Marco Cedolin
Il Trattato di Lisbona, creato per sostituire il precedente progetto di Costituzione Europea affossato nel 2005 dai no dei referendum francese ed olandese, già da tempo ratificato dal parlamento italiano
all’unanimità, sembra essere ormai in dirittura d’arrivo. Dopo un percorso assai tortuoso che pareva essersi spezzato inesorabilmente nel giugno dello scorso anno, quando il referendum in Irlanda decretò una secca bocciatura del documento, la protervia e la tenacia messa in mostra dai grandi poteri finanziari ed economici che governano l’Europa, sembra essere riuscita ad avere ragione anche degli ultimi aneliti di scetticismo.
A seguito di tutta una serie di forzature che fotografano appieno la qualità dello spirito democratico che animerà la nuova Europa, il referendum irlandese è stato ripetuto una seconda volta lo scorso 2 ottobre, riuscendo in questo caso a spuntare un sofferto si, dopo una campagna elettorale ossessiva e infarcita di mistificazioni in favore dell’approvazione del Trattato, portata avanti sfruttando l’argomento della crisi economica.
Il 10 ottobre è stata la volta della ratifica da parte del Presidente polacco Lech Kaczynski, le cui perplessità sono state “addomesticate” con estremo vigore dal Presidente della Commissione Europea Barroso e dal Premier svedese Fredrick Reinfeldt, Presidente di turno dell’Unione, entrambi presenti alla cerimonia.
Ieri i leader della UE hanno accolto unanimemente la deroga richiesta dalla Repubblica ceca, unico paese a non avere ancora sottoscritto il Trattato, aprendo la strada alla ratifica da parte del Presidente Vaclav Klaus, dopo che il prossimo 3 novembre la Corte Costituzionale, si sarà pronunciata sulla legittimità del Trattato di Lisbona rispetto all'ordinamento ceco. A questo riguardo va sottolineato come le pressioni da parte della UE nei confronti di Klaus, notoriamente scettico nei confronti di questo modello di Europa, siano state fortissime, spaziando dagli ammonimenti concernenti i costi determinati dai ritardi nella ratifica, per giungere alle vere e proprie minacce neppure troppo velate.
Caduto (o meglio fatto cadere a forza) anche l’ultimo ostacolo sembra dunque ormai spianata la strada per la nuova Europa, lastricata di falsi buoni propositi ma in realtà caratterizzata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nel corso della seconda metà del novecento. Un'Europa sempre più schiava delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali, all’interno della quale perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, deprivato dei propri diritti ed immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza.
all’unanimità, sembra essere ormai in dirittura d’arrivo. Dopo un percorso assai tortuoso che pareva essersi spezzato inesorabilmente nel giugno dello scorso anno, quando il referendum in Irlanda decretò una secca bocciatura del documento, la protervia e la tenacia messa in mostra dai grandi poteri finanziari ed economici che governano l’Europa, sembra essere riuscita ad avere ragione anche degli ultimi aneliti di scetticismo.
A seguito di tutta una serie di forzature che fotografano appieno la qualità dello spirito democratico che animerà la nuova Europa, il referendum irlandese è stato ripetuto una seconda volta lo scorso 2 ottobre, riuscendo in questo caso a spuntare un sofferto si, dopo una campagna elettorale ossessiva e infarcita di mistificazioni in favore dell’approvazione del Trattato, portata avanti sfruttando l’argomento della crisi economica.
Il 10 ottobre è stata la volta della ratifica da parte del Presidente polacco Lech Kaczynski, le cui perplessità sono state “addomesticate” con estremo vigore dal Presidente della Commissione Europea Barroso e dal Premier svedese Fredrick Reinfeldt, Presidente di turno dell’Unione, entrambi presenti alla cerimonia.
Ieri i leader della UE hanno accolto unanimemente la deroga richiesta dalla Repubblica ceca, unico paese a non avere ancora sottoscritto il Trattato, aprendo la strada alla ratifica da parte del Presidente Vaclav Klaus, dopo che il prossimo 3 novembre la Corte Costituzionale, si sarà pronunciata sulla legittimità del Trattato di Lisbona rispetto all'ordinamento ceco. A questo riguardo va sottolineato come le pressioni da parte della UE nei confronti di Klaus, notoriamente scettico nei confronti di questo modello di Europa, siano state fortissime, spaziando dagli ammonimenti concernenti i costi determinati dai ritardi nella ratifica, per giungere alle vere e proprie minacce neppure troppo velate.
Caduto (o meglio fatto cadere a forza) anche l’ultimo ostacolo sembra dunque ormai spianata la strada per la nuova Europa, lastricata di falsi buoni propositi ma in realtà caratterizzata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nel corso della seconda metà del novecento. Un'Europa sempre più schiava delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali, all’interno della quale perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, deprivato dei propri diritti ed immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza.
Un'Europa sempre più privatizzata, succube della competizione sfrenata, probabilmente più omogenea solamente perché appiattita su un livello di qualità della vita decisamente più basso rispetto a quello di oggi.
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