lunedì 12 ottobre 2009

IL VIRUS EBOLA A TORINO?


Marco Cedolin
Spargere allarmismo non rientra nelle nostre corde, tanto meno in materia di pandemie, influenzali o meno, in merito alle quali preferiamo "fare i pompieri" anziché portare acqua ai profitti di Big Pharma.
Il caso in oggetto però ci ha incuriosito oltremisura, per l’evidente sproporzione fra i mezzi messi in campo per affrontare l’emergenza e l’assoluta serenità ostentata dalle fonti sanitarie e dagli esperti.

Un cittadino senegalese di 44 anni residente a Torino, tornato da un paio di giorni da un viaggio in madrepatria, inizia ad accusare strani sintomi quali dolori muscolari, febbre alta e vomito. Dal momento che i sintomi non accennano a diminuire, mercoledì 7 ottobre decide di recarsi in pronto soccorso e viene immediatamente ricoverato presso l’ospedale Amedeo di Savoia, specializzato in malattie infettive, dove gli viene diagnosticata, secondo le parole del direttore sanitario Paolo Mussano, una febbre emorragica di natura sconosciuta.
Le due persone che condividono l’appartamento con lui vengono contattate e messe sotto osservazione, così come sotto osservazione vengono messi tutti i medici e gli infermieri che sono venuti a contatto con il paziente. L’appartamento in cui viveva viene ispezionato dal personale della Asl che riferisce di averlo trovato in buone condizioni igieniche.

Sabato pomeriggio viene presa improvvisamente la decisione di trasferire il paziente da Torino all’ospedale Spallanzani di Roma, uno dei pochi centri europei che disponga di laboratori virologici di grado P4, in grado di garantire il massimo livello d’isolamento e disponga di personale in grado di manipolare virus a rapida diffusione e pericolosi come l'Ebola.
Il trasferimento dell’ammalato, predisposto dalla prefettura di Torino, con la collaborazione di un’unità di isolamento aerodinamico del servizio sanitario dell'Aeronautica Militare, non lascia molto spazio alla serenità e sembra ricalcare gli “effetti speciali” di molti film di fantascienza imperniati su virus e pandemie. Il cittadino senegalese viene infatti trasportato all’aeroporto di Caselle per mezzo di un’ambulanza scortata dalla polizia e dai vigili del fuoco. Quindi viene imbarcato su uno speciale C130, all’interno di una barella chiusa per l'aviotrasporto isolato di pazienti infettivi o contaminati da agenti biologici, che garantisce il perfetto isolamento dall’ambiente esterno. Durante il viaggio lo assistono in nove, fra militari, ufficiali medici e infermieri addestrati a questo tipo di emergenze
All’arrivo nella capitale il malato viene prelevato da una ambulanza dell'unità speciale di bioprotezione dell'ospedale Spallanzani, mentre all’interno della struttura ospedaliera sono già scattate le procedure di massima sicurezza per il suo ricovero. Una volta in ospedale il senegalese viene messo in isolamento all’interno di una camera sterile a pressione negativa, dove sarà sottoposto ai prelievi e agli esami molecolari che dovrebbero chiarire l’esatta natura dell’infezione, dando importanti indicazioni tanto per le cure da adottare, quanto per le modalità con cui affrontare l’eventuale rischio del contagio.

Le fonti sanitarie si sono affrettate nel precisare che a Torino non esisterebbe alcun rischio di contagio, dal momento che i virus di questo tipo non si diffondono per via aerea, ma solamente in seguito a contatti stretti con il soggetto infetto, aventi per oggetto il contatto con materiali e liquidi organici del paziente. Il senegalese inoltre, dopo essere tornato dall’Africa dove vive la sua famiglia, si sarebbe sentito male quasi immediatamente e la malattia gli avrebbe impedito di frequentare altre persone (oltre ai suoi coinquilini) e di recarsi al lavoro.
Continua però a restare un mistero la ragione per cui, di fronte ad una patologia scarsamente contagiosa, il paziente sia stato trasferito a Roma con estrema urgenza, con uno spiegamento di forze assolutamente fuori dall’ordinario e precauzioni tali da lasciare supporre si stesse trasportando un soggetto affetto da una malattia di ferale pericolosità ed estremamente contagiosa. Ed ora sia ricoverato allo Spallanzani in una camera sterile super protetta, dove medici ed infermieri possono accedere solo equipaggiati con scafandri simili a quelle dei palombari, respirando dalle bombole ad ossigeno.
Impossibile non percepire che nella vicenda i conti non tornano e le autorità, forse, non ci stanno dicendo proprio tutta la verità.

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