lunedì 5 ottobre 2009

NON GRANDI OPERE MA CURA DEL TERRITORIO




Marco Cedolin

Trovatosi di fronte alla tragedia di Messina, dove alluvioni e frane hanno prodotto finora un bilancio di 25 morti e 38 dispersi, perfino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colto da un anelito di quel buon senso di cui generalmente difetta, è riuscito a stupirci, arrivando ad affermare quello che da troppi anni in tanti sosteniamo e scriviamo, nei reconditi anditi in cui ci è permesso esprimere le opinioni non “politicamente corrette”.
In sostanza non bisogna puntare su opere faraoniche, ma difendere con politiche e investimenti adeguati il territorio, per evitare che un nubifragio normale provochi decine vittime.

Si tratta senza dubbio di un concetto estremamente elementare, soprattutto in un paese come il nostro, dove il degrado del territorio ha raggiunto livelli tali da far si che praticamente ogni forte pioggia sia prodromica di alluvioni e frane, spesso catastrofiche. Un concetto elementare che però in Italia non è mai stato preso minimamente in considerazione, da una classe politica intimamente legata ai grandi interessi dei cementificatori, delle consorterie industriali e finanziarie ad essi collegate e dei maggiori gruppi editoriali da loro posseduti al fine di praticare l’orientamento del pensiero.

Così mentre a Messina si muore in mezzo alle macerie e al fango (e in molti altri luoghi si è morti e si morirà grazie all’incuria con cui viene gestito il territorio) la “politica” utilizza i miliardi razziati dalle tasche dei cittadini, per scavare le gallerie del TAV, dare vita ad un progetto folle come quello del Ponte (proprio) sullo Stretto di Messina, devastare le prealpi lombarde e le dolomiti con nuove autostrade, cementificare sempre più in fretta e sempre più in profondità un territorio che già versa in stato di grave malattia. Poco importa se la logica del buon senso imporrebbe di destinare quegli stessi miliardi (sembra averne preso coscienza perfino Napolitano) alla salvaguardia e non alla distruzione del territorio, perché l’unica cosa che conta sono i profitti delle multinazionali delle costruzioni (Impregilo, CMC e Astaldi sono solo tre dei tanti nomi) e di tutti i soggetti che costruiscono sul cemento la propria ricchezza.

Le parole di Napolitano, per una volta cariche di saggezza, sono così cadute nel vuoto di una classe politica ormai totalmente incapace di emanciparsi dal ruolo di funzionario al servizio dei grandi poteri industriali e finanziari. Qualcuno, come il leghista Castelli, rappresentante di un partito che almeno nell’immaginario popolare dovrebbe mantenere un forte legame con il territorio, è arrivato perfino a stizzirsi. Stizza che lo ha indotto ad affermare che la posizione di Napolitano sarebbe miope e figlia di una cultura tipicamente di sinistra, dopo essersi rallegrato per i 7 miliardi di euro spesi negli ultimi anni nel solo Veneto, proprio per la costruzione di grandi opere faraoniche (MOSE, TAV, strade ed autostrade) in larga parte devastanti per l’ambiente ed utili solo a rimpinguare le tasche dei general contractor.

Almeno per quanto concerne la miopia, l’inanità e l’assoluto spregio nei confronti del territorio, ci sentiamo in dovere di rassicurare Castelli, che in tema di grandi opere sembra un po’ confuso. Il cemento non ha colore politico e fino ad oggi in Italia è riuscito a fondere magicamente destra e sinistra all’interno della stessa “cultura” politica fatta di profitti realizzati sulle spalle dei contribuenti ed arricchimenti illeciti costruiti nell’ombra di troppe vittime innocenti.

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