zero di Valerio Pignatta
Polveri assassine di Roberto Topino e Rosanna Novara
Inceneritori s.p.a. di Marco Cedolin
Rifiuti zero di Paul Connett
Il futuro è rifiuto zero di Matteo Incerti
Bolzano: la città dai due volti I rifiuti tossico-nocivi e pericolosi nella marca trevigianadi Andrea Canotti
Il mito dell'inceneritore, pardon termoutilizzatore, ASM di Brescia di Marino Ruzzenenti
Oltre "Rifiuti Zero"di Gianluigi Salvador
Sistema qualità dei rifiuti per uffici, scuole, aziende, comuni, consorzi, provincie e regione di Luca Zanin
Case study: il consorzio Priula (TV) di Paolo Contò
Qualche argomento critico Il caso toscano: da "non bruciamoci il futuro" a "Rifiuti zero"di Rossano Ercolini
Tecniche di trattamento dei rifiuti di Francesco Galanzio
Gestione dei Materiali Post Consumo (MPC). Impatti ambientali a confronto di Federico Valerio
Appendice Perché la permaculturadi Valerio Pignatta
Friedrich Hundertwasser – Un pittore metropolitano vegetativo Lo sciacquone: una contravvenzione alle leggi cosmiche
giovedì 25 settembre 2008
CEMENTO TOSSICO PER TUTTI
L’uso di materiali tossici in edilizia non sembra più limitarsi all’ambito delle grandi opere, dove sostanze nocive di svariata natura vengono spesso usate per la costruzione delle infrastrutture, come più volte documentato nelle indagini concernenti i cantieri del TAV. http://ilcorrosivo.blogspot.com/2008/06/nei-cantieri-del-tav-discariche.html
Quanto infatti emerge da una operazione della polizia denominata 'Black Mountains' che in questi giorni ha portato al sequestro di ben 18 aree disseminate lungo tutto il territorio crotonese fino a Cutro e Isola Capo Rizzuto, dimostra inequivocabilmente come il “cemento tossico” venga usato senza parsimonia per edificare qualsiasi genere di costruzione, comprese quelle destinate alla civile abitazione.
Le indagini della procura della Repubblica di Crotone, coordinata dal sostituto procuratore Pierpaolo Bruni, nel merito delle quali già sette persone sono state iscritte nel registro degli indagati hanno portato alla luce come almeno 350 mila tonnellate di materiali tossici contenenti arsenico, zinco, piombo, indio, germanio e mercurio, provenienti dagli scarti dell'industria "Pertusola" di Crotone e destinati ad essere smaltiti in discariche per rifiuti speciali, siano state invece utilizzate per lavori edili riguardanti alloggi popolari, villette, cortili di scuole, posteggi, una banchina portuale e strade.
La truffa che determinerà pesanti ricadute sulla salute dei cittadini, sottoposti a loro insaputa agli effetti nocivi di sostanze altamente tossiche e minerà in profondità l’integrità di un ambiente già degradato a causa delle aggressioni precedentemente compiute da alcune società facenti capo all’ENI, è stata portata avanti negli anni grazie ad una consorteria composta da industriali, imprenditori edili e funzionari dell’azienda sanitaria locale che ha potuto fruire della copertura di ampi settori della politica e dell’informazione che hanno provveduto a “coprire” l’ampia operazione di malaffare che si andava compiendo.
Come ormai sempre più spesso sta accadendo, anche in questo caso i più fondamentali diritti del cittadini vengono immolati sull’altare del profitto, della crescita e dello sviluppo, veri bubboni della nostra società che come un cancro marcescente continuano ad ammorbare tutto ciò che trovano lungo il loro percorso.
martedì 23 settembre 2008
Berlusconi gioca la carta delle Grandi Opere
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, presenziando qualche giorno fa all’inaugurazione del nuovo rigassificatore di Rovigo, ha annunciato la “campagna di primavera” tanto ambiziosa quanto priva di riscontri oggettivi che punterà al rilancio delle grandi opere. Nuovi rigassificatori, centrali nucleari, TAV e ponte sullo Stretto di Messina, saranno secondo il Cavaliere le opere prioritarie da mettere in cantiere per ridurre il gap infrastrutturale a suo dire esistente in Italia e determinato da quella che egli ha definito “la follia degli ecologisti”.
Continuando a parlare per slogan il Premier ha poi promesso che l’Italia avrà presto un nuovo piano energetico grazie al quale le imprese (e le famiglie?) per la prima volta pagheranno l’energia allo stesso costo degli altri Paesi europei e ha bollato i cittadini che protestano contro la cementificazione definendoli anarchici contro i quali alla bisogna occorre usare anche le forze militari.
Riguardo alle centrali nucleari Berlusconi non si è addentrato nel merito di una questione estremamente controversa che sa bene non potrà venire dipanata fidando solamente su un atto di forza del governo.
Per quanto concerne il TAV in Val di Susa invece, il Premier ha motivato la necessità dell’opera sostenendo che nei prossimi anni i trafori alpini saranno congestionati dal passaggio dei TIR, facendo proprio uno slogan che molti politicanti già usavano una quindicina di anni fa e dimostrando di non essere informato del fatto che al traforo del Frejus ogni anno che passa di TIR se ne vedono sempre meno (il traffico di mezzi pesanti si è ridotto del 20% negli ultimi 5 anni) e l’ipotesi di una futura congestione del traffico risulta tanto peregrina almeno quanto il fatto che un Presidente del Consiglio parli con tanta disinvoltura di cose riguardo alle quali non si è neppure premurato d’informarsi.
Berlusconi ha inoltre assicurato che il ponte sullo Stretto di Messina verrà realizzato entro la fine della legislatura e la sua costruzione è considerata dal governo “un fatto epocale” più o meno lo stesso tipo di considerazione attribuita alla Torre di Babele da Nabucodonosor qualche migliaio di anni fa.
Il Cavaliere così infervorato dalla necessità di dimostrare la propensione al “fare” del proprio governo, ha ovviamente dimenticato d’illustrare attraverso quale architettura finanziaria intenderà sostenere la costruzione di tutta una serie di grandi opere che comporteranno l’esborso di molte decine di miliardi di euro di denaro pubblico, all’interno di un Paese come il nostro in profonda difficoltà economica e nel contesto di una crisi finanziaria globale tanto profonda quanto drammatica. Così come ha dimenticato di menzionare l’enorme debito che fra qualche anno, al completamento dell’infrastruttura per il TAV italiano Torino – Milano – Roma – Napoli, ricadrà sulle spalle di tutti i contribuenti italiani che almeno fino al 2040 saranno chiamati a restituire alle banche oltre 2 miliardi di euro l’anno del prestito contratto dallo Stato per costruire l’opera.
http://marcocedolin.blogspot.com/2007/11/incubo-tav.html
Fino a che punto lasciare senza finanziamenti gli ospedali e le scuole per realizzare dei “fatti epocali” come un ponte nel deserto e una linea ferroviaria ad alta velocità dove non esiste traffico può essere una buona idea?
venerdì 19 settembre 2008
UN DUE TRE TUTTI GIU' PER TERRA
All’inizio degli anni 90 toccò agli operai, quando sull’onda della “storica” marcia dei 40.000 colletti bianchi di Torino venne soppressa la scala mobile ed un’intera categoria di lavoratori iniziò a perdere i propri diritti acquisiti nel tempo, mentre la altre categorie plaudivano il ridimensionamento dei troppi privilegi di cui si riteneva gli operai godessero.
Qualche anno dopo fu la volta dei piccoli commercianti, costretti al fallimento a decine di migliaia, per creare spazio ai nuovi potentati della grande distribuzione. Piccoli commercianti spacciati dalla politica come il vero male del Paese e additati dalle altre categorie come evasori fiscali, ladri e truffatori la cui sparizione avrebbe reso più ricca la nostra economia.
Alla fine degli anni 90 fu il turno dei precari, creati dalla legge Treu e condannati a vita dalla Riforma Biagi. Lavoratori in affitto, come le vetture di un autonoleggio, privati di qualsiasi diritto e qualsiasi prospettiva, con la compiacenza di tutto il mondo sindacale e l’acquiescenza dei lavoratori a tempo indeterminato che ritennero si trattasse di un sacrificio indispensabile a creare la giusta flessibilità che potesse sostenere la crescita economica.
Un paio di anni fa venne il momento dei tassisti, assaliti lancia in resta dal ministro Bersani che nella sacra battaglia contro i privilegi si era affrettato ad identificare la categoria che più di ogni altra meritava di essere morigerata, mentre gli altri lavoratori mostravano soddisfazione per la “ricca” ed antipatica corporazione che sarebbe stata ridimensionata.
La scorsa estate è toccato ai dipendenti statali, milioni e milioni di assenteisti, impostori e malati immaginari che hanno fatto grande (impresa ai limiti dell’impossibile) il ministro Brunetta, ertosi a giustiziere di quella che le altre categorie di lavoratori si sono limitati a liquidare come una casta di inetti imbottita di privilegi.
Negli ultimi giorni è stata la volta dei dipendenti di Alitalia, privilegiati fra i privilegiati, che in quanto tali avrebbero dovuto accettare ogni genere di accordo, non fosse altro per espiare tutte le colpe accumulate in decenni di privilegi. I 18.000 dipendenti Alitalia hanno inspiegabilmente puntato i piedi, come un bambino viziato, e pertanto sarà loro e solamente loro la colpa del fallimento della compagnia di bandiera italiana e di tutte le catastrofiche conseguenze che verranno.
Nel disfacimento del mondo del lavoro intervenuto nel corso degli ultimi venti anni si possono apprezzare ovviamente molte sfumature. Non sono mancati gli operai che (soprattutto negli anni 70) approfittavano dei propri privilegi, i piccoli commercianti che evadevano le tasse, i dipendenti statali assenteisti, i piloti Alitalia con stipendi da nababbi, ma la classe dirigente del Paese non è mai stata interessata a normalizzare le situazioni limite, al contrario ha ritenuto utile sfruttarle per “criminalizzare” ad una ad una tutte le categorie dei lavoratori al fine di giustificare il progressivo esproprio dei diritti e l’altrettanto progressivo ridimensionamento dei salari il cui potere di acquisto risulta essere oggi fra i più bassi d’Europa.
Il gioco al massacro praticato selettivamente, secondo la logica del dividi et impera, ha prodotto la palude nella quale oggi tutti i lavoratori delle categorie retributive medie e basse si ritrovano immersi fino al collo. Una palude fatta di salari asfittici, mobbing, lavoro precario, ricatti, licenziamenti, paura del futuro e rassegnazione.
Tutto ciò mentre, per una strana ironia del destino, le categorie ad elevata retribuzione quali politici, grandi industriali, finanzieri, banchieri, petrolieri, grandi imprenditori, alti dirigenti, funzionari di rango, attori, calciatori, cantanti, personaggi della TV, ma anche notai, avvocati, dentisti, architetti e molti altri, hanno continuato durante gli ultimi due decenni ad incrementare i propri profitti e la quantità dei veri privilegi di cui essi soli evidentemente hanno diritto ad essere depositari, senza che la cosa crei alcun problema agli equilibri economici del Paese.
lunedì 15 settembre 2008
QUALE STRADA PER L'IFORMAZIONE LIBERA
Beppe Grillo e Antonio Di Pietro sono pronti a scommettere sul fatto che il futuro della “libera” informazione si giocherà sul web e da tempo spendono le proprie energie nella gestione di blog molto popolari fra coloro che frequentano assiduamente internet.
Giulietto Chiesa considera imprescindibile, anche in chiave futura, lo strumento televisivo e punta tutto su Pandora Tv, un canale televisivo finanziato attraverso il contributo volontario dei cittadini che nelle sue intenzioni dovrebbe portare informazione "libera" anche fra tutti coloro che non frequentano la rete.
Massimo Fini continua a credere nella forza della parola stampata ed ha creato "La voce del ribelle" una nuova rivista mensile che si propone di fornire informazione "libera" e spunti di riflessione indirizzandosi ad un lettore attento, non necessariamente internauta e consumatore dei prodotti TV.
Non si può evitare di domandarsi chi fra di loro abbia torto e chi ragione. Esiste veramente un "veicolo d'informazione" che nel prossimo futuro soppianterà tutti gli altri accreditandosi come l'unico in grado di raggiungere la maggior parte delle persone?
Con tutta probabilità no, così come molto probabilmente Grillo ha torto quando afferma che la TV ed i giornali risultano strumenti anacronistici ormai incapaci d'interpretare il futuro in chiave d'informazione, mentre Chiesa è altrettanto in errore nel ritenere che solamente la televisione continuerà ad essere in grado di veicolare l'informazione verso una fetta di cittadini numericamente rilevante.
Nel futuro prossimo, inteso come a medio termine e quantificabile in una quindicina di anni, sicuramente la rete continuerà ad incrementare la propria popolarità attraendo un numero sempre maggiore di lettori, ma nonostante ciò non sarà assolutamente in grado di fagocitare la TV ed i giornali, come Grillo e Di Pietro ritengono accadrà. Al tempo stesso il rilevante incremento del numero di coloro che hanno i mezzi per navigare sul web farà si che diventi sempre meno indispensabile possedere un canale televisivo per nutrire l'ambizione di raggiungere mediaticamente un grande numero di persone, come più volte sostenuto da Giulietto Chiesa.
I giornali al tempo stesso manterranno la propria importanza, dal momento che continueranno a essere complementari tanto all'informazione per "immagini" proposta dalla TV, quanto al tempo reale spesso ipercinetico che contraddistingue buona parte dell'informazione su internet.
il vero problema non è costituito da quale mezzo scegliere per meglio veicolare l'informazione "libera" bensì da quali strumenti usare per far si che questa informazione, libera, risulti esserlo veramente e in merito a ciò, nonostante da più parti si possano apprezzare discreti sforzi e molte buone intenzioni, la strada da percorrere sembra essere ancora piuttosto lunga.
venerdì 12 settembre 2008
EUROTUNNEL: UN GIORNO DI TERRORE
Eurotunnel torna a fare parlare di sé, questa volta non per gli ormai decennali problemi di natura economica, bensì per un grave incidente accaduto giovedì pomeriggio quando un incendio si è sviluppato a pochi chilometri dal terminale francese di Calais, coinvolgendo tre camion (uno dei quali trasportava prodotti chimici) che viaggiavano a bordo di una navetta ferroviaria in viaggio dal Regno Unito verso la Francia, per poi propagarsi ad altri due camion.
Il bilancio del rogo che a molte ore dall’accaduto è stato circoscritto ma non ancora domato dalle squadre dei vigili del fuoco francesi ed inglesi, risulta essere di 14 persone fra feriti ed intossicati, ma le conseguenze avrebbero potuto essere ben più drammatiche se le fiamme avessero coinvolto oltre alle 32 persone che si trovavano a bordo del treno merci anche i viaggiatori di uno dei treni passeggeri che abitualmente percorrono i 50 km del lunghissimo tunnel.
Eurotunnel rimarrà chiuso per l’intera giornata di venerdì, ma non è ancora stata resa pubblica l’entità dei danni subiti dall’infrastruttura.
L’incidente più grave verificatosi fino ad oggi all’interno del tunnel sotto la Manica risale al 1996, quando un incendio sviluppatosi all’interno di un treno navetta che trasportava camion, con una dinamica molto simile a quella dell’incidente di ieri, determinò il grave danneggiamento di oltre 200 metri di tunnel, l’infrastruttura rimase chiusa per 3 giorni e tornò alla piena operatività solamente dopo 2 mesi. L’ultimo in ordine di tempo risaliva invece all’agosto 2006, quando s’incendiò il motore di un camion trasportato su un vagone navetta, causando la chiusura del tunnel solamente per poche ore.
A prescindere da quale risulti essere la bontà dei vari progetti in termini di sicurezza, l’incidente di ieri conferma ancora una volta l’elevatissimo grado di rischio a cui vanno incontro i passeggeri destinati ad attraversare ciclopici tunnel della lunghezza di 50 e più chilometri che potrebbero trasformarsi in un vero e proprio inferno nel malaugurato caso si verificassero eventi imprevedibili come fughe di sostanze tossiche, terremoti, attentati terroristici o semplicemente incendi di più vaste proporzioni.
Per approfondire: http://marcocedolin.blogspot.com/2008/01/eurotunnel-un-disastro-economico-caduto.html
venerdì 5 settembre 2008
FORMAGGI AVARIATI LA TRUFFA CONTINUA

Marco Cedolin
Molti di voi sicuramente ricorderanno la truffa riguardante i formaggi scaduti e marcescenti
http://ilcorrosivo.blogspot.com/2008/07/galbani-vuol-dire-fiducia_06.html
contenenti larve, escrementi di topo, muffa e materie plastiche, che anziché essere indirizzati allo smaltimento venivano fusi e riproposti sugli scaffali dei supermercati sotto forma di prodotti freschi e “genuini”. Una truffa che aveva profondamente turbato l’opinione pubblica, anche in virtù del coinvolgimento nel malaffare di marchi di primaria importanza quali Galbani, Granarolo, Ferrari, Medeghini, Biraghi, Prealpi e molte altre ancora. Una truffa che è stata portata avanti per lungo tempo anche grazie al silenzio di moltissimi dipendenti delle aziende coinvolte che sapevano tutto ma hanno evitato di denunciare l’accaduto temendo di perdere il proprio posto di lavoro.
L’inchiesta continua a procedere ed i nuovi sviluppi hanno messo in luce il coinvolgimento di personaggi “insospettabili” nonché un giro di affari sempre più enorme che ormai coinvolge mezza Europa, dalla Spagna all’Austria, dalla Francia alla Germania e al Belgio.
L’ex ufficiale dei carabinieri Francesco Marinosci che dirigeva la caserma del paese di Casalbuttano in provincia di Cremona è risultato essere il rappresentante legale e amministratore unico dell’azienda DELIA che costituiva insieme alla Tradel di Casalbuttano di proprietà di Domenico Russo, il vero perno dell’intero sistema del malaffare e dovrà rispondere del reato di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari con rischio di danno per la salute pubblica.
Il veterinario dell’ASL piacentina Luciano dall’Olio, attualmente ancora in servizio, era l’uomo che certificava come “sano” il pastone maleodorante (nelle intercettazioni definito “merda” dai personaggi coinvolti nella truffa), arrivando perfino a “dimenticare” il timbro dell’ASL di Piacenza negli uffici del caseificio dando modo all’azienda di procedere a vere e proprie autocertificazioni. Per lui l’accusa è al momento quella di falso ed abuso d’ufficio.
Insieme a loro risultano indagati anche altri personaggi appartenenti all’Asl e gli inquirenti nutrono sospetti anche su funzionari delle forze dell’ordine.
Gli investigatori dopo avere allargato il ventaglio dei prodotti finiti messi in vendita e oggetto della frode anche al ricco mercato dei formaggi grattugiati in busta sempre più spesso presenti sulle tavole degli italiani (che in questo caso sembra contengano il pastone ammuffito anziché parmigiano o grana padano) hanno affermato di ritenere che di aziende come DELIA sia pieno il mercato e che sullo stesso mercato abbondino i grandi marchi ben disposti ad utilizzare questo tipo di “servizio” per incrementare i propri profitti.
I nuovi sviluppi dell’inchiesta, che non sembra ancora avere delineato le dimensioni internazionali della truffa nella loro interezza, mettono in evidenza come i malfattori abbiano potuto continuare la propria attività indisturbati per lungo tempo proprio grazie alla copertura di quelle persone che avrebbero dovuto controllare il loro operato al fine di preservare la salute dei cittadini. La collusione fra controllore e controllato, vero e proprio cancro in Italia, spesso portato avanti nella più completa impunità, come dimostra l’operato di molte ARPA il cui principale compito consistere nell’omettere (quando non addirittura contraffare) i dati delle rilevazioni concernenti l’inquinamento ambientale, si manifesta una piaga sempre più difficile da sanare.
I Ministeri della Sanità (o meglio ciò che ne resta) e dell’Agricoltura, probabilmente messi sotto pressione dai grandi e potenti marchi coinvolti, continuano a tacere riguardo alla truffa dei formaggi, nonostante l’importanza della questione sia dal punto di vista sanitario che da quello economico stia ormai assumendo proporzioni di estrema rilevanza ed esistano serie possibilità che attività parallele a quelle dell’inchiesta principale continuino tuttora a prodursi con le conseguenze che facilmente si possono immaginare per la salute dei consumatori.
Evidentemente per la classe politica italiana è preferibile lasciare il tutto assopito nell’oblio mediatico e magari dedicarsi a parlare di calcio, dal momento che in fondo nonostante i formaggi contenenti carcasse di topi e vermi ammuffiti non “c’è ancora scappato il morto” e sono in gioco il nome e l’onore di tante aziende importanti e “rispettabili”.
mercoledì 3 settembre 2008
L'INCENERITORE DELL'INFORMAZIONE
Sempre più spesso si percepisce la sensazione che l’enorme contenitore costituito dai media italiani somigli al forno di un inceneritore, all’interno del quale i giornalisti, simili a tanti spazzini, sono costretti a gettare continuamente notizie spazzatura per evitare che si spenga la fiamma costituita dalla tiratura dei giornali e dallo share dei TG. Dal camino escono senza sosta i miasmi venefici creati dalle notizie tossiche il cui unico scopo è quello di avvelenare l’opinione pubblica obnubilandone sempre più il senso critico.
Sfogliando i quotidiani fotocopia di oggi, da Repubblica al Corriere della Sera, dall’Unità al Sole 24 ore, le notizie spazzatura si affastellano le une sopra le altre, baluginando per un lungo istante prima di trasformarsi in cenere e vapori tossici.
I tifosi del Napoli hanno strappato le prime pagine all’icona di Barak Obama che le aveva monopolizzate per oltre 2 settimane, lasciandoci con il dubbio che anche noi fossimo invitati questo autunno alle urne per eleggere il nuovo Presidente americano.
Nel commentare le intemperanze dei tifosi partenopei e relative conseguenze si sono spesi editorialisti, ministri, uomini politici e di sport, sociologi e psicologi, attori e comici. Da Veltroni a Maroni, da Abatantuono a Vecchioni, da Paolo Cento fino a suor Paola, tutti si sono sentiti in dovere di produrre dei veri e propri saggi di analisi sociale aventi per oggetto il tifo violento e la maniera attraverso la quale fare fronte ai facinorosi. Veltroni ha perfino smesso per la prima volta di fare opposizione ombra per protestare in maniera veemente contro Berlusconi, dimostrando che i tifosi napoletani sono riusciti ad avere successo laddove avevano fallito il lodo Alfano, la militarizzazione delle città, la svendita di Alitalia e perfino i miliardi regalati a Gheddafi. Un mare di parole spesso identiche le une alle altre, un parlarsi addosso senza costrutto, una sommatoria di articoli che dicono tutti la stessa cosa e in fondo finiscono per non dire nulla, fra i quali emerge come unica perla l’ottimo pezzo di Carlo Gambescia che coraggiosamente auspica una decrescita del calcio e ci fa sperare possa ancora esistere qualcosa che vale la pena di chiamare informazione.
Più avanti campeggia l’immarcescibile Gheddafi che oltre ai 5 miliardi di dollari dichiara di avere ricevuto in dono da Berlusconi l’assicurazione che l’Italia in caso di attacco alla Libia da parte della Nato si impegnerà a non collaborare con gli alleati, subito smentito dalle parole del ministro Frattini, tanto affannato quanto poco convincente. Più convincente Frattini lo diventa però qualche pagina dopo, quando partecipa alla presentazione della sua fidanzata Chantal, con corredo (ovviamente nella versione web) delle foto di rito dei due innamorati.
C’è spazio ovviamente per la telenovela Alitalia, ormai palesemente in concorrenza con Beautiful, dove nella puntata odierna i sindacati sia pur malvolentieri hanno deciso di acconsentire ad un confronto che giocoforza avrà il sapore amaro della resa incondizionata.
Si parla della crisi fra Russia e Georgia e di Mosca che avrebbe applaudito l’Italia per il buon senso dimostrato, dell’Osservatore Romano che disquisisce sul fatto che la morte cerebrale non rappresenta la fine della vita, di D’Alema che si ribalta dal canotto come un bimbo, del nuovo browser di google che rivoluzionerà la navigazione su internet, delle esternazioni di Federconsumatori che rileva come il prezzo del petrolio continui a diminuire mentre la benzina al contrario aumenta, dei tassi dei mutui che non smettono di salire ed hanno ormai superato il 6%, dei rimpianti di Martina Stella che non ha vissuto l’adolescenza, dell’Ocse che ha ridotto le stime di crescita dell’Italia portandole allo 0,1% lasciando intravedere un futuro con il segno meno dinanzi all’indice di quel PIL che sta imboccando ormai con decisione la strada della decrescita, del ministro Gelmini che dal 2009 introdurrà il maestro unico solo in prima elementare, di Luxuria che dichiara di essersi prostituita in gioventù, del Garante che ha detto stop al marketing selvaggio, della birra “presistorica” che è arrivata in California e viene prodotta con un lievito risalente a 25 milioni di anni fa.
Notizie spazzatura ormai annerite come fogli di carta bruciacchiati, che domani saranno in larga parte riproposte come nuove o sostituite dai faccioni Obama e Mc Cain, da una nuova polemica all’interno del PD, dalle gesta di Berlusconi che produce l’ennesimo miracolo italiano, dalle riflessioni sulla crisi dell’auto sempre più drammatica, da qualche polemica avente per oggetto gli extracomunitari, da un’analisi sull’aumento dei prezzi del pane e della pasta, da un rapporto sugli italiani che fanno pochi figli, da un’intervista a Briatore che come gira il mondo lui lo ha capito, da un servizio sull’attore pinco che andrà in clinica a farsi disintossicare e sulla popstar pallino che è ormai in procinto di divorziare per la terza volta.
In fondo l’importante è che la fiamma continui a bruciare e non smetta mai neppure per un attimo di uscire fumo dal camino.
mercoledì 27 agosto 2008
LA RIVISTA DEGLI INGEGNERI
Un amico, di quelli che hanno pochissimo rispetto per lo stato di salute del mio fegato, mi ha inoltrato gentilmente una copia dell’ultimo numero 345 di luglio della rivista “L’ingegnere italiano”, rivista ufficiale dell’Ordine degli ingegneri che arriva nelle case di 200.000 professionisti iscritti all’albo, scaricabile anche dal sito. www.tuttoingegnere.it
Le “perle” degne di richiamare l’attenzione, anche di uno scrittore dalle limitatissime competenze tecniche come il sottoscritto sono molte, così come molta è la disinformazione dispensata a piene mani ostentando estrema generosità.
Ne ho scelte due, con l’intento di essere sintetico e non tediare troppo il lettore, si tratta di uno sconcertante articolo che compare a pagina 2, avente per oggetto le grandi opere e di una suggestiva intervista al ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo dalla quale si evince con estrema chiarezza quale sia il grado di competenza del personaggio per quanto concerne i temi ambientali che si presume dovrebbero costituire il fulcro intorno al quale opera il suo ministero.
Nell’articolo sulle grandi opere che si richiama ai temi emersi nel 5° forum di “edilizia e territorio” che ha fatto il punto sulle grandi opere, si citano parole del Sottosegretario alle infrastrutture Roberto Castelli che dopo avere ribadito la priorità della realizzazione dei corridoi I e V per inserire l’Italia nella competitività internazionale, esterna il convincimento secondo il quale “le merci via nave per arrivare dalla Cina all’Europa impieghino mediamente tre settimane, mentre in treno potrebbero giungere in una settimana, fatto che cambierebbe il valore del business”, aggiungendo poi che “mentre la Bundesbank starebbe già progettando l’asse Berlino – Pechino, l’Italia rischierebbe l’estromissione dai traffici internazionali, nel caso entro luglio non ci fossero segnali chiari e rischiassero di decadere i finanziamenti europei”.
A suffragare le parole di Castelli, al fine di non farle restare dei vuoti slogan, nemmeno l’ombra di un dato, nessuno studio che metta in evidenza quale rilevanza abbia la velocità del mezzo di trasporto sul computo del tempo complessivo del servizio di trasporto delle merci, nessun ragguaglio riguardo a quale linea ferroviaria dovrebbe servire allo scopo di trasportare via treno le merci dalla Cina all’Italia, nessun dato concernente i costi di una simile operazione, nessun confronto fra la spesa del trasporto via nave e quella di questo futuribile servizio su rotaia, nessuna ragione umanamente comprensibile che dimostri la necessità di investimenti miliardari di denaro pubblico per tentare di fare arrivare i prodotti cinesi in Italia più in fretta.
L’articolo continua poi offrendo le esternazioni dell’Amministratore delegato delle FS Moretti che loda l’estensione della legge obiettivo e dichiara che l’alta velocità “valorizza il patrimonio immobiliare locale”, constatazione che purtroppo alligna solamente all’interno del suo immaginario dal momento che innumerevoli studi stanno a dimostrare come infrastrutture ambientalmente impattanti quali il TAV determinino l’effetto Bronx che riduce i territori a corridoi di transito fortemente deprezzati anche dal punto di vista del valore immobiliare.
C’è spazio anche per le esternazioni del ministro delle Infrastrutture Matteoli che si dice pronto ad accogliere le esigenze delle comunità locali, ma solo blindando il confronto con la priorità del fare comunque l’infrastruttura, denotando un’apertura al dialogo veramente commovente che raggiunge il proprio acme nella constatazione che in Val di Susa i sindaci sarebbero disposti ad accettare il TAV in cambio di maggiori servizi locali. Peccato Matteoli e l’articolo in oggetto non si sentano in dovere d’informare gli ingegneri riguardo al fatto che in Val di Susa la stragrande maggioranza dei cittadini continua ad essere contraria all’alta velocità come e più di prima del confronto, che in realtà non c’è mai stato avendo coinvolto esclusivamente i sindaci che si sono guardati bene dal condividere alcunché con la popolazione.
Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo intervistata in merito alle fonti energetiche rinnovabili afferma che “l’Italia è il Paese del sole e del vento in abbondanza, ma magari ha poca superficie per potere sfruttare appieno queste risorse”. Probabilmente il ministro pensa che lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica possa produrre risultati solamente attraverso distese infinite di pannelli solari o torri eoliche, ignorando completamente che i risultati migliori in termini di rendimento si ottengono con i piccoli impianti di autoproduzione per i quali la superficie italiana è più che sufficiente.
Il ministro asserisce poi che “il nucleare è una scelta quasi obbligata nel momento in cui i ritardi accumulati negli anni rischiano di portare l’Italia alla paralisi energetica e produttiva con tutte le ricadute sulla vita quotidiana dei cittadini”. Nessuno evidentemente l’ha informata, forse dopo averla letta lo faranno gli ingegneri, del fatto che l’Italia secondo le sue parole prossima alla paralisi energetica sta apprestandosi a diventare il maggiore hub europeo nella distribuzione del gas, così come nessuno l’ha informata del fatto che le centrali nucleari determinano pesanti ricadute dal punto di vista ambientale ed è soprattutto di quegli impatti che lei in qualità di ministro dovrebbe occuparsi.
Imbeccata poi dall’intervistatore che mette in evidenza come circa il 20% del territorio nazionale sia destinato all’uso di parco con il sostanziale blocco di ogni infrastruttura, la Prestigiacomo si rammarica di questa realtà ed afferma che “l’eliminazione dell’uomo e delle sue attività da intere porzioni di territorio le sembra un impoverimento di quello stesso territorio”. Singolare il fatto che il ministro dell’Ambiente riduca l’ambito dell’attività umana alla sola costruzione d’infrastrutture cementizie e non riesca ad immaginare la possibile valorizzazione delle aree adibite a parco magari in chiave turistica, anziché attraverso l’edificazione di gallerie e viadotti che ben lungi dall’arricchire un territorio generalmente contribuiscono a distruggerlo.
L’ultima domanda è sulle problematiche concernenti i rifiuti, al riguardo la Prestigiacomo tenta di arrampicarsi sugli specchi profondendosi in esercizi dialettici privi di costrutto, parla di riciclo, di ambiente sostenibile, di ciclo dei rifiuti economicamente virtuoso, di posti di lavoro, di ritardo più amministrativo che tecnologico. Non offre un solo dato, non tratteggia neppure un programma di gestione della spazzatura che possegga un minimo di coerenza e soprattutto dimentica di menzionare la necessità di ridurre la produzione di rifiuti, come non solo la UE ma anche il semplice buon senso c’impongono di fare al più presto.
Dopo avere letto l’intervista mi assale il dubbio che in fondo la Prestigiacomo pensi di essere il ministro delle infrastrutture, ma allora all’ambiente chi ci penserà, dal momento che Matteoli non sembra propenso a ripetere l’esperienza ed è troppo impegnato a blindare i confronti con le popolazioni?
Se questa è la qualità dell’informazione che viene dispensata ad un’elite di cultura superiore alla media quali sono gli iscritti all’Ordine degli ingegneri, non oso veramente pensare cosa ci ritroveremo ben presto a leggere noi comuni mortali che agli occhi del circo mediatico non siamo in grado di distinguere la differenza esistente fra un parco ed un’infrastruttura per i treni ad alta velocità, veniamo destinati a confronti blindati e desideriamo ricevere dalla Cina sempre un maggior numero di prodotti nel minore tempo possibile, pur non essendo consci di avere questa aspirazione.