Marco Cedolin
Dopo avere chiuso il 2007 con un utile netto di 1,43 miliardi di euro, in progresso del 58% rispetto ai 910 milioni del 2006 e del 160% se si prendono in considerazione gli ultimi 3 anni, il gruppo Monte dei Paschi di Siena ha presentato il nuovo piano industriale 2008/2011 che è stato approvato dal consiglio di amministrazione della banca ed accolto con entusiasmo dai mercati all’interno dei quali il valore del titolo si è manifestato in netta ascesa.
Obiettivo del piano quello di dare vita al terzo polo bancario italiano tramite l’acquisizione in MPS di Antonveneta, Banca Agricola Mantovana e Banca Toscana, nel contesto di una profonda ristrutturazione dell’intero gruppo che prevede la cessione di 125 sportelli e un incremento di utile di 732 milioni, derivante per il 35% da maggiori ricavi e per il 65% da risparmi di costi.
I risparmi di costi che costituiscono la parte più consistente del piano passeranno attraverso l’eliminazione di 1700 dipendenti considerati in esubero, la maggior parte dei quali andrà ad ingrossare le fila dei disoccupati e dei lavoratori precari.
Quello di MPS non è un caso isolato, bensì la regola utilizzata dai grandi gruppi finanziari ed industriali per far crescere la propria produttività ed i propri profitti in misura estremamente rilevante pur in presenza di un mercato asfittico e stagnante.
Mentre i grandi sacerdoti delle liberalizzazioni come l’ex ministro Bersani, individuano tassisti, farmacisti e panettieri come il vero ostacolo alla libera concorrenza, tutti i maggiori gruppi finanziari ed industriali fagocitano sistematicamente le realtà più piccole, concentrando attraverso fusioni ed incorporazioni i mercati di loro competenza nelle mani di una ristretta cerchia di mega realtà che costituiscono oligopoli in grado di annientare qualunque anelito di quella concorrenza che gli uomini politici di ogni colore promettono di creare quando arringano le folle durante i comizi elettorali.
Mentre politici, sindacalisti ed industriali stipulano accordi sul welfare privi di ogni contenuto e li fanno approvare ai lavoratori tramite referendum farsa, fingendo di essere intenzionati a ridurre la precarietà, tutti i grandi gruppi finanziari ed industriali incrementano a dismisura il proprio profitto attraverso la sistematica riduzione del personale ed un sempre più ampio ricorso al lavoro interinale.
Si percepisce una profonda distonia fra il contenuto dei piani programmatici delle grandi imprese e le dichiarazioni dei leader di partito che in odore di elezioni ogni sera affollano i “salottini buoni” della TV promettendo più posti di lavoro e più concorrenza. Sembra quasi che la politica abbia perso ogni contatto con il paese reale e si muova in una sorta di Second Life costruita a proprio uso e consumo.
Qualcuno per favore li svegli, magari “sputandoli” come farebbe Barbato, perché nell’Italia reale i posti di lavoro e la concorrenza stanno andando incontro all’estinzione e non è tramite la realtà virtuale che si può salvare la specie.
2 commenti:
Hai ragione, queste "bersanate" finiranno per fare più danni che altro, anche perchè mirano solo a distrarre dai veri danari che finisco sempre di più nelle solite poche tasche.
E poi oggi ciò che si chiama "liberalizzazione" tempo fa già si era concretizzata con la cosidetta "despecializzazione" di prodotto quando, p.e. gli omogeneizzati e la cosmesi, si vendevano solo in farmacia ed a un certo punto ce li siamo ritrovati dal pizzicagnolo a prezzi decisamente ridotti.
Sarebbe interessante capire perchè allora tutto questo non avviene per esempio nei carburanti, che da oltre dieci anni in Francia viene venduto in contenitori lungo le corsie degli ipermercati con un risparmio non indifferente per il consumatore.
Ma Bersani pensa a "trasferire" la ricchezza dalle farmacie ai supermercati.
Sarebbe interessante anche capire perchè la filiera agroalimentare debba seguire obbligatoriamente dei percorsi dove il prezzo è la logica conseguenza di troppi passaggi e ricarichi (e se pensiamo che secondo alcuni studi europei oggi una attività per "sopravvivere" deve avere un mark-up tra costi e ricavi almeno del 40%, figuriamoci con tre passaggi cosa viene viene a costare oggi un chilo di patate).
Ma Bersani pensa ai tassinari.
Non credo occorra un genio della finanza per capirle 'ste cose, soprattutto quando gli istituti di credito e l'alta finanza si siedono a tavolino e discutono.
Forse è più plausibile prendersela con il vetturino al Colosseo anzichè avere a che fare con uno dei colossi della Grande Distribuzione d'oltralpe o, peggio mi sento, presentare delle istanze nei confronti di un petroliere delle Sette Sorelle, memori dell "incidente" a Enrico Mattei.
Ciao
Salvatore
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